Capitolo 31

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Le mie braccia, aggrappate saldamente alla sua schiena, non smisero di tremare sotto l'aria gelida di quel pomeriggio.
Jonathan, rimasto in silenzio per tutto il viaggio, si era limitato a sfrecciare con la sua moto verso casa, voglioso di porre fine a quella sofferenza; non aveva più menzionato ciò che era accaduto poco prima, né io, avevo avuto il coraggio di oppormi.
Era tornato freddo, indifferente, fin troppo distante da me.
Il mio sguardo cercò a lungo il suo durante il tragitto, fin troppo breve, senza mai però,  trovarlo.
Arrivammo davanti all'appartamento molto prima di quanto mi aspettassi e con mio rammarico, la giornata si era appena conclusa nel peggiore dei modi.
"Jonathan..." osai pronunciare, mentre, scendendo distrattamente, troppo presa dai miei pensieri, gli restituii il casco.
Quando si girò verso di me, notai come in realtà non fosse davvero lì.
"...so che non sono semplice da comprendere in questo momento, ma tu devi..."
"Devo andare" mi interruppe freddamente.
Accese il motore e prima di partire, senza nemmeno aver indossato il casco, mi guardò per un'ultima volta.
"Siamo diversi" aggiunse, sovrastando quel rombo infernale.
La mia espressione si corrucciò e incapace di aggiungere altro, lo lasciai allontanarsi sempre di più, finché non potei scorgere niente di più se non la sua sagoma sbiadita.

Ciò che spesso mi trovavo a recriminare a me stessa era la costante paura che mi sovrastava, a volte totalmente disarmante, quando il destino poneva davanti al mio cammino una nuova sfida.
Ero sempre stata spaventata dalle nuove possibilità, nonché dalle sopraggiunte emozioni ad esse legate.
Jonathan era arrivato come un fulmine a ciel sereno, in un momento nel quale tutto avrei dovuto fare tranne che interessarmi ad un'altra persona.
Eppure, in preda al panico e alla delusione, in quel momento mi resi conto che era accaduto: mi era affezionata a lui.
La delusione mi travolse, e sofferente, mi lasciai andare a un pianto liberatorio.
Piansi lì, sul ciglio della strada; piansi per me, per tutte le occasioni mancate a causa della paura, per tutte le persone che avevo perso e per tutte quelle che avrei voluto vicino a me.

Sentii improvvisamente due braccia calde avvolgermi dolcemente, riconoscendo poco dopo il profumo di Martha.
"Sky..." mi richiamò, accarezzandomi i capelli bagnati.
"Va tutto bene" le dissi, asciugandomi le lacrime ormai mischiatesi con la pioggia, che violenta, si era abbattuta senza preavviso sul mio corpo infreddolito.
"Non si direbbe dato il tuo aspetto."
"Possiamo rientrare?" la supplicai, stringendomi nel maglione che mi aveva posato sulle spalle.
Arrivate in casa, il calore domestico mi avvolse e senza curarmi del resto, mi diressi sul divano, priva di energie.
"Sky è tutto ok?" mi domandò una voce familiare alle mie spalle.
Alzai gli occhi, ormai troppo arrossati per fingermi forte.
Aston, sconcertato, continuava a scrutarmi dalla testa ai piedi.
"Va tutto bene..." provai a dire, ma la mia amica mi interruppe.
"Certo, come no; come se non sapessi che razza di idiota è Jonathan. Non mentirmi Skyler!" urlò lei.
Aston cercò di calmarla, andandole incontro e dicendole qualcosa di a me incomprensibile.
Ero stanca che tutti pensassero di doversi prendere cura di me.
"Jonathan é un bravo ragazzo..." iniziai, richiamando l'attenzione di entrambi "...è stata colpa mia..." dissi riferendomi al mio aspetto, mentre, alzandomi lentamente, provavo a riassumere un aspetto decente "...non ditegli nulla. Ve ne prego. È stata una bella giornata per lui, non voglio rovinargliela più di quanto non abbia già fatto."
Silenziosa mi incamminai verso la mia stanza, sotto i loro occhi attoniti; sicuramente non si aspettavo una simile confessione da parte mia.

Dopo aver controllato l'orologio, infilai velocemente il pigiama, chiudendo entrambe le finestre, per poi adagiarmi, frastornata, sotto le coperte.
Probabilmente stare sola non era la scelta più giusta; Martha mi avrebbe dato sicuramente uno dei suoi consigli spassionati e con Aston, ci avremmo riso su.
Ma al momento, il buio, il silenzio e i ricordi di quella giornata mi sembravano l'unica soluzione adatta.
Come se non bastasse, avevo persino preferito tenere per me ciò che mi aveva tolto il respiro la sera precedente.
La voce di quell'uomo rimbombava senza sosta nelle mie orecchie; avrei dovuto di certo confidarmi con Jonathan, ma spaventata, avevo preferito riporre quel problema, per godendoci così quell'istante di serenità.
Ma a quanto pare, niente era andato per il verso giusto.

CIÒ CHE CI RIMANE DELLE STELLEWhere stories live. Discover now