11. Est! Est!! Est!!!

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«Scusate, ragazzi» esordì Davide mentre uscivamo da scuola. La sua intonazione era proprio quella che usava quando aveva intenzione di tirare pacco. 

«So che avevo proposto io di uscire a Mestre stasera» disse infatti, «ma purtroppo mi ero dimenticato che avevo promesso a un mio amico di trovarmi con lui... vi dispiace se facciamo un'altra volta?»

«Oh, ma figurati, va bene!» rispose subito il Netti. Io e lui non avevamo molti altri amici, ma sapevamo che Davide aveva mantenuto qualcuna delle sue vecchie frequentazioni, e in fondo non capitava molto spesso che fosse lui ad annullare un appuntamento all'ultimo: era più frequente che il Netti fosse messo in punizione per i votacci, oppure si rendesse conto di avere un'interrogazione il giorno dopo e non aver ancora aperto libro. 

Tuttavia, non riuscivo a togliermi dalla testa il pensiero che Davide mi sembrava davvero strano negli ultimi tempi: era più elusivo del solito, e talvolta spariva dicendo solo che "aveva un impegno" o che "doveva vedere una persona". Forse si stava frequentando con una ragazza? Se anche fosse stato quello il caso, non capivo il motivo di tutta quella segretezza: non ero mica pettegola come la Stevanelli e la Marchiori, le comari del penultimo banco. 

Se c'era qualche problema, però, aspettavo che fosse lui a confidarmelo, perché non volevo impicciarmi nelle sue faccende per qualche stupido sospetto.

Di poche parole come sempre, Davide si congedò e sfrecciò via in moto, mentre io e il Netti salimmo sull'autobus scolastico in attesa dell'orario per partire.

«Che vuoi fare stasera?», domandai al mio amico una volta che fummo a bordo. «Se siamo senza Davide in realtà a me non va molto di uscire a Mestre, ma se vuoi ci andiamo».

«Nah, mi va bene anche rimanere nei dintorni» commentò lui, e si specchiò sul finestrino per sistemarsi i capelli. Si bloccò all'improvviso, come folgorato da un pensiero. 

«Ehi, questa sera c'è la sagra a Torre!» esclamò. «Che ne dici?» 

Annuii, prima in modo tiepido e poi con convinzione. L'annuale sagra dei storti nei campi di Torre Dogale era sempre attesa più delle Olimpiadi o dei Mondiali di calcio. Quell'anno, si diceva che avessero comprato addirittura i fuochi d'artificio per la serata di chiusura, come accadeva in città. Non era affatto strano che dei ragazzi della nostra età ci andassero, anzi spesso se ne trovavano parecchi che mantenevano alto l'onore della festa, attenendosi al suo nome*.

Trascorsi un pomeriggio tranquillo, come al solito fra compiti e PlayStation, e mi preparai per la sagra, dopo aver ascoltato le bonarie preoccupazioni di mio padre («vara de no far tardi, che doman ti ga scuòa» e «me racomando, per tornar casa ti fa la strada col Netti»).

Mi guardai allo specchio, osservai le occhiaie rese più tenui dal correttore e l'eyeliner nero che, colando, mi aveva impiastricciato le ciglia. Decisi che era il momento di riprovare e mi struccai con cura, passandomi un dischetto di cotone sugli occhi.

Ripensai alle mie compagne di classe: quando dovevano uscire indossavano sempre vestiti alla moda, lunghi al massimo fino alle ginocchia e tutti attillati. Facevano la loro figura, dovevo ammetterlo. Ne avevo uno anche io – quello che avevo indossato alla comunione di mio cugino – ma sarebbe risultato terribilmente scomodo per andare in bicicletta. Nella mia mente si fece anche strada l'immagine dei tacchi vertiginosi della Marchiori, ma mi calmai subito quando vidi le mie vecchie, rassicuranti All Star che mi aspettavano. 

Jeans, felpa e maglietta, sotto al mio piumino blu, andavano più che bene: del resto, chi avrei mai dovuto incontrare?

Il mio cervello mi propose la figura del ragazzo della manifestazione: era al banco per le ordinazioni, quando a un tratto alzava lo sguardo verso di me e mi sorrideva... ma la sua espressione mutava subito nel vedermi vestita come un carrettiere. 

Papà, voglio fare l'astronoma! - [NANOWRIMO 2020]Where stories live. Discover now