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25/04

Passarono sei mesi da quando Ethan vide per l'ultima volta Marvin, prima della partenza verso l'Iraq. Era strano: aveva pensato che, a lungo andare, si sarebbe sentito meglio e la mancanza del biondo sarebbe pian piano diminuita, però, più i giorni passavano, più la paura e quel senso di vuoto aumentavano, e Ethan si sentiva sul punto di impazzire. Anche se riceveva le lettere, anche se si sentivano tramite videochiamata, per lui non era abbastanza, sapeva che non sarebbe tornato a vivere serenamente e felicemente semmai non lo avesse avuto di nuovo accanto.
Si guardò allo specchio e sorrise a Lucy, accanto a lui, intenta a tingere le labbra di rosso.
«Dimmi una cosa: da quanto ti piace cantare davanti a tutta questa gente, e da quando ti piace cantare... le canzoni dei Partigiani?» chiese la ragazza e Ethan si voltò a fissarla, avvolta in un vestito bianco a righe rosse.
Era la giornata della Liberazione. Come ogni anno, a scuola, la preside organizzava delle serate proprio in onore di essa: i protagonisti erano gli studenti -chi cantava, chi ballava, chi mostrava dei video creati da loro stessi. Ethan non aveva mai partecipato, e non ne aveva mai avuto voglia. Ma, quella volta, era diverso. Sentiva che doveva farlo, sentiva, dentro di sé, che a Marvin avrebbe fatto piacere.
«Che cosa intendi dire?» finse di non capire.
«Lo sai che cosa intendo dire, Ethan!» disse Lucy, appoggiando il rossetto sul comodino.
«Fino all'anno scorso hai detto che non ti interessa niente dell'Italia. Ora, invece, sei disposto a cantare una canzone che non ti piace di fronte a un sacco di gente... che non ti piace.»
«Non mi interessa tutt'ora, veramente. Ma mi interessa di chi combatte per difenderla. Beh, solo di Marvin, veramente. Per lui è un giorno importantissimo, e... non so, sento che devo farlo e basta.»
«Come fa a non interessarti niente del tuo Paese?» chiese Lucy, e Ethan alzò le spalle come risposta.
«Io e Marvin abbiamo litigato molto per questa cosa. Non l'ha presa molto bene. Andiamo?» camminò verso la porta con Lucy accanto, mano nella mano.
«Glielo hai detto prima o dopo il fidanzamento?»
«Se glielo avessi detto prima, per ora non staremmo neanche assieme.» le fece notare, e Lucy rispose con un piccolo sorriso.
Arrivati in cucina, Ethan prese la chitarra appoggiata al divano e la portò alle spalle. Nom era un ottimo suonatore, a dire la verità erano più le cose che non sapeva suonare che quelle che gli venivano bene, eppure, gli piaceva suonarla.
«Sei sicuro di volerlo fare?» chiese Lucy, non del tutto convinta della scelta del fratello.
«Faccio mai qualcosa che non voglio fare? Mi sono offerto io, non sono stato obbligato. Non preoccuparti. Ora andiamo, mamma e papà ci aspettano!»

«Buonasera!» dissero a Mark, Angel e Martina, seduti in prima fila. Per la serata, la preside aveva affittato una sala cinema, sicuramente più grande, spaziosa e comoda della saletta a scuola che utilizzavano per le recite o per delle sfide. Quella volta, non aveva badato a spese.
«Ciao!»risposero i tre, e si alzarono per poterli salutare.
Una volta tornati a sedere, Lucy posò lo sguardo sul palco, e si chiese quando sarebbe cominciato tutto quanto.

