15 Capitolo (1^parte)

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Una carrozza dei Guardiani ci accompagnò da Temple a Belgravia, costeggiando il Tamigi, e stavolta riuscii a riconoscere
molti angoli della città che conoscevo. Il sole illuminava il Big Ben e la cattedrale di Westminster, e con mia grande gioia gli ampi viali erano gremiti di persone a passeggio, con cappelli, parasole e abiti leggeri uguali al mio, i parchi erano accesi di verde primaverile, le strade erano asfaltate e niente affatto fangose.
«Sembra l’ambientazione di un musical!» esclamai. «Anch’io voglio un parasole così.»
«Abbiamo scelto proprio una bella giornata», osservò Gideon. «E un buon anno.» Aveva lasciato il cilindro nel sotterraneo e, siccome al suo posto avrei fatto lo stesso anch’io, non gli avevo detto niente.
«Perché non abbiamo incontrato Margret a Temple, quando ci andava per trasmigrare?»
«Ci ho provato già due volte. Non è stato facile convincere i Guardiani delle mie buone intenzioni, nonostante la parola d’ordine e l’anello con sigillo e tutto il resto. È sempre molto difficile prevedere le reazioni dei Guardiani del passato. Nel dubbio preferiscono mettersi dalla parte del viaggiatore del tempo che conoscono e che hanno il compito di difendere, piuttosto che
credere al visitatore del futuro che spesso non conoscono affatto. Lo stesso hanno fatto stanotte e stamattina. Con una visita a casa sua forse saremo più fortunati. Di sicuro la coglieremo di sorpresa.»
«Non è possibile che sia sorvegliata giorno e notte da qualcuno che aspetta solo il nostro arrivo? Lei dopotutto ci conta. E già da
molti anni, giusto?»
«Negli Annali dei Guardiani non c’è traccia di incarichi straordinari di sorveglianza. Solo il novizio di ordinanza che tiene d’occhio la casa di ogni viaggiatore nel tempo.»
«L’uomo nero», esclamai. «Ce n’è uno anche davanti a casa nostra.»
«Scommetto che è piuttosto riconoscibile.» Gideon sorrise.
«Già, proprio così. La mia sorellina crede che sia un mago.» Così dicendo mi venne in mente una cosa. «Tu hai fratelli o sorelle?»
«Un fratello più piccolo», rispose Gideon. «Oddio, così piccolo poi non è. Ha diciassette anni.»
«E tu?»
«Diciannove», rispose Gideon. «Quasi.»
«Se non vai più a scuola, che cosa fai? A parte viaggiare nel passato, ovvio.» E suonare il violino. E qualunque altra cosa facesse.
«Ufficialmente sono iscritto alla University of London», rispose.
«Ma credo che salterò questo semestre.»
«Che facoltà?»
«Ma sei proprio curiosa, lo sai?»
«Conduco solo una conversazione», replicai. Quell’espressione l’avevo imparata da James. «Allora, che cosa studi?»
«Medicina.» Sembrava un po’ impacciato. Io soffocai un «oh!» di sorpresa e tornai a guardare fuori dal finestrino. Medicina. Interessante. Molto interessante.
«Quello insieme a te oggi a scuola è il tuo ragazzo?»
«Cosa? Chi?» Lo guardai interdetta.
«Quel tizio dietro di te, che ti teneva la mano sulla spalla.» Sembrava una domanda casuale, quasi disinteressata.
«Ti riferisci a Gordon Gelderman? Dio ce ne scampi!»
«Se non è il tuo ragazzo, perché può toccarti?»
«Non può farlo. Sinceramente non mi sono nemmeno accorta che l’abbia fatto.» E il motivo era perché ero troppo occupata a
osservare Gideon che si scambiava tenerezze con Charlotte. Quel ricordo mi fece arrossire violentemente. Lui l’aveva baciata. Almeno quasi.
«Perché sei arrossita? Per colpa di Gordon Gallahan?»
«Gelderman», lo corressi.
«Quello che è. Aveva l’aria da idiota.»
Scoppiai a ridere. «In effetti si comporta anche come tale», dissi. «E bacia in maniera orribile.»
