AD MORTEM TIMIDUS.

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Niccolò's pov.

Giacevo sul suo petto. Il respiro era regolare, lui era calmo e tutto intorno a noi sembrava essersi messo in pausa. Nel posto in cui mi trovo adesso le cose sono cambiate ed io non sono più quell'adolescente pieno di insicurezze e paure. Qualunque cosa fosse motivo d'angoscia ora è diventata il mio più grande punto di forza. Tuttavia immaginavo una realtà diversa, più concreta e giusta, ma le cose qui non sono tanto diverse. Non si può negare però che integrarmi nella società non mi è poi così difficile. Sono felice.
« Sei bello con i capelli scombinati. »
« E tu sei sempre romantico » ridacchiò.
« Non sempre. »
Mi accarezzò la guancia con la punta del pollice. Finalmente era mio. Il Valerio tanto desiderato ed invidiato dagli altri si era fatto piccolo per me e per me soltanto.
« Chi se lo sarebbe mai aspettato? »
« E pensare che mi ero promesso di dimenticarti. »
Non posso scordare la spontaneità di quegli attimi, di quelle risate, di quei sorrisi e dei nostri corpi ancora nudi e caldi. Era già calata la sera e Roma pareva ancora più caotica tra i clacson squillanti e il rumore delle rotaie stridenti dei tram che attraversavano la zona. Stava  piovendo. Ed immaginai di avere qualcosa in comune con la pioggia. Abbiamo entrambi la capacità di essere imprevedibi, come quando lei si riversa senza preavviso sulla gente sprovvista d'ombrello o come quando io abbatto ogni barriera di protezione. E siamo entrambi scontrosi, come quando i tuoni ed i lampi squarciano la quiete della notte o come quando io mollo Valerio in aeroporto tra la gente che ci fissa. La pioggia è molto di più di quello che la gente riesce a vedere. Lava via la frenesia delle persone, unisce ed incanta.
« Ti piace la pioggia? » gli domandai.
« Sì, ha un suo perché. A te? »
« Perché ti piace? »
« Mi sento protetto anche quando lei mi bagna. È come se avvolgendomi mi desse un po' dell'affetto che mi manca. Quando invece non lo fa e rimango ad osservarla dalla finestra, si limita a tenermi compagnia. »
Gli spiegai la mia metafora e lui la ascoltò nel massimo del silenzio. Potevamo soltanto sentire le gocce lì fuori baciare la strada.
« Ricordi quando ti ho detto che prima o poi ti avrei fatto conoscere la persona che non sono più? »
Lo guardai ed annuii.
« Sento di dovertela presentare. »
« Ti ascolto » mi schiarii la voce.
Si spostò una ciocca di ricci dalla fronte e deglutì. Era preoccupato di come potessi reagire. Intrecciava nervosamente le dita in una matassa che difficilmente si sarebbe potuta sciogliere.
« Il tre settembre di due anni fa abitavo ancora con mio padre e mia madre, qui. Avevo un amico. Il figlio dei vicini che ormai si sono trasferiti » si fermò per un attimo e poi riprese « Avevo iniziato un percorso dentro di me per cercare di capire se la mia attrazione verso il sesso maschile fosse reale o soltanto qualcosa di passeggero. » Annuii e lo invogliai a continuare. « Andavo in prima superiore nell'istituto accanto al tuo, lo stesso in cui il mio amico seguiva le lezioni. In massima riservatezza gli avevo confidato di essere confuso e lui mi aveva detto che fosse tutto a posto » espirò e si passò la lingua tra le labbra « Quel pomeriggio andai a casa sua e salimmo in camera dove eravamo soliti giocare ai videogame. »
« E...? » domandai curioso.
« Lui mi baciò e facemmo sesso. Il giorno seguente in classe mia tutti quanti ridevano di me alle mie spalle. Aveva diffuso una versione distorta della storia. Spiegò che l'avevo molestato perché ero un finocchio. »
I suoi occhi divennero scuri. « Così all'uscita di scuola gli andai dietro, discutemmo e lo spinsi. Inciampò e batté la testa sul marciapiede. Gliela avevo spaccata. »
Ingoiò un enorme groppo che gli transitava tra la gola e lo stomaco. Stava per piangere.
« È morto. L'ho ammazzato. »
Rimasi immobile.
« Non me lo perdonerò mai, Niccolò » mi disse voltandosi dal lato opposto al mio e continuando a parlare con voce tremante e colma di disprezzo.
« Valerio » lui si voltò « Non è stata tua intenzione. Non volevi ucciderlo. »
I suoi occhi erano gonfi e rossi, di un rosso intenso e spaventoso come il fuoco. Il senso di colpa lo uccideva poco per volta.
« Non ho mai avuto il coraggio di farmi vedere dai suoi genitori. Sentivo sua madre urlare dalla casa accanto ed ogni strillo era per me una coltellata. Un dolore che merito di provare » serrò la mascella e mi guardò mentre gli stavo un po' distante.
Gli avevo promesso che non sarebbe cambiato nulla ed avrei continuato sulla scia di quella idea. Valerio è buono.
« Quelle urla le sento ancora. Le sento qui »si toccò le tempie « Urla che si trasformano sempre in un maledetto incubo. Inizia e finisce sempre alla stessa maniera. »
Fermati, gli dissi schiarendomi la voce. Ma lui non volle. Voleva che sapessi con chi avessi a che fare. « Ci sono io che cammino per i corridoi pieno di me. La gente mi guarda e mi è amica, ma poi compare Andrea. Litighiamo, lo spingo e le mie mani si tingono di un rosso bollente che neppure va via con l'acqua. Tutti mi guardano e dal fondo del corridoio compare Elisabetta, sua madre. Lei urla, io mi sveglio ed urlo anch'io. E gli incubi erano cessati quando ti ho conosciuto, Niccolò. Per questo quando tu mi sei stato distante sono tornati. »
« Mi dispiace » seppi dire soltanto.
« No, tu non hai colpe. Dire mi dispiace è come chiedere scusa e forse io avrei dovuto farlo. Avrei dovuto scrivere quantomeno a lei prima che se ne andasse. Ma non ho mai trovato il coraggio per farlo » tirò su col naso « Non hai paura di me? »
« No, perché mi fido. So che non faresti mai del male a nessuno e che non lo volevi davvero. »
La nostra pelle nuda era unita di nuovo.
« Non lasciarmi andare più. »
« Non ne ho la minima intenzione » lo rassicurai cingendogli i fianchi.