Dando una rapida occhiata attorno a sé, si accorse che più della metà della sala era ormai occupata e il suo pensiero andò dritto su Ethan: ce l'avrebbe fatta a cantare davanti tutte quelle persone o si sarebbe fatto prendere dal panico?
Ethan era un ragazzo sfacciato, era vero, ma forse non così tanto! Se qualcosa fosse andato male, comunque, le sarebbe venuto facile raggiungerlo e aiutarlo, ma sperava di non dover arrivare a tanto!
Quando tornò ad ascoltare gli altri, Mark stava dicendo, con espressione dolorante:
«Non è neanche cominciata è già voglio tornare a casa. Ho un terribile mal di schiena e, Dio, voglio soltanto stendermi sul letto e non alzarmi mai più!»
Lucy sorrise, pensando che quella frase l'avrebbe potuta dire benissimo suo zio Damien o suo fratello. O entrambi.
«Gli anni si fanno sentire sempre di più, eh?» disse una voce dietro di loro.
Accovacciato a terra, Marvin sorrideva ai suoi genitori e a sua sorella che, sorpresi e felici, si alzarono velocemente per poterlo salutare e circondato in un forte e caloroso abbraccio. Le poltrone fra di loro erano d'intralcio, ma a nessuno di loro importava poi così tanto! Erano talmente felici di rivedersi che non avevano badato al fastidio provocato dalle poltrone!
Rimasero abbracciati per un po'. Lucy e i suoi genitori, nel frattempo, si erano alzati e guardavano la scena sorridendo, così come alcune persone accanto a loro.
Quando si separarono, Marvin poté salutare anche il resto, con un abbraccio altrettanto lungo e pieno di gioia. Era ovvio, Lucy non aveva con Marvin lo stesso rapporto che aveva con Ethan, però era stata comunque molto felice di rivederlo. Marvin era vivo. Sano e salvo, ed era tornato. Sì, era proprio felice. Soprattutto perché anche le sofferenze del fratello sarebbero finite!
«Sei vivo.» disse Lucy sorpresa, quasi tentava a crederlo.
«Così sembra.» rispose Marvin con quel sorriso che non era andato via neanche per un momento da quando era arrivato.
«Come hai fatto a sapere dove eravamo?» chiese Angel, asciugandosi una guancia con la manica della giacca.
«Sono passato da casa, ma non c'era nessuno, quindi sono andato a cercare Ethan ma neanche lui c'era. Ho chiesto al vostro vicino e ha detto che eravate tutti qui.» spiegò.
«Nulla contro di voi, però mi aspettavo di trovarci anche lui. Dove è?»
«Non lo so esattamente. Da qualche parte, qui dentro. Canterà, questa sera.» rispose Martina e Marvin sembrò sorpreso.
«Sul serio? Stiamo parlando dello stesso Ethan?» chiese Marvin e tutti annuirono.
«Da quando gli interessa questo tipo di cose?»
«So che mi ucciderà per avertelo detto, però beh, diciamo che gli interessa esattamente da quando sei partito.» disse Lucy, scatenando in Marvin, come risposta, un sorriso felice.
«Gli sono mancato?» chiese sedendosi sulla poltrona vuota accanto la ragazza, che finse di non aver sentito la domanda. Se gli avesse risposto dicendo la verità, Ethan probabilmente si sarebbe arrabbiato con lei, e se, invece, avesse detto di no, Marvin ci sarebbe rimasto male. Scelse di cambiare argomento.
«Beh, allora? È andato bene il viaggio.?

