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«Secondo te mi chiamerà?» chiese Ethan alla sorella sulla strada di ritorno.
«Non so. Ma non mi piace questa cosa.»
Ethan la guardò aggiustando lo zaino sulle spalle.
«Cosa non ti piace?»
«È troppo grande, ha venticinque anni e in più è il figlio del professore.» spiegò Lucy.
«Non mi interessa la sua età o di chi sia figlio. Potrebbe anche essere il figlio della regina, a me non farebbe alcuna differenza.» mise le mani in tasca e continuò a camminare.
«Proprio non riesci a tenere le gambe un po' chiuse?» Lucy aveva sempre appoggiato il fratello in tutto, anche se non le andava a genio l'idea di Ethan che andava a letto con una persona differente ogni volta. Non gli aveva mai detto niente e delle volte si era ritrovata ad aiutarlo a conquistare qualcuno, ma quella volta doveva dirgli per forza qualcosa. Tutti quegli anni di differenza non passavano inosservati.
Ethan la guardò ancora senza dire una parola, lasciando che fosse lei a proseguire.
«Meriti molto di più che del semplice sesso. Lo capisci che non mi chiedono se sono la sorella di Ethan ma mi chiedono "sei la sorella della puttana?".»
Ethan alzò le spalle.
«Quello che vogliono dire dicono. Tu lo pensi pure?»
«Certo che no, Ethan. Ma non puoi continuare ad andare avanti così per sempre.» cercava di fargli capire che avrebbe dovuto smetterla prima che fosse successo qualcosa di brutto, ma era praticamente impossibile far cambiare idea a Ethan su qualcosa.
«E perché non posso?» provò a non farle capire quanto ci fosse rimasto male con quel discorso. Certe cose se le sarebbe aspettato dai suoi compagni di classe, da amici che non erano veri amici o da qualche sconosciuto, ma non da lei.
«Perché hai bisogno di un po' d'amore. E so che probabilmente non ci crederai, ma conosco delle persone che ti amano e tu non consideri proprio... o comunque non come vorrebbero loro.»
«Veramente tutti mi odiano...» le fece notare Ethan senza neanche avere torto. Molti odiavano Ethan per il suo essere troppo sincero.
«Non è questo il punto. Smettila di andare a letto con chi capita. Dai un po' di spazio al tuo cuore e non soltanto al tuo...»
Ethan la guardò quasi divertito mentre le sue guance si tingevano di rosso, ma la ragazza non era in vena di scherzare.
«E ti prego, basta con la solita storia "sono troppo piccolo per amare e bla bla bla". Non si è mai piccoli per amare.»
Ethan iniziò a camminare tenendo lo sguardo fisso sull'asfalto.
Stava pensando a Paul, il ragazzo di cui si era innamorato circa due anni  e mezzo prima. Quello nei suoi confronti non era vero e proprio amore, provava qualcosa sì, ma non avrebbe dato la sua vita per lui e neanche immaginava loro due all'altare, comunque qualcosa c'era e non poteva negarlo. Era andato da lui stesso a dirglielo, semplicemente perché non voleva tenerlo per sé dicendo che se doveva stare lontano da lui almeno doveva avere la conferma che il suo sentimento non era ricambiato. E Paul glielo fece capire chiaro e tondo, mettendoglisi a ridere in faccia e spargendo la voce in tutta la loro classe.
A Lucy aveva detto che non era vero soltanto per non farla preoccupare, ma era arrivato il momento di dirle la verità.
Quindi si fermò e fece fare lo stesso anche a lei, che lo guardò confusa. Le indicò gli scalini di una casa e assieme andarono a sedersi.
«Ricordi quando Paul ha detto a tutta la classe che io ero innamorato di lui?» chiese e lei annuì, mettendo la mano sulla gamba del fratello e iniziando a giocare con un filo che usciva dalla cucitura dei suoi jeans, senza togliere uno solo istante gli occhi da quelli di Ethan.
«Ti dissi che non era vero perché sapevo che ti saresti preoccupata per me, quindi lo feci passare come una delle tante stronzate che diceva e che continua a dire. Ma stava dicendo la verità.»
Lucy spalancò gli occhi e Ethan annuì.
«Lui ha esagerato, ha detto che ne ero follemente innamorato, ma no... ho provato e continuo a provare qualcosa per lui ma niente di così importante come ha fatto capire.»
L'unico commento che riuscì a fare Lucy fu un semplice "oddio", poi rimasero in silenzio per minuti, prima che con lo sguardo Ethan la invitasse a dire qualcosa.
«Certo che è... sei un idiota, Ethan! Come si ci può innamorare di un essere così stupido come Paul?»
«È capitato. Non l'ho fatto volontariamente.»
«Lo so. "Al cuore non si comanda", ma... Paul no!»
Quasi quasi a Ethan venne da ridere di fronte alla reazione della sorella, molto comprensibile. Paul non era un ragazzo affidabile e neanche intelligente, anzi, era il contrario.
«E adesso?»
«Adesso cosa?» chiese Ethan.
«Ti piace ancora?»
«Ho provato in tutti modi a non farmelo piacere. Paul è una persona orribile, stupida e non si merita il bene di nessuno, ma il mio cuore è un fottuto bastardo!»
Lucy poteva ben vedere la disperazione nello sguardo eppure non si lasciava andare del tutto, sicuramente non aveva intenzione di piangere per lui. Ethan non piangeva molto, erano davvero rari i casi in cui accadeva e quando lo faceva preferiva essere da solo, al massimo in presenza della sorella. Ma anche in quei casi, il suo pianto consisteva in cinque minuti di lacrime che scendevano silenziosamente, nente che lo avrebbe fatto sfogare a dovere.
«Mi piace ancora, sì. Ma "amore" mi sembra una parola troppo grande, enorme.» alzò lo sguardo verso il cielo dopo che una gocciolina gli colpì il viso e allora Lucy fece la sua stessa cosa.
«Avresti dovuto dirmelo subito. Hai ragione, mi sarei preoccupata ma tu non avresti fatto lo stesso se fossi stata io nella tua situazione?» gli chiese, tornando a guardarlo.
Sapeva che se non aveva voglia di bagnarsi avrebbe dovuto alzarsi e tornare a casa, ma continuava a stare lì a parlare con il fratello, che come lei sembrava non aver voglia di alzarsi.
«Non volevo metterti di mezzo. Sapevo che avresti detto qualcosa a Paul, e lui è così stupido che non si farebbe problemi a metterti le mani addosso.» la guardo mentre la pioggia sempre più insistente iniziava a picchiettare sulle loro teste.
«Mi conosci benissimo.» disse Lucy prendendogli la mano, e si alzò facendo fare lo stesso anche a lui.
«Grazie, Lucy.»
La ragazza lo guardò fermandosi ancora un momento.
«Perché mi stai ringraziando?»
Lui alzò le spalle e con la mano libera mise il cappuccio della giacca sulla testa.
«Non ti sei arrabbiata con me perché ti ho mentito, e questo significa tanto.»
Lucy gli sorrise e riprese a camminare stringendo più forte la mano di Ethan, ma non gli rispose. Non si sarebbe mai arrabbiata con lui per cose così banali.

Marvin era sdraiato sul divano del salotto del suo appartamento a guardare la televisione, anche se non aveva trovato nulla di interessante da vedere se non stupidi cartoni animati che non facevano al caso suo.
La spense e lasciò il telecomando sul divano, quindi si alzò e andò nella sua camera da letto. Si infilò sotto le coperte senza preoccuparsi di togliere i vestiti e prese il cellulare che aveva in tasca. Quando lo sbloccò, la prima cosa che comparse fu il numero del ragazzo che aveva conosciuto a scuola e rise ripensando a come lo aveva avuto. La sua risata però finì subito. Quel ragazzo, Ethan, era davvero bello e sembrava anche molto sicuro di sé, ma era troppo piccolo. Non voleva andare a letto con un sedicenne, anche se le necessità erano quelle e al momento non aveva nessun altro con cui farlo. Fissò per un po' di tempo l'icona verde della chiamata indeciso se premerlo o meno, quindi sbuffò e dopo aver bloccato il telefono lo mise sul comodino girandosi un fianco, decidendo che avrebbe messo da  parte ogni singolo problema -ne aveva davvero tanti-, e avrebbe provato a dormire un poco.
Desiderava poter riposare serenamente dopo mesi e mesi che a malapena riusciva a chiudere occhio, ma anche se si trovava in casa sua, al sicuro sul suo letto gli era impossibile dormire sonni tranquilli, ripensando a tutte le persone che aveva ucciso e che avevano provato a fare lo stesso con lui. Quello faceva parte del suo lavoro, aveva realizzato il suo sogno, che era appunto diventare un soldato, ma al contrario di ciò che pensava non era facile togliere la vita a una persona, se pensava che quella persona aveva una famiglia che lo aspettava impaziente a casa.
Un brivido gli percorse la schiena e si passò le mani fra i capelli corti, girandosi sull'altro fianco. Strinse gli occhi più forte come per nascondere la visione della guerra, ma nella sua testa continuava a vedere elicotteri, esplosioni di bombe e proiettili volare a destra e a sinistra.
Sentì il sudore bagnargli le tempie e poco dopo la maglietta gli si attaccò sulla schiena. Si mise seduto e prese la testa fra le mani tremanti. Aveva un forte mal di testa e un'improvvisa nausea lo costrinse al alzarsi per andare ad aprire la finestra e prendere una boccata d'aria fresca.
Fece un lungo respiro e poi appoggiò la fronte sul vetro della parte di finestra ancora chiusa.
Infilò la mano nel colletto della maglietta tirando fuori la sua piastrina, attaccata ad esse ce ne era un'altra, che separò dalla sua e tenne stretta in una mano. La fissò molto prima di avvicinarsi al suo comodino e di metterla nel primo cassetto, accanto ad una fotografia e una scatoletta di velluto blu.

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TORNERÒ, ETHAN!Donde viven las historias. Descúbrelo ahora