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Marvin entrò in camera sua passandosi una tovaglia fra i capelli ancora leggermente umidi -la fortuna di averli cosi corti era che si asciugamano da soli e velocemente!
Ethan era sul letto, mangiava un panino e si guardava attorno, forse cercava qualche particolare, qualsiasi, che gli avrebbe fatto conoscere un po' di più Marvin.
«Io non capisco. Perché mi aiuti anche se non ti tratto nel migliore dei modi?»
Marvin si avvicinò a lui ma rimase in piedi, anche se doveva tenere il collo piegato per poterlo vedere ed era piuttosto doloroso.
«Non lo so. Credo di essermi affezionato a te. Sei uno stronzo... o meglio, è quello che vuoi fare credere alle persone, ma ho notato che delle volte sai essere ande dolce e fragile.» fece una breve pausa in cui lanciò la tovaglia a terra -l'avrebbe raccolta dopo- e si sedette ai piedi del letto. Poi riprese:
«Come le angurie. Esternamente sono dure. Fatichi ad aprirle, ma quando finalmente ci riesci capisci che ne è valsa la pena, perché dentro trovi una gustosa polpa dolce e tenera e fragile. Sei un'anguria!» esclamò soddisfatto.
Ethan lo guardava perplesso.
«Se provi di nuovo a chiamarmi così, giuro che ne prendo una e te la rompo in testa!» appallottolò la carta del panino che aveva appena finito e la infilò nello zaino che aveva accanto.
Marvin gli sorrise e spostò lo zaino del ragazzo per sdraiarsi accanto a lui.
«Beh, prima che lo dimentichi, devo chiederti una cosa...»
«Del tipo?»
Ethan infilò una mano sotto il cuscino e ne estrasse una fotografia, non aveva avuto bisogno di girarla perché Marvin la riconoscesse. Sospirò.
«Chi è questo tipo?»
Marvin gli tese la mano chiedendo silenziosamente se potesse averla, e Ethan gliela passò. I suoi occhi azzurri brillavano. Era triste, notò il moro.
«È un ragazzo.» rispose vago Marvin.
«Grazie. Questo lo vedo anche io. È un ragazzo ed è anche molto figo. Ma chi è?»
«Era. Era un ragazzo ed era anche molto bello.» lo corresse Marvin lasciando che il quindicenne capisse da solo.
Ora capiva perché, tutto d'un tratto, era diventato triste.
«Come è successo?»
Marvin fece un lungo sospiro.
«In guerra.»
Ethan aggrottò le sopracciglia.
«Era un soldato?»
«Ah-ah! Questa... è questa la storia che avrei dovuto raccontarti ieri.» confessò, e Ethan doveva ammettere che non si sarebbe mai aspettato la storia di un soldato morto.
«Sono tutto orecchie. Racconta!» lo incitò e si sentì libero di coprirsi e coprire anche lui, come se le coperte lo avrebbero fatto sentire più al sicuro mentre parlava. Marvin gli sorrise. Era davvero un'anguria!
«Ecco... tutto ebbe inizio quando avevo sedici anni, quando sono entrato in accademia militare...» cominciò, ma venne interrotto subito da Ethan, che si era messo seduto e lo guardava dall'alto, con glinocchi sbarrati.
«Frena, frena, frena... sei un fotttuto soldato e non lo hai mai detto?» chiese con poca delicatezza che, nonostante tutto, fece ridere Marvin.
«Sì, Ethan. Non hai mai visto la piastrina?» e indicò la medaglietta argentata appoggiata sul suo petto.
«Anche io ne ho una, credevo fosse una collana!»
Il biondo scosse la testa e lo tirò giù.
«Non è questa la cosa importante. Fammi parlare.»
Ethan non riusciva ancora a crederci, per lui ormai era diventata quella la parte importante ma comunque lo ascoltò.
«Beh, dicevo... a sedici anni cominciai a far parte dell'esercito italiano -era il mio sogno fin da quando ero un bambino ed ero emozionatissimo, anche se me la stavo facendo addosso allo stesso tempo. In accademia ho conosciuto tante persone, mi sono trovato bene con molti di loro e male con altre, ma, in un certo senso, non mi fregava niente di tutti gli altri, perché Aaron mi colpì più di tutti. Aveva i capelli neri e gli occhi grigi, particolari, e il suo sorriso era dolcissimo. E bellissimo. Si creò un bellissimo rapporto, fra noi due. Eravamo nello stesso dormitorio quindi, anche quando tutte le luci si spegnevano, noi stavamo assieme a parlare, scherzare, fingere di dormire quando venivano a controllare e poi di nuovo, parlare, scherzare e ridere -quanto amavo la sua risata. So che te lo starai chiedendo, quindi te lo dico direttamente: abbiamo fatto anche altro, oltre che parlare e ridere, ed era bellissimo. Siamo riusciti a rendere emozionante ed eccitante il sesso, anche se eravamo a rischio ogni volta che lo facevamo. Mi sono innamorato di lui. Era impossibile non farlo. Ho provato a tenerlo nascosto -essere gay ed essere soldati, per molti, non è una gran bel cosa-, ma credo di aver fallito miseramente: tutti lo avevano capito, tutti potevano vederlo e anche sentirlo. Aaron compreso. Lo sapeva. E io sapevo che anche lui mi amava. Ci amavamo, ma non sentivamo il bisogno di dircelo. Poi partimmo per la prima missione, per la seconda e per la terza, siamo tornati vittoriosi e abbiamo continuato ad amarci silenziosamente. Non voglio dilungarmi troppo, quindi ti dirò direttamente cosa accade quel giorno in Iraq, la fine della sua vita, della mia felicità e, infondo, anche della mia stessa vita.» fece una pausa. Ethan non poté fare a meno di notare il modo in cui stringeva a sé quella fotografia, quasi come se ci fosse stato Aaron in persona fra le sue braccia e no un rettangolo plastificato. Marvin si scusò per aver interrotto in discorso ma a Ethan non dava fastidio, l'unica cosa che fece fu prendere i fazzolettini dalla tasca esterna del suo zaino e passarglieli. Marvin li accettò volentieri. Era davvero difficile parlarne, non ne aveva mai parlato con nessuno se non con lo psicologo e faceva male, tanto male.
Quando riprese a parlare, una lacrima gli bagnò la guancia e la tolse subito. Non voleva piangere durante il discorso.
«Partimmo in tanti per la missione in Iraq, ma un giorno -quel giorno- ci ritrovammo io e Aaron e pochissime altre persone. Abbiamo lottato, abbiamo sconfitto e siamo stati sconfitti. Abbiamo visto morire tanti dei nostri, fino a quando non siamo stati io e Aaron soltanto. Abbiamo corso tanto per raggiungere i nostri, abbiamo incontrato nemici e Aaron, durante il tragitto, ha perso la sua arma -non ricordo esattamente come, ma a nessuno importa questo dettaglio! Eravamo vicino, da lontano vedevamo il nostro accampamento e, ingenuamente, abbiamo pensato che eravamo "al sicuro", per quanto sicuri si può essere in un luogo dove cadono bombe a destra e sinistra e i proiettili volano come uccelli. Ci siamo ritrovati faccia a faccia con un nemico. Non so quanto tempo siamo stati a fissarci, forse troppo o troppo poco. Non lo so. È difficile regolarsi, lì. Aaron mi diceva di sparare e ucciderlo -io ero l'unico tra me e lui ad essere armato, lo ricordi?-, ma guardavo in faccia il ragazzo e potevo vedere soltanto un ragazzino. Poteva avere la tua età, quindici anni massimo o forse, addirittura, quattordici. Non volevo ucciderlo. Più Aaron mi diceva di ucciderlo più io ripetevo "è soltanto un ragazzino". Sento ancora i loro sguardi puntati addosso a me. Il ragazzo mi fissava, era armato ma credevo che, visto che io non stavo sparando, lui non lo avrebbe fatto altrettanto. Che idiota, cazzo! Lui ha sparato. Ma non ha me... no, sarebbe stato troppo bello. Ha ucciso Aaron, gli ha sparato senza pietà e io non sono riuscito a muovere un solo muscolo, non l'ho ucciso neanche dopo che luinaveva ucciso Aaron. Io sono viso soltanto perché la sua arma si è inceppata ed è scappato, ma al momento anche io sarei morto! Ho guardato Aaron che teneva una mano sulla sua ferita e si accasciava piano piano a terra, mentre il sangue gli sporcata l'uniforme e le mani e la terra sotto i suoi piedi. Quando finalmente sono riuscito a muovermi l'ho afferrato, e mi sono inginocchiato a terra, sul suo sangue, con lui addosso, che a poco a poco mi abbandonava. Ho pianto. Ho pianto così tanto! Non credo di aver pianto così tanto in vita mia, prima d'allora. Gli ho detto che mi dispiaceva, che non volevo che succedesse e che avrei preferito essere io al suo posto, che avrei capito perfettamente la sua rabbia nei miei confronti... ma lui mi diceva di non preoccuparmi, che andava tutto bene. Ha avuto il tempo di accarezzarmi la guancia e togliere qualche lacrima con il pollice -mi ha lasciato una scia del suo stesso sangue che ancora posso sentirmi addosso-, mi ha sorriso, ha tossito sputando del sangue e poi, ripetendo ancora che andava tutto bene... è morto. Addosso a me. Per colpa mia. Poi si è fatto buio, ma io non avevo la forza per chiamare rinforzi o per raggiungere l'accampamento. Mi sono sdraiato accanto a lui, l'ho coperto con la mia giacca e dopo molto tempo mi sono addormentato. Con il corpo morto del ragazzo che amavo, accanto.»
Quando finì il racconto, non riusciva a guardare negli occhi Ethan. Lui stava piangendo silenziosamente, prese un fazzoletto dal pacchetto che gli aveva passato prima Ethan e lo utilizzò per asciugarsi il viso.
Il moro non parlava, forse aspettava il seguito, ma la storia era finita lì.
«È tutto.» disse quindi Marvin, con la voce spezzata dal pianto.
«Cazzo! Questa è la storia più triste e atroce che abbia mai sentito in vita mia, e mio zio è fonte di storie tristi e deprimenti! Ma questa... questa le batte tutte, cazzo. Sei un vero idiota! Non ha senso! Davvero, non ha assolutamente senso! Ok, non deve essere bello e sopratutto facile uccidere qualcuno, specialmente un adolescente, ma quello è il tuo lavoro. Poteva avere anche cinque anni, se ha un fottuto mitra in mano lui è un fottuto nemico e va eliminato prima che lui elimini te... o il tuo ragazzo!»
Marvin non rispose. Ethan aveva ragione.
«Se vuoi la mia opinione, e la vuoi sincera... beh, posso dirti che fai bene a sentirti una merda. E sinceramente, sono più che felice di non essermi trovato al posto di Aaron.» concluse.

☆☆

TORNERÒ, ETHAN!Where stories live. Discover now