11. Capitolo X - Pieces

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« Perché questo posto sembra un porcile? » George Weasley calciò il corpo di Blaise Zabini lontano da Hermione che – confusa al massimo e con un cespuglio al posto dei capelli – si alzò a sedere di scatto mezza intontita e mezza addormentata, guardando il fratello del suo ex fidanzato con l’aria di chi non sa nemmeno dove si trova.
« George? Che ci fai qui? » borbottò Hermione, cercando di allontanare il braccio di Harry dal suo stomaco: George, senza troppe cerimonie, calciò via anche lui, aiutandola ad alzarsi senza alcuno sforzo e guardando gli altri occupanti della stanza con un sopracciglio alzato.
« Che mi sono perso, Hermione? » domandò, indicando con il mento Theodore Nott spaparanzato su Pansy Parkinson, rannicchiata su un fianco. In realtà, dopo aver messo a letto Draco – che ora ronfava allegramente nella sua stanza – avevano chiacchierato del più e del meno fino alle cinque di mattina, crollando sul pavimento uno dopo l’altro e senza nemmeno pensare, in realtà,di ritornare ognuno nei propri dormitori.
« Andiamo nelle cucine? Ho bisogno di fare una sana colazione per riprendermi del tutto » sbadigliò la ragazza, che indossava ancora il vestito del giorno prima. George la guardò da capo a piedi, fischiando a quella vista più che gradevole e strizzandole l’occhio con fare ammiccante.
« Sei uno schianto, Caposcuola! » disse, porgendole il braccio come un vero gentiluomo e portandola fuori dalla Torre Nord. Hermione sorrise, poggiando il capo sulla sua spalla e stringendosi contro di lui. Le era mancato il suo profumo e il suo fare scherzoso che – incredibilmente – sapeva cancellare ogni dolore. George, che il dolore lo teneva dentro, sapeva cancellarlo dai cuori di chiunque incontrasse.
« Come stai, George? E come mai sei qui? » domandò, mentre continuavano a scendere un’infinità di scale per arrivare a destinazione. Il ragazzo fece spallucce, guardandosi attorno con aria malinconica: non era cambiato nulla, ma sembrava cambiato tutto, persino l’aria che respirava aveva un sapore più acre del normale, capace di sciogliergli la lingua, il cuore e l’anima in un fiume di acido; lo stesso che ora sembrava scorrergli nelle vene. Merlino, se faceva male.
« Ho chiesto alla Mcgranitt il permesso di fare un giro da queste parti, magari salutarvi – visto che non ci sono state molte occasioni per vedervi – e passare un po’ di tempo insieme… non ritornavo dalla… beh, dalla sua morte e mi chiedevo come sarebbe stato. Ma poi mi ha raccontato che Harry e Malfoy sono stati messi in una specie di “punizione” – bella merda, eh? Harry non se ne scansa una! – e poi mi ha detto che li aveva mollati nella Torre Nord per mancanza di posti e per una sicurezza maggiore. Credevo di trovare quei due ammazzati di botte, ma invece ho trovato tre Serpeverde e due Grifondoro collassati su un pavimento » disse, guardando Hermione in modo eloquente; quest’ultima arrossì, scuotendo il capo e abbozzando un sorriso.
« Ieri è stato allestito un ballo e so che è una cosa pazzesca, ma la Mcgranitt ha accettato la richiesta del consiglio studentesco solo perché le sembrava un giusto “modo” per distrarre la menti e riconciliare i diversi dormitori dopo la guerra… e dopo tutti gli attacchi che sono successi qui ad Hogwarts.
Tua sorella ha fatto ubriacare Malfoy e ci siamo ritrovati a dovergli fare da balia. È incredibile come un uomo cambi quando è sotto effetto dell’alcool e non sai quante volte abbiamo dovuto impedire Harry di accopparlo.
Ron – dopo aver quasi ammazzato Zabini – si è portata via Ginny – che a sua volta ha quasi ammazzato lui – e noi abbiamo cercato di mettere a letto Draco, che ti dico, si è addormentato dopo ore e una ninnananna che, molto probabilmente, Harry gli rinfaccerà a vita. Siamo crollati stanchi morti anche noi e onestamente non ci abbiamo nemmeno pensato a ritornare nei dormitori… qualcuno, comunque, aveva dell’alcool in circolo e non ci fidavamo a farlo girare da solo per Hogwarts, almeno non con i tempi che corrono. Girano brutte persone, ultimamente, per i corridoi di notte » spiegò Hermione, cercando di non tralasciare nulla e spiegare almeno in parte la presenza dei Serpeverde e il legame che, lentamente, stavano cercando di instaurare. Non era poi così male come avevano creduto, in fondo, erano tutti umani e come tali sapevano incastrarsi bene tra di loro.