La preside aveva dato il via alla serata già da un po': avevano cominciato con un gruppo di ragazzi che cantavano l'Inno Italiano, poi, altri ragazzi avevano letto delle poesie e altri ancora avevano intonato i famosi canti partigiani e altri ancora avevano mostrato video realizzati da loro stessi. Fra una esibizione e l'altra, la preside aveva fatto un po' di lezione di storia, molto apprezzata da Marvin.
«Benissimo... abbiamo ascoltato... ehm... Kevin e ora ascolteremo...» il "presentatore" -un alunno del primo anno- non era molto in gamba con il suo compito: imbarazzato, faceva spesso delle lunghe pause per leggere e spesso si inceppava nel parlare. Evidentemente non era lì di sua spontanea volontà, o aveva cambiato idea all'ultimo minuto.
«Bene... ehm... Ethan Cooper. »
Marvin si voltò verso Lucy, che scuoteva la testa sconsolata.
«Lo ha fatto davvero. Si è registrato Ethan Cooper... non ci posso credere.» disse e Marvin tornò a guardare verso il palco. Cooper era il cognome del cantante del gruppo preferito di Ethan -lo sapeva perché gliene parlava spesso-, e capiva perché lo aveva fatto.
«Se dice una cosa la fa. Ormai dovresti saperlo meglio di me.» Lucy annuì pienamente d'accordo e in quel momento Ethan salì sul palco, la chitarra alle spalle spalle e lo sguardo fiero. Se anche fosse stato a disagio, sicuramente non lo avrebbe dato a vedere, non davanti a tutta quella gente.
«Bene... ecco. Lui è Ethan e... e ci farà ascoltare...» fece di nuovo una pausa per leggere sul foglio. Ethan sembrava stesse perdendo la pazienza.
«Dai, su, ce la puoi fare. Non essere imbarazzato.» disse Ethan, facendo ridacchiare alcune persone del pubblico, compreso Marvin. Era così emozionato di rivederlo dal vivo che era molto tentato di alzarsi e andare da lui, ma certamente non sarebbe stato lui a interrompere lo spettacolo, quindi rimase seduto al suo posto e, una volta finito tutto, o almeno la sua esibizione, si sarebbe alzato e lo avrebbe raggiunto per salutarlo. Aveva aspettato sei mesi, poteva aspettare altri quaranta minuti, no?
«La canzone è "la guerra di Piero" e canta "Ethan Cooper". A dopo.» disse. Ethan lo guardò uscire di scena e si fece scappare una risatina, mentre portava la chitarra davanti e si sedeva sulla sedia portata lì appositamente per lui. L'imbarazzo del "presentatore" aveva portato via ogni traccia di ansia e disagio, e fu quasi una passeggiata iniziare a cantare. Ogni volta che lo faceva, si ripeteva sempre in mente che, se suo zio Damien ormai lo faceva senza alcun problema, lui doveva farlo con molta più spensieratezza, e spesso funzionava. Il fatto che la sala fosse tutta buia -fatta eccezione per i due fari puntati su di lui- lo aiutava di più.
Seduto in prima fila, Marvin lo osservava con un sorriso emozionato che andava da un orecchio all'altro: una delle persone più importanti stava cantando la sua canzone preferita in assoluto, e l'insieme era qualcosa di speciale e unico.
Stava andando benissimo Ethan, pensò Marvin -la voce non gli tremava affatto-, quando, tutto d'un tratto, smise di suonare e di cantare. Senza un apparente motivo. La sala si riempì di chiacchiericci e Lucy scambiò uno sguardo allarmato con Marvin, per poi tornare con lo sguardo verso Ethan: stava fissando verso la loro direzione, e non ci volle molto per capire. Aveva visto Marvin. Ora la sala era di nuovo illuminata per intero, e il biondo poté fargli un piccolo sorriso prima di vederlo alzarsi, sfilarsi la chitarra di dosso e correre nella sua direzione. Non era tanta la distanza che li separava, ma a Ethan, mentre correva, gli sembrava di farlo ormai da ore.
Quando arrivò lì vicino non perse tempo a scendere gli scalini, preferì fare un unico salto. Marvin riuscì a prenderlo al volo senza alcuna fatica.
"C'eravano solo io e lui" era una frase che Ethan leggeva o sentiva dire spesso. Non aveva mai creduto che potesse capitare anche a lui se non fino a quel momento: in sala stavano applaudendo tutti e li osservavano, ma Ethan non riusciva a vedere niente e nessuno se non Marvin, che lo stringeva forte e lo baciava, lo accarezzava sulla schiena e gli sussurrava parole all'orecchio che però Ethan non riusciva a distinguere.
In quei lunghissimi sei mesi Ethan si era ripetuto che, quando si sarebbero rivisti, lui non avrebbe dovuto versare neppure una lacrima, eppure, fra le braccia del biondo, stava dando il peggio di sé, piangendo come un bambino senza riuscire a fermarsi. Era così imbarazzato, ma non riusciva comunque a smettere.
«Mi sei mancato tanto!» disse Marvin, e quella volta Ethan riuscì a capirlo.
Stringendo ancora di più le braccia al collo di Marvin, girò il volto e lo baciò ancora.
«Dio, quanto ti amo!» disse ancora Marvin senza separare del tutto le sue labbra da quelle del moro che, inaspettatamente, rispose:
«Ti amo anche io, Marvin.»

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TORNERÒ, ETHAN!Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora