17. Intermezzo artistico

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Ero stata troppo ottimista nel pensare che sarebbe bastata una serata per farmi dimenticare del tutto la cotta per Alessio. Riuscii però a cambiare punto di vista, a vivere le giornate in modo più rilassato e a trovare gioia nel semplice aiutare il Netti con la sua commedia, che pian piano – nonostante molti non ci credessero – stava prendendo forma.

Sentii la nebbia che mi aveva pervaso alzarsi in uno dei primi mattini di primavera. Di lì a poco, Davide compì diciotto anni e prenotò un tavolo immenso all'Happy Horse. Bevemmo e mangiammo tanto che il pub, credo, fatturò abbastanza per una settimana intera. Fu anche l'occasione in cui il Netti, ormai avviato nella sua carriera da sceneggiatore, reclutò il nostro compagno di classe Marco come tecnico delle luci.

«Sai, non mi sento tanto cambiato» mi confidò una sera Davide, al telefono, con una certa delusione nella voce. «Non c'è poi 'sta gran differenza, tra i diciassette e i diciotto».

Mancavano ancora mesi al mio compleanno, che come quello del Netti era in estate inoltrata, ma ancora credevo nell'aura mistica che circondava la maggiore età: speravo che mi sarei svegliata un giorno e, alla fine del mio percorso che mi aveva resa adulta e responsabile, avrei deciso cos'era meglio per il mio futuro.

Fissarono la nostra esibizione per il concorso Su il sipario! per il 13 di giugno. Esattamente un mese prima, giunse l'evento che tutta la classe stava aspettando con ansia: la gita a Firenze.

Ci trovammo davanti a scuola la mattina alle sette e cinquanta, e già era arrivato il pullman che ci avrebbe portato verso la gemma incastonata al centro d'Italia, come l'aveva definita Geriati.

Il professore già blaterava sull'itinerario, e io e il Netti, che in fondo eravamo un po' interessati – io alla storia e lui all'arte – lo ascoltavamo a tratti. La maggior parte della classe, però, aveva ben altri progetti da realizzare in gita.

Il rumore infernale di rotelle di plastica trascinate sull'asfalto dissestato ci fece voltare di scatto.

«Buongiorno» ci salutò Davide allegro. Si era messo un cappellino nero con la visiera, di pelle come la giacca, e si trascinava dietro una valigia color giallo canarino che sembrava sul punto di straripare.

«Ma quanta roba ti sei portato dietro per quattro giorni?» gli domandò subito il Netti, che si era dotato di un sobrio borsone.

«Ah, no» replicò Davide, «quella protuberanza là è il Papero».

«Ma te lo porti in gita?» intervenni io.

«Certo, guarda che voglio fargli vedere l'Italia» mi rispose, con la massima serietà.

«Un proposito davvero nobile, Zaccaria» commentò il Netti, col dito indice alzato. «Hai mai pensato di proporti come volontario di Greenpeace

«Potrebbe essere un'idea» replicò