«Certi particolari non mi interessano.» Gideon si chinò per allacciarsi una scarpa. Quando si rialzò, incrociò le braccia sul petto e guardò fuori dal finestrino. «Guarda! Siamo già a Belgrave Road. Sei curiosa di conoscere la tua trisavola?»
«Sì, molto.» Dimenticai all’istante ciò di cui stavamo parlando. Era tutto così strano. La mia trisavola che stavo per incontrare aveva
diversi anni meno di mia madre.
Doveva essersi accasata bene, perché la dimora su Eaton Place davanti alla quale si fermò la carrozza era molto signorile. E il
maggiordomo che ci aprì la porta lo era altrettanto. Era persino più altezzoso di Mr Bernhard. Portava addirittura i guanti bianchi! Ci osservò diffidente mentre Gideon gli porgeva un biglietto da visita e lo informava che eravamo visitatori a sorpresa per il tè. Di sicuro la sua vecchia amica Lady Tilney sarebbe stata molto felice di sapere che Gwendolyn Shepherd era passata a trovarla.«Credo che non ti ritenga all’altezza», gli dissi dopo che il maggiordomo si era allontanato con il biglietto da visita. «Senza cappello e basettoni.»
«E senza baffi», aggiunse Gideon. «Quelli di Lord Tilney vanno da un orecchio all’altro. Guarda, quello è il suo ritratto.»
«Oh, mio Dio», esclamai. La mia trisavola aveva davvero un gusto bizzarro in fatto di uomini. I baffi del ritratto erano di quelli che di notte vanno arrotolati intorno ai bigodini.
«E se non volesse riceverci?» domandai. «Forse non ha voglia di rivederti così presto.»
«Così presto mica tanto. Per lei sono passati quasi diciotto anni.»
«Così tanti?» Sulle scale era comparsa una donna, alta e slanciata, la chioma rossa pettinata in un’acconciatura non dissimile dalla mia. Era identica a Lady Arisa, ma con trent’anni di meno. Osservai stupefatta che anche la sua andatura rigida era perfettamente identica a quella di Lady Arisa. Quando si fermò davanti a noi, restammo tutti in silenzio, talmente eravamo assorti nell’osservarci a vicenda. Riconobbi anche qualcosa di mia madre nella mia trisavola. Non so che cosa o chi
Lady Tilney vedesse in me, ma annuì sorridendo, come se la mia vista l’avesse soddisfatta. Gideon aspettò ancora qualche momento, poi disse: «Lady Tilney, ho da farle sempre la stessa richiesta di diciotto anni fa. Abbiamo bisogno di qualche goccia del suo sangue».
«E la mia risposta resta quella di diciotto anni fa. Non otterrai il mio sangue.» Gli voltò le spalle. «Però posso offrirvi un tè. Anche se è un pochino troppo presto. Comunque davanti a una bella tazza di
tè si chiacchiera meglio. »
«Allora accettiamo volentieri una bella tazza di tè», rispose Gideon galante. La seguimmo di sopra in una stanza laterale della casa. Sotto la finestra c’era un tavolino rotondo apparecchiato per tre, con piatti, tazze, posate, pane, burro, marmellata e al centro un vassoio di raffinati tramezzini al cetriolo e focaccine.
«Sembra quasi che ci stesse aspettando», osservai, mentre Gideon si guardava in giro per la stanza. Lady Tilney sorrise di nuovo. «Proprio così, vero? La tavola dà questa impressione, ma in realtà aspettavo altri ospiti. Comunque accomodatevi.»
«No, grazie, date le circostanze preferiamo restare in piedi», disse Gideon improvvisamente nervoso. «Inoltre non vorremmo disturbarla troppo a lungo. Ci accontenteremo di qualche risposta.»
«A quali domande?»
«Come fa a conoscere il mio nome?» domandai. «Chi è stato a raccontarle di me?»
«Ho ricevuto altre visite dal futuro.» Il suo sorriso si allargò. «Mi capita spesso.»
«Lady Tilney, ho già cercato di spiegarle una volta che il suo visitatore le ha dato informazioni del tutto errate», disse Gideon.
«Commette un grave errore a fidarsi delle persone sbagliate.»
«È quello che dico sempre anch’io», disse una voce maschile. Sulla soglia era comparso un giovanotto che entrò con passo disinvolto.
«Margret, te lo dico sempre che sbagli a fidarti delle persone sbagliate. Oh, ma che delizia. È per noi?» Gideon aveva trattenuto bruscamente il fiato, poi mi afferrò per
un polso.
«Non si avvicini più di così!» ordinò.
L’uomo alzò un sopracciglio. «Voglio solo prendere un tramezzino, se non hai niente in contrario.»
«Serviti pure.» Mentre la mia trisavola usciva dalla stanza, il maggiordomo si piazzò sulla soglia. Nonostante i guanti bianchi somigliava in tutto e per tutto al buttafuori di un locale malfamato.
Gideon imprecò sottovoce.
«Non devi avere paura di Millhouse», disse il giovane. «Anche se pare che abbia già spezzato il collo a qualcuno. Per sbaglio però, vero, Millhouse?»Io rimasi a fissarlo interdetta. Aveva gli stessi occhi di Falk de
Villiers, gialli come ambra. Come un lupo.
«Gwendolyn Shepherd!» Quando mi sorrise, la somiglianza con Falk de Villiers divenne ancora più marcata. L’unica differenza era
che aveva almeno vent’anni di meno e i capelli corti nerissimi. Il suo sguardo mi intimoriva, era amichevole, ma tradiva anche qualcos’altro che non riuscivo a definire meglio. Rabbia? Dolore?
«È un vero piacere conoscerti.» La sua voce per un attimo si fece più rauca. Mi porse la mano, ma Gideon mi afferrò con entrambe le sue e mi tirò verso di sé.
«Non provare a toccarla!»
Di nuovo un sopracciglio alzato. «Di che cosa hai paura, piccolo?»
«So benissimo che cosa vuoi da lei!» Sentii il cuore di Gideon che batteva contro la mia schiena.
«Sangue?» L’uomo si servì di uno dei minuscoli tramezzini e se lo infilò in bocca. Poi sollevò le mani mostrandoci i palmi e disse: «Niente siringhe, niente bisturi, vedi? Adesso lascia la ragazza. Rischi di stritolarla». Di nuovo quello sguardo indefinibile rivolto verso di me. «Mi chiamo Paul. Paul de Villiers.»
«Lo avevo immaginato», dissi. «Lei è quello che ha sedotto mia cugina Lucy e l’ha convinta a rubare il cronografo. Per quale
motivo?» Paul de Villiers fece una smorfia. «Trovo comico che tu mi dia del lei.»
«E io trovo comico che lei mi conosca.»
«Smettila di parlare con lui», mi ordinò Gideon. Aveva allentato un po’ la presa, mi teneva stretta a sé solo con un braccio, mentre con l’altro aveva aperto una porta di servizio e stava guardando nella stanza accanto. Un secondo uomo con i guanti bianchi comparve subito anche lì.
«Questo è Frank», disse Paul. «Siccome non è grande e forte come Millhouse, ha una pistola, vedi?»
«Sì», sibilò Gideon richiudendo la porta.
Aveva visto proprio giusto. Eravamo finiti in una trappola. Ma com’era potuto accadere? Era impossibile che Margret Tilney
passasse le giornate ad apparecchiare la tavola per noi e a tenere un uomo in attesa con la pistola nella stanza accanto.
«Come faceva a sapere che saremmo venuti proprio oggi?» domandai a Paul.
«Già. Se ora ti dicessi che non lo sapevo affatto, ma che sono passato di qui per caso, tu di sicuro non mi crederesti, vero?» Prese
una focaccina e si mise a sedere su una sedia. «Come stanno i tuoi cari genitori?»
«Zitto!» sibilò Gideon.
«Avrò pure il permesso di chiederle come stanno i suoi genitori!»
«Bene», risposi. «Almeno la mamma. Papà è morto.» Paul assunse un’espressione sbigottita. «Morto? Ma Nicolas è forte e sano come una quercia!»
«Aveva la leucemia», ribattei. «È morto che io avevo sette anni.»
«Oddio, quanto mi dispiace.» Paul mi guardò serio e addolorato.

Ruby RedTahanan ng mga kuwento. Tumuklas ngayon