Capitolo 18

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"Che ci fate già qui?" domandò Garrett, pulendosi il sudore della fronte sulla maglietta; era chiaramente appena tornato da una corsa.
"Qualcuno deve pur lavorare Garrett" sbuffò Jonathan, alzandosi dalla sedia con fare nervoso.
"Posso permettermi una serata di riposo" gli rispose Garrett.
A volte il suo atteggiamento menefreghista non faceva altro che farlo sembrare meno intelligente di quanto in realtà fosse.
"Sky..." mi richiamò, venendo verso di me al bancone "...tu invece sei splendente oggi" disse più serio del previsto, accennando un sorriso imbarazzato.
"Grazie" gli risposi, cercando di non sembrare totalmente contrariata alle sue parole, infondo era stato dolce da parte sua.

Stava per aggiungere altro, quando si bloccò, notando come la mia attenzione fosse stata ormai catturata da altro: udendo un improvviso rumore mi voltai nella direzione di Jonathan, constatando come i vari fascicoli che poco prima aveva accuratamente sistemato, gli fossero caduti in modo scombussolato sul pavimento.
"Ti do una mano" dissi, avventandomi nella sua direzione, cercando di porre rimedio al casino che aveva appena combinato.
"Non c'è bisogno" rispose lui, severo.
"Credimi, lo preferisco" gli sussurrai ironicamente, evitando di farmi sentire da Garrett, le cui lusinghe mi avevano imbarazzato e messa a disagio.
Un leggero sorriso a quel punto, gli si stampò in viso e non potei evitare di sorridere a mia volta.
"Tu sai che puoi anche essere scortese con le altre persone vero?" mi domandò, riferendosi probabilmente al mio atteggiamento sempre e fin troppo permissivo.
"Certo, è che la via della diplomazia mi è sempre sembrata la migliore" risposi, fiera di me stessa.

"Grazie per includermi nelle vostre conversazioni" esclamò Garrett, ironicamente offeso.
"Garrett, sei così pesante che mi chiedo come tua madre non ti abbia ancora cacciato di casa" gli urlò Jonathan, facendolo indignare.
"Perché continui con questa storia di mia madre? Davanti a Skyler poi" replicò, arrabbiato.
"Garrett dovresti aver capito che non sono una persona alla quale piace giudicare. Devi piuttosto ritenerti fortunato" gli dissi, abbassando gli occhi.
Le parole mi morirono in gola quando realizzai cosa avevo appena detto e cosa mi sarebbe aspettato di lì in poi.
"Perché è fortunato?" mi domandò Jonathan, notando la mia espressione contratta.
Mi avvicinai allo sgabello, sedendomici distrattamente sopra.

"I miei sono morti quando ero molto piccola, perciò..." non seppi cos'altro dire; mi limitai ad alzare le spalle e accennai un sorriso finto.
Non ero più abituata a condividere questa parte della mia vita; mi ero scordata quanto fosse spiacevole parlarne ad alta voce.
"Mi dispiace" disse Garrett, provato.
Jonathan si mise a sedere a sua volta e con aria cupa, mi domandò come fosse successo.
"Incidente d'auto. Ero molto piccola perciò non ricordo granché. Era un giorno normale, come tutti gli altri, quando mia zia Susan, mi disse che non li avrei più rivisti..."
Mi morsi il labbro, cercando di colmare il grande vuoto nel petto che mi si era appena formato.
"Quindi poi hai sempre vissuto con tua zia?" mi domandò Garrett.
"Si, fino ai 18 anni. Dopodiché sono andata al College; uno dei ricordi più belli della mia vita" sorrisi, ricordando quei momenti con fin troppa nostalgia.
"Dopo l'esperienza a Joacksonville ovviamente" esclamò ironico Garrett, facendo sorridere involontariamente entrambi.
Improvvisamente sentimmo delle voci in lontananza.
Aston e Martha di avevano raggiunti: era ormai giunto il momento di mettersi al lavoro; la serata sarebbe stata lunga.

"Senza Martin ve la siete cavata bene, vedo" disse Alexis, sistemandosi il mini top fucsia; le  sue scelte in fatto di vestiario erano assolutamente discutibili.
Le ultime ore erano trascorse a rilento e nonostante il locale fosse gremito e di lavoro ce ne fosse fin troppo, i minuti sembravano non passare mai.
Jonathan non era più uscito dall'ufficio di Martin in cui si era rintanato dopo che la mia amica ed il suo ragazzo erano arrivati.
Avevo più volte ripensato alla nostra conversazione di quel pomeriggio, sospettando come in realtà sotto tutta quella spavalderia si nascondessero sentimenti forti, che spesso cercava di contrastare.
Avevo notato come, raccontandogli dell'incidente d'auto, la sua mano si era avvicinata involontariamente alla mia, per poi essere ritratta con codardia.
C'era qualcosa di indecifrabile in lui, qualcosa che probabilmente non mi sarebbe mai stato concesso di scoprire.

CIÒ CHE CI RIMANE DELLE STELLEWhere stories live. Discover now