« E… si comportano bene con te, Hermione? » domandò George, fermandosi di fronte al ritratto che li avrebbe condotti nelle cucine: solleticò la frutta e la aiutò a entrare. Gli elfi erano in pieno fermento, ma trovarono spazio – estasiati – per farli accomodare e per servirli di ogni pietanza possibile e immaginabile. « Grazie » mormorò Hermione, afferrando tra le mani una tazza di cioccolato fumante e riscaldandosi le mani intorpidite dal freddo; George si tolse il giaccone e lo posò sulle sue spalle, venendo ringraziato da uno dei sorrisi di Hermione, uno di quelli speciali, che lo rasserenò in parte.
« La guerra ha cambiato molte persone, George, e credo che tu questo lo sappia bene; molti seguivano gli ideali di Lord Voldemort perché erano minacciati, altri perché lo consideravano un dovere e – fidati – probabilmente lo era.
Il dormitorio dei Serpeverde ora è un misto di paura e inquietudine, disprezzo e qualcosa di nuovo che aleggia nell’aria: ora sono liberi di pensare con la propria testa, di seguire i propri ideali e – magari – di fare le proprie scelte; per loro è qualcosa d’incredibile, farlo, sai? A noi sembra una sciocchezza, sono cose che abbiamo sempre fatto e quindi ci sembra scontato, ma loro…loro, ora e solo ora cominciano a vivere veramente.
Non è scomparso l’astio che covano per me e gli altri Grifondoro, ma va scemando e noi – preside e professori compresi – non potevamo chiedere di meglio, in effetti. Questa collaborazione ci serve e se loro ci aiutano… possiamo uscirne vincitori, ne sono sicura » disse Hermione, afferrando un biscotto al cioccolato e facendo spallucce. Ci credeva davvero e questo s’intuiva dal modo in cui ne parlava.
George scosse il capo: non poteva aspettarsi altro da lei.
« Quell’idiota di Ron si è lasciato sfuggire più del consentito, non è vero, fratello? » George, come gli capitava sempre quando sentiva quella voce, sobbalzò: Fred, seduto a gambe incrociate sul pavimento, gli sorrise giocoso. Tremò, annuendo nella sua direzione e beccandosi una linguaccia.
Fred non aveva le sembianze di quando era morto – quindi George aveva escluso che fosse diventato un fantasma – ma poteva avere sei\sette anni al massimo; aveva i capelli rossi sparati da tutte le parti, in disordine – come nelle fotografie che gli mostrava sempre sua madre da quando se n’era andato – e le lentiggini quasi gli coloravano l’incarnato già ambrato di per sé. Gli occhi, castani, erano vispi e allegri e non sembravano rendersi conto della situazione in cui si erano cacciati, del fatto che fossero proprietari di un qualcosa che non poteva considerarsi né ultraterreno né terreno.
Fred Weasley era qualcosa, in quel momento,e George non sapeva dire cosa.
« E tu George, come stai? Ho sentito che hai ripreso a lavorare al negozio » domandò Hermione, osservandolo preoccupata da sotto le ciglia scure e con la bocca sporca di cioccolata; George rise e con un fazzoletto le pulì le labbra. Fred, ancora nella stessa posizione in cui era comparso, alzò gli occhi al cielo.
« George ha la fidanzatina, George ha la fidanzatina, George ha la fidanzatina! » cantilenò, divertito, indicando il fratello gemello e scoppiando a ridere. Con un sospiro, George, gli fece segno di tacere. Non aveva raccontato a nessuno di quella specie di “visione” perché, purtroppo, era più che sicuro che fosse impazzito alla morte di suo fratello e che tutto ciò fosse solamente un frutto del suo dolore. E non voleva che sparisse, non più.
All’inizio aveva avuto paura, certo: gli aveva urlato di andarsene, di sparire, aveva cercato di allontanarlo da sé il più lontano possibile, ma Fred sembrava non sapere di essere morto; gli aveva chiesto perché fosse così arrabbiato con lui e poi, prendendo un biscotto dalla credenza e porgendoglielo, gli aveva chiesto di fare pace… perché loro erano fratelli e il loro legame non poteva spezzarsi per uno stupido litigio. Fred aveva detto che erano gemelli e non potevano stare lontani più del consentito. George, a quel punto, era scoppiato a piangere.
Aveva urlato perché aveva sentito il cuore cadere a pezzi, aveva chiuso gli occhi perché aveva sperato che lui sparisse tra una strizzata d’occhi e un'altra, ma niente.
Fred era ancora lì e solo lui poteva vederlo. Era costantemente al suo fianco, ogni parte andasse e ogni posto visitasse; quando era in bagno, lo prendeva in giro perché puzzava, quando era in negozio si divertiva a giocare con le loro invenzioni, i prodotti e persino i clienti, ma non aveva mai fatto del male a nessuno, fisicamente, ma uccideva George, mentalmente e sentimentalmente. Non sapeva catalogare quella cosa, non sapeva se fosse una visione distorta della sua mente o un gioco crudele del destino ma George – oramai – era abituato a quella presenza.
Gli sembrava di avere un… figlio e di dovergli dare le dovute attenzioni. Giocava con lui, Fred faceva il bagno con lui e George lo amava come lo amava lui.
Ah, ma non era un amore qualsiasi, no, questo George l’aveva sempre saputo; l’amore era troppo sporco per descrivere il legame che stringeva Fred e George in una cosa sola, una cosa che superava perfino la morte. Era qualcosa di superiore che abbatteva barriere che – un uomo normale, un sentimento superfluo – non avrebbe potuto né abbattere e tantomeno superare.
George si era abituato man mano alla sua presenza e – ora – quasi gli sembrava scontato averlo accanto ogni secondo, come se non fosse mai andato via… come se fosse stato sempre lì con lui. Ma era un bambino – o almeno ne aveva le sembianze – e a volte non sapeva come comportarsi.
Fred, quando era a casa e credeva che lui non lo guardasse, abbracciava stretto la mamma e poggiava il capo sul suo grembo: e – con il cuore a pezzi – George sapeva che lei lo sentiva, perché sorrideva al vuoto e tratteneva a stento le lacrime, porgendo la mano a George e abbracciandolo di slancio, stringendo anche Fred senza nemmeno accorgersene.
Il piccolo non sembrava nemmeno preoccupato dal fatto che i suoi fratelli fossero molto più grandi di lui, in realtà non sembrava nemmeno accorgersene. Per lui era tutto normale.
Assorbiva qualsiasi informazione tramite le chiacchiere che si facevano in famiglia e poi gli chiedeva perché era successo quello o quell’altro, ma mai perché nessuno pronunciasse il suo nome e perché mai non ricordasse nulla di tutto quello.
Di notte, poi, accanto a lui, gli sussurrava che la mamma lo stava chiamando e che era triste, quindi spariva per un paio d’ore e tornava con il sorriso sulle labbra: ora la mamma sorrideva e stava bene, quindi non c’era niente di cui preoccuparsi… voleva solo che lui le stesse un pochino vicino, questo diceva al suo ritorno, mostrandogli un sorriso sdentato.
George era sicuro chelei lo sentisse sempre accanto a sé quando c’era, perché la mattina dopo che Fred gli aveva sussurrato quelle parole nel buio della sua stanza, la ritrovava più serena, con un sorriso che ricordava i tempi in cui tutti loro erano vivi e le facevano le feste, tormentandola. I tempi in cui loro erano lì e avevano il potere di renderla felice.
« Sto bene, Hermione. Sto bene » bisbigliò, inclinando il capo e posando lo sguardo sul fratello, ora serio, intento a scrutarlo attentamente. Fred sembrava capire immediatamente quando la tristezza lo sopraffaceva e diventava… dolce, giocherellone, un bambino innocente che cerca di rendere le cose più facili e meno dolorose.
Ma, probabilmente, lui non sapeva che il dolore era proprio quello.
« Va tutto bene, fratellone? » bisbigliò Fred, avvicinandosi e poggiando una manina sulla sua. A George sembrava così concreta che rabbrividì, senza fiato. Amava quando lo toccava e, Merlino, stava impazzendo, ma non voleva chiedere aiuto.
Se la sua pazzia era tenere Fred più vicino possibile, allora ben venga, sarebbe stato pronto a perdere il lume della ragione.
« Va tutto bene, sto bene » ripeté, ma questa volta rivolgendosi al piccolo, che sorrise, strizzandogli l’occhio.
Hermione corrugò le sopracciglia, fissandolo preoccupata: George fissava il vuoto con una dolcezza disarmante – triste, angosciante, ma dolce – e sorrideva appena, quasi come se volesse rassicurare qualcuno che… beh, non esisteva. Seguì la sua linea di sguardo e posò la tazza con un piccolo tonfo sul tavolo di legno, ritrovandosi a guardare il nulla. O un tutto sottoforma di niente.
« C’è qualcuno? » domandò, ma George scosse la testa. Fred ridacchiò, nascondendosi dietro la schiena del fratello e giocando – molto probabilmente – a nascondino.
« No, Hermione, siamo soli » rispose e questa volta non poté trattenere un sorriso sincero quando Freddie scoppiò a ridere, sganasciandosi dietro la sedia da cui era nascosto. Avrebbe dovuto chiedere aiuto, forse qualcuno non l’avrebbe catalogato come pazzo e sarebbe stato ben disposto ad aiutarlo.
Ma era davvero sbagliato? Voler tenere Fred vicino, era davvero così sbagliato?
Il bambino gli saltò in grembo, facendogli le linguacce e abbracciandolo di slancio. Non ricordava che Fred fosse così affettuoso, ma probabilmente – essere ignorato da tutti – lo portava a voler chiedere più attenzione.
« Sai, vero, che puoi dirmi qualsiasi cosa in qualsiasi momento, George? » mormorò Hermione, toccandogli delicatamente il dorso della mano e fissandolo con dolcezza, probabilmente nello stesso modo in cui lui fissava la… cosa.
Non avevano mai avuto un legame forte, lui e Hermione, ma lei era così quieta e tranquilla, così comprensiva nel suo silenzio, che si era stretto a lui senza nemmeno che se ne accorgesse davvero. Era stata l’unica che aveva accettato con sé dopo la morte di Fred ed era stata l’unica che non aveva cercato di farlo riprendere con la forza… finché non si era sentito veramente pronto; non aveva avuto molta voglia di vedere gli altri, in realtà, le loro lacrime non facevano che peggiorare il suo dolore… le loro parole di conforto, invece, sembravano compatirlo e lui odiava essere compatito.
Lei – a differenza di tutti, come sempre – preferiva stare in silenzio: ogni mattina bussava alla sua porta, gli preparava una cioccolata calda con dei biscotti appena sfornati e gli proponeva di fare colazione insieme. Lui non acconsentiva nemmeno, lei semplicemente entrava in casa e preparava la tavola. E facevano colazione in silenzio, guardandosi solamente negli occhi e piegando le bocche in tristi sorrisi.
Quello era stato subito dopo la guerra, il periodo del mutismo ostinato e della grande depressione, come l’aveva chiamata sua madre; niente e nessuno riusciva a farlo riemergere dal baratro che l’aveva accolto – lui nemmeno voleva uscirci, a dire il vero – e si era lasciato irrimediabilmente andare. Non mangiava, non si lavava, non dormiva e non metteva il piede fuori di casa: passava le sue giornate a ciondolare per casa o a guardare il soffitto con aria assorta.
E Hermione, con l’aiuto di Ron, con tanta pazienza gli puliva casa, lo aiutava a fargli il bagno e a vestirlo. Gli comprò persino una televisione babbana, che gli costrinse a vedere ogni sera; pranzavano insieme e cenavano insieme – quasi come una strana famiglia composta da due adolescenti e uno più grande, ma molto più piccolo di come sembrava – mentre Ron si occupava del negozio insieme all’aiuto degli altri fratelli.
Hermione non aveva nemmeno pensato di rifiutare la richiesta di aiuto da parte di Ron, in realtà, si era trasferita a casa di George e basta, comportandosi con lui come una madre premurosa… perché la sua, di madre, era troppo preoccupata a piangere il ricordo di Fred.
Avevano iniziato a piccoli passi… prima una parola, poi due e infine intere frasi; per terminare, per la gioia di Ron, erano iniziate nuovamente le battute. George si era ripreso pian piano, instaurando un rapporto speciale con lei e il fratello minore, che non l’aveva abbandonato un attimo.
« Lo so, mammina » rispose scherzosamente, baciandole la guancia e staccandosi solamente quando – mezzo scarmigliato e con la camicia abbottonata al contrario – fece il suo ingresso Draco Malfoy.
« Ehi, furetto! » lo salutò George, mentre Draco – senza parlare – alzava una mano nella sua direzione, come se gli stesse chiedendo del tempo per rispondere o semplicemente di abbassare la voce. « A voce più bassa, grazie » bisbigliò, tenendosi la fronte con una smorfia sul viso.
« Medicina babbana, ottima contro i mal di testa  » disse George, cacciando un’aspirina dalla tasca posteriore dei jeans e offrendola al povero Malfoy, più pallido del solito e con due occhiaie spaventose. Ora, più che mai, sembrava un vampiro vicino al collasso.
« Vedo che ricordi » mormorò Hermione, riferendosi alle volte in cui aveva dovuto comprare scorte di aspirine per le febbri improvvise – e i mal di testa assurdi – che venivano a George durante quel periodo.
« Scherzi? Sono una manna dal cielo queste aspicose! » rise George, mentre Hermione chiedeva gentilmente un bicchiere d’acqua agli elfi e scioglieva la polvere dell’aspirina al suo interno. Draco si sedette affianco a Hermione, lamentandosi a bassa voce con versi grotteschi e senza senso: prese l’aspirina senza neanche domandare cosa fosse e sbadigliò, chiedendosi cosa ci facesse il Weasley-senzadiploma da quelle parti.
« È la stessa domanda che mi sono posto io, Malfoy, quando ho visto il tuo migliore amico spaparanzato su Hermione » rispose George alla muta domanda del ragazzo, mentre Draco si appuntava – mentalmente – di dover fucilare Blaise e pure Theodore, giusto per sicurezza visto che di amici ne aveva due.
« Ho saputo che ti hanno quasi accoppato… non che la cosa mi sorprenda – anche se questa volta la colpa non è di Harry – ma ti auguro buona fortuna. Te ne servirà tanta, credimi » disse, mentre Draco si faceva una di quelle grattate che avrebbe tenuto lontano la sfortuna non per il gesto, ma per lo schifo.
« Scollati, Potter, sei fastidioso! » la voce di Pansy Parkinson precedette la sua figura esile, che fece il suo ingresso trionfale nelle cucine. Anche lei indossava il vestito della sera prima ma ora i suoi capelli erano sciolti sulle spalle nude.
« Ma chi ti pensa, carlino? » sbottò Harry a suo seguito, grattandosi la cicatrice e illuminandosi alla vista di George. Quasi gli saltò addosso, scompigliandogli i capelli e facendogli le feste.
« Come stai, George? » domandò, mentre Blaise e Theodore – che avevano seguito quei due e si erano subiti i loro litigi – si sedevano e chiedevano cibo con mugugni incomprensibili persino agli elfi.
La metà della ricompensa che il Ministero aveva offerto a Harry Potter era andata alla famiglia Weasley, specie George che stava aprendo altre filiali del negozio in giro per l’Inghilterra… e tutto questo, ancora una volta, grazie a lui; non ce l’aveva mai avuto con Harry, sapeva che tutto quello che era successo non era di certo colpa sua, anzi. George non aveva mai smesso di trattarlo come uno di famiglia, ma sembrava aver legato ancor di più con quello che, oramai, considerava un fratello “acquisito”.
Fred se ne stava, come sempre, seduto sul suo grembo in silenzio, aspettando che quella specie di riunione finisse per tornare a giocare con il suo “fratellone”. George raccontò che le cose stavano andando più che bene e che il negozio andava una meraviglia da quando Ron aveva preso la strada per Hogwarts; Harry aveva riso, scuotendo il capo e accettando – ringraziando con uno sguardo luminoso – delle uova e del bacon dagli elfi.
« So che ti sei immischiato in un'altra guerra, Harry… » disse George, mentre il silenzio cadeva nella cucina e i Serpeverde si stringevano tra di loro come a volersi difendere da quello che – sapevano – era un attacco diretto a loro stessi.
« Sai come la penso su determinate cose, George e qui mi sembra di essere ritornato sotto il regime di Lord Voldemort. Certe persone stanno uccidendo esseri umani per il loro sangue – questa volta puro – e per la loro provenienza.
Tutti nella vita facciamo scelte sbagliate, l’importante, poi, è ricredersi » rispose Harry con una smorfia, con la bocca piena e lo sguardo di chi, come Hermione, ci credeva davvero in quello che diceva.
I Serpeverde potevano anche essere un branco di bastardi, egoisti e alcuni traditori, ma le persone che stava conoscendo avevano capito. Draco si era ricreduto ancor prima che i Santi entrassero in azione e quindi glielo doveva: si sentiva come in debito nei suoi confronti, perché Draco aveva scelto da che parte stare e lo aveva fatto andando contro ogni buon senso, credendo nella parte che – finalmente – sapeva di essere giusta.
« Avrai molte persone contro di te, questa volta » proferì il ragazzo, mentre Hermione strappava la sigaretta che – di nascosto – Blaise cercava di rifilare a Draco. « Lascialo in pace, idiota, fumare fa male e lui non sa nemmeno farlo! » sibilò, mentre Draco arrossiva e Blaise scoppiava a ridere per la scoperta sensazionale.
« Non mi è mai importato avere qualcuno dalla mia parte, George, questo lo hai sempre saputo e… volete stare un po’ zitti voi tre? » sbraitò Harry, mentre Hermione spezzava in due parti – e anche soddisfattissima – la sigaretta.
« Spero davvero per te che questa cosa vada a buon termine » disse George, alzandosi e stiracchiandosi le spalle. Sorrise a tutti i presenti, mentre Fred – invisibile – gli prendeva la mano.
« Vado a salutare Ron e Ginny, sto un po’ con loro e poi vado via… ci vediamo, ragazzi! » salutò, lasciandosi abbracciare da Hermione e Harry, che lo pregò di scrivergli più spesso e di venire a trovarli con altrettanta frequenza.
« Credo sia meglio lasciarli soli » disse Hermione ad Harry una volta che George ebbe varcato il ritratto. L’amico annuì, sospirando e chiedendosi come se la passasse veramente: certo, fisicamente era migliorato molto dall’ultima volta che l’aveva visto, ma in fondo a quegli occhi vedeva ancora un mare di tristezza infinita. E faceva male sapere che, quel dolore, era stato lui stesso a causarlo.
« Draco, mi sa che Blaise ha cercato di rubarti la “fidanzatina”: quando ci siamo addormentati, più di una volta, l’ho beccato nel tentativo di palpare la Granger nel sonno… beccandosi più di una gomitata in pieno petto » rise Pansy, mentre Blaise si guardava bene dal dire che cercava solo di evitare che Potter la palpasse e non il contrario.
« Fidanzatina? » sbottò Draco, arrossendo sulle guance e trattenendosi dal picchiare Blaise sul posto. Tutti scoppiarono a ridere, mentre Hermione si limitò a piegare le labbra in un sogghigno che non portava niente di buono.
« “Sei carina… ti va di essere la mia fidanzata?” » mimò Pansy, sbattendo civettuola le ciglia verso Hermione e sorridendo in modo ebete. Harry dovette ammettere che, maledizione, ci assomigliava in modo incredibile al Malfoy ubriaco.
« No… non dirmelo » mormorò Draco, infilandosi le mani nei capelli, disperato, e chiedendosi che diavolo gli era saltato in mente. Hermione rise.
« Non preoccuparti, Malfoy, sapevo che eri ubriaco » disse la riccia, rassicurandolo con uno sguardo.
Draco inghiottì a vuoto.
Sì, certo, era ubriaco… ma tutti sapevano che l’alcool poteva considerarsi al pari di un “veritaserum”.
« “In vino veritas” » cincischiò Blaise.
Ecco, appunto.
 
Due ore dopo – vestiti, lavati e profumati, ma soprattutto sobri – lo strano gruppo che si era venuto a formare dopo il ballo di Natale si disperse: Theodore, insieme a Pansy, che sembrava seguirlo ovunque andasse, aveva deciso di restare su nella Torre Nord per mettersi in pari con i compiti, scoprendo che, la compagnia della Granger, non era affatto male durante una sessione di studio. Blaise era sparito adducendo scuse tipo “il dovere mi chiama” e “Affari di stato” e Theo non aveva capito se era uscito per incontrare Thomas per i suoi importi illegali o stava macchinando qualcosa per la scommessa.
Harry era sparito con Ron per una partita di Quidditch e solo Draco – che sembrava un’anima in pena – girava per la saletta comune della torre come un dannato senza far nulla. Theodore lo osservava di sottecchi, chiedendosi cosa lo preoccupasse così tanto, mentre Hermione si limitava ad alzare gli occhi al cielo nel sentirlo borbottare tra sé e sé frasi incomprensibili.
E, Theo, avrebbe dovuto aspettarsi che – in un momento di distrazione e vulnerabilità momentanea – la gatta avrebbe affilato gli artigli. « Allora, Draco, ora vuoi dirmi chi è la tua donna “misteriosa”? » domandò Pansy, inclinando il capo e guardando l’amico dall’altro capo della stanza bloccarsi improvvisamente. La piuma di Hermione quasi bucò la pergamena.
« Pansy… smettila » abbaiò Draco, fulminandola con uno sguardo e cercando di bloccare sul nascere una discussione che, a parer suo, non aveva né capo né coda, né inizio e tantomeno una fine, figurarsi un senso logico.
« Andiamo, Draco, potresti dire alla tua ex fiamma il nome della donna che hai puntato per spezzare… come tutte le cose e le persone che passano nelle tue mani » bisbigliò Pansy, poggiando il mento appuntito sui polsi congiunti e guardandolo con un sorrisetto irritante sulle labbra.
Stronza, pensò Hermione, rischiando di rovinare il compito di Trasfigurazione.
« Stronza » sibilò Draco, guardando la Mezzosangue di sottecchi per osservare una sua reazione: se ne stava seduta immobile, con il capo chino sulla sua pergamena e – dal profilo marmoreo e immobile – sembrava impossibile leggerle dentro. Come sempre.
« Basta, Pansy! » disse Theodore, bloccando sul nascere qualsiasi cosa stesse per uscire dalla sua bocca sottile. Ma lei aveva notato bene lo sguardo preoccupato che Draco aveva posato sulle spalle ricurve della Granger e, purtroppo, il suo sesto senso non si sbagliava mai.
Davvero? Era stata messa davvero da parte per una Mezzosangue? Le cose tra lei e Draco erano finite da un pezzo, ma si sentiva ugualmente ferita all’interno; suo padre le aveva sempre detto che qualsiasi cosa avesse voluto l’avrebbe ottenuto, perché una Purosangue ottiene sempre quel che vuole. Ma suo padre mentiva.
Pansy aveva solo preteso un po’ d’amore da parte di Draco, solo un briciolo, ma non aveva mai ottenuto niente: lui era come un muro di granito e sembrava quasi impossibile che fosse capace d’amare; e, ora, scopriva che una Mezzosangue era riuscita a scalfire quel ghiaccio che circondava Draco da sempre, oramai, mentre lei a malapena aveva ricevuto un sorriso da parte sua.
Si sentiva umiliata, perché nonostante il sangue che le scorreva dentro era stata messa da parte.
Si sentiva ferita, perché aveva sempre saputo che Draco era capace di amare e la consapevolezza di non essere riuscita a essere entrata nel suo cuore le puntava l’orgoglio più del consentito.
Un sorriso amaro le increspò le labbra: cosa aveva la Granger più di lei?
Hermione alzò lo sguardo verso di lui e Pansy capì. La Mezzosangue aveva l’amore più di lei e sapeva amare e farsi amare come lei non era mai stata capace; il suo sguardo trasudava amore, ogni suo movimento e singolo gesto. Poteva quasi considerarsi ributtante per il modo in cui quasi tutto il mondo si accorgeva che amava  e il rammarico di molti nel constatare che solo pochi avevano il privilegio.
« Basta cosa? La ruota gira, Draco… o credevi davvero che il male che hai causato non torni mai indietro? Ti ho già detto quel che penso, caro. Più sarai innamorato e io più sarò felice, perché alla fine ne resterai scottato tremendamente, perché tu sai che sei in grado di amare… ma sai anche che nessuno è in grado di amare te » mormorò Pansy, sboccando veleno. Draco fu costretto ad ingoiarlo, limitandosi a bloccarsi al centro della stanza e fissare la sua ex ragazza.
Lei non abbassava lo sguardo, sosteneva il ghiaccio che le stava circondando il cuore e i fulmini che lui cercava di mandarle contro: Pansy scosse il capo e uscì dalla saletta, lasciando solo un pesante silenzio alle sue spalle.
Non dava tutti i torti a Draco, comunque; chi mai sarebbe stato in grado di amarla? Lei era simile a Malfoy in tutto e per tutto e non era di certo un vantaggio; era come una maledizione: il loro destino era limitarsi ad amare e non venire mai ricambiati. Era così, per questo motivo Draco aveva paura, ecco perché evitava l’amore come la peste. Lui ci credeva eccome, lui amava eccome, ma aveva paura.
« Ti piace così tanto stuzzicarlo? » la voce di Potter la raggiunse prima della sua figura e, girandosi di scatto, lo vide seduto sull’ultima rampa di scale della Torre, con una sigaretta tra le dita e lo sguardo di chi non ha niente da perdere.
Lui non aveva niente da perdere, proprio come lei.
« Questi non sono affari che ti riguardano, Potter! » sibilò, mentre guardava spirali di fumo disegnare ghirigori nell’aria, mentre la bocca di Harry si stirava in un sorriso ironico.
« Sei proprio una miserabile, Parkinson » sussurrò il moro, mentre una parte di lei accordava con le sue parole. Lo era. Era una maledetta miserabile che elemosinava attenzioni da qualcuno che – maledizione – non le aveva portato altro che sofferenza.
« Tu non sei da meno, questo lo sai, vero? » bisbigliò Pansy, mentre il mozzicone della sigaretta andava a fare compagnia alla cenere e lui si alzava di scatto, superandola di parecchi centimetri e poggiando senza alcuna delicatezza una mano – grande quasi quanto la sua faccia – tra lo stomaco e il seno; Harry la sbatté rudemente al muro, abbassando il capo per guardarla dritto negli occhi.
« Rimarrai sola » sputò, mentre lei affannava e la sua mano seguiva il ritmo incessante del suo petto, che continuava ad alzarsi e abbassarsi velocemente.
« Essere il Salvatore non ti risparmierà di fare la mia stessa fine, Potter » rispose Pansy, sogghignando con cattiveria.
Harry sospirò sulla sua bocca e socchiuse gli occhi, lasciando che la frangia gli coprisse lo sguardo: la sua mano salì fino alla gola e le strinse la carotide, mentre lei rimaneva immobile tra il muro di pietra grezza e il suo corpo.
« Miserabile » ripeté Harry, quasi con rabbia.
Pansy afferrò il suo polso con forza e face penetrare le unghia lunghe e curate nelle vene bluastre appena rialzate contro la carne pallida: lui gemette e lei sorrise. Harry la spinse con più prepotenza al muro e – lasciando che lei tremasse tra le sue braccia – la baciò.
E fu… devastante.
Le labbra di Harry sapevano di rabbia e rancore, odio e rassegnazione: la travolse e – in un attimo – lasciò che lei cadesse; le sue mani erano dappertutto: un secondo prima erano tra i capelli e il secondo dopo sui fianchi, sul viso e sul petto, dove il cuore le batteva all’impazzata nel petto.
Pansy aveva baciato altri ragazzi in vita sua, ma quella volta fu diverso. Quella volta il nulla aveva un sapore diverso, un sapore piùdolce e violento, quasi invitante; Harry respirava sulla sua bocca e lei non poteva far altro che trattenere il respiro e lasciare che lui la riempisse completamente e indissolubilmente.
La sua lingua penetrò nella sua bocca e le accarezzò il palato, mentre i suoi denti penetravano sulle sue labbra con l’intenzione di ferirla e sentire che sapore avesse il suo sangue. Sangue puro, sangue nero e straziato.