Lasciai che si addormentasse lentamente. Aveva bisogno di qualcuno che gli facesse capire di non essere da solo. Ecco spiegato perché ce l'avesse con la madre. Lui voleva che lei ci fosse in momenti come quello che aveva vissuto con me. La durezza delle lacrime gli aveva abbandonato il viso in un'espressione serena. Era tornato ad essere il solito di sempre. Volli passare con lui la notte. Mia madre aveva definitivamente divorziato da mio padre e non avevo di che preoccuparmi. Faceva freddo ed infilai la felpa di Valerio, poi tirai fuori una coperta e tutto lo avvolsi. Mi sdraiai accanto a lui e mi addormentai anche io. La mattina seguente fui l'ultimo dei due a svegliarsi e lui aveva provato a cucinarmi dei pancakes purtroppo con scarsi risultati.
« Mi dispiace, sono una frana. »
« Conta il pensiero e poi forse, possiamo rimediare » risi « Vieni qui. »
Gli feci spazio e afferrai la frusta. « Dammi la mano » gli dissi da dietro. Lo aiutai con la mia a descrivere dei cerchi veloci e decisi nell'impasto. « Con questa teniamo la ciotola » continuai dandogli un bacio in prossimità della nuca e lui sorrise.
« Spero di aver rispettato bene le dosi. »
« Vedi, l'impasto deve risultare corposo e senza grumi. Più mescoli e più inizierà a diventare omogeneo. »
Era ancora mezzo nudo. Aveva indosso soltanto i boxer. Io afferrai la ciotola con la pastella, cercai una padella ed iniziai a cuocere i pancakes nell'attesa che lui si vestisse. Controllando poi il cellulare vidi che c'era un messaggio da parte di Emanuele:
« Nic, scusami per come ti ho trattato ieri. Sai che non lo penso davvero e che ho bisogno di te, forse più di quanto io abbia bisogno di tutto il resto. Per favore perdonami. »
Messaggio ad Emanuele:
« Non preoccuparti. Immaginavo che prima o poi mi avresti scritto ed preferito soltanto lasciarti i tuoi spazi. »
E quando suonarono al campanello  andai ad aprire la porta. Mi ritrovai davanti una versione più adulta di Valerio. Capelli ricci di un biondo tendente più al cenere che al rame. Stesso viso furbo.
« Sì? » domandai.
« Mi sa che ho sbagliato casa, scusami. »
« Chi cerchi? »
« La famiglia Cantarano. »
« Allora non hai sbagliato » gli dissi e si fece avanti.
« Nic, chi ha suonato? » domando Valerio.
« Ciao fratellino! » gli sorrise il ragazzo.
Io li guardai entrambi con aria confusa e Valerio continuò a rimanere di pietra.
« Che ci fai qui? »
« Sono passato per un saluto. »
Mi ero perso qualcosa. Da quando aveva un fratello? Non ne aveva accennato neppure ed adesso era comparso così, dal nulla? Bruciai la colazione.

SO BADARE A ME STESSOWhere stories live. Discover now