« Allora anche il diavolo ha un cuore… questo non me lo sarei mai aspettato » sussurrò Harry, staccandosi da quel bacio e guardandola negli occhi. Pansy non capì e lui sorrise, allontanandosi di un paio di passi e lasciandola libera dalla pressione del suo corpo.
« Davvero interessante » finì, dandole le spalle e salendo le scale per entrare nella Torre Nord. Pansy rimase immobile per un paio di minuti a guardare il vuoto, gelata da quel cambio improvviso degli eventi.
E a volte, credeva, che il destino fosse un gran bastardo e che si stesse prendendo gioco di lei!
 
***
 
Quella sera Draco non si fece vedere: le parole di Pansy sembravano averlo turbato più del consentito, perché dopo la discussione avuta con quest’ultima aveva spiccato il volo e non si era più visto.
Hai solo paura che venga attaccato di nuovo” si ripeteva Hermione da un quarto d’ora buono, il tempo che aveva impiegato nel cercare Draco per tutto il castello; lo aveva trovato nel bagno di Mirtilla, seduto contro uno dei lavandini con il capo riverso verso il soffitto e una sigaretta tra le dita.
Gli occhi bruciavano nel guardare la pietra, mentre la stessa cosa faceva la sigaretta, consumata dall’aria – mentre lui si lasciava consumare dall’odio e il dolore – : se ne stava fermo, con le labbra sottili schiuse e le gambe stese, come un Dio greco scolpito nella pietra.
« Va via » Hermione sobbalzò quando si accorse che quelle parole erano appena state sussurrate da Draco, con una durezza che poteva quasi concorrere con quella usata anni addietro. Con la stessa durezza con cui era stato scolpito il suo viso e il suo cuore.
« Ti cercano tutti » mormorò in risposta Hermione, come a voler giustificare la sua presenza lì. Draco digrignò i denti e un muscolo guizzò sulla sua mascella serrata: le dita quasi schiacciarono il filtro e lo portarono alle labbra martoriate, che si strinsero per aspirare il fumo della sigaretta.
« Va via » ripeté, questa volta ammorbidendo la voce e guardandola negli occhi: il grigio era ghiaccio e lei tremò dal freddo. Era così grezzo, quando voleva, quasi come se ritornare alle vecchie abitudini fosse obbligatorio per lui, impossibile da evitare come respirare.
« La mia assenza non risolverà i tuoi drammi esistenziali » sbuffò Hermione, guardandolo con sfida. Draco si trattenne dal colpire il pavimento o il lavandino contro il quale era appoggiato, limitandosi a stringere gli occhi con rabbia.
« Perché devi essere così testarda? » sibilò, mentre lei si accovacciava di fronte a lui e gli strappava la sigaretta dalle dita, buttandola ai propri piedi e schiacciandola con la punta delle scarpe da ginnastica che indossava.
« Perché devi essere così … così!? » sbottò Hermione, esasperata. Si spostò con rabbia un ricciolo dagli occhi e lui sbuffò.
« Per darti fastidio, è naturale, Granger! » rispose Draco, alzando un sopracciglio e beccandosi un cazzotto sulla spalla. Hermione si sedette al suo fianco, incrociando le gambe e abbassando il capo: Draco inclinò il capo – curioso – quando la vide arrossire attraverso la cascata di riccioli che le copriva il viso.
« E per quanto può contare il mio parere… secondo me non è affatto possibile non amarti. Ci vuole solo pazienza, Draco, ma è una dote che viene usata con tutte le cose difficili e solo per ottenere tante cose buone.
Basta andare oltre e mostrare a chi ami quello che c’è sotto tutto quello strato di “difficile” che ti avvolge e sono sicura che è più che buono quello che c’è là sotto.
Io lo so » sussurrò Hermione, sfiorandogli il petto: il cuore, come sempre in sua presenza, accelerò.
Draco socchiuse gli occhi, lasciandosi andare contro la porcellana alle sue spalle. « Io non ne sarei tanto sicuro » bisbigliò in risposta, mentre le sue mani gli afferravano il mento e lo costringevano a guardarla.
Aveva lo sguardo di chi è convinto e vuole lottare, di chi vede e vuole continuare a vedere. Perché diavolo la Mezzosangue doveva vedere del buono anche dove non c’era? Perché vedeva del buono anche in lui, che le aveva reso la vita un inferno? La odiava quando lo faceva.
La odiava perché, alla fin fine, ci credeva davvero in quello che diceva e riusciva a convincerlo sempre e comunque.
« Io, invece, sono così testarda perché convincerti è impossibile… è naturale, Malfoy! » disse, storcendo le labbra in un sorriso.
E lo sentiva… il legno stava completamente cedendo, lasciando spazio a lei.

Io sono di legnoOnde histórias criam vida. Descubra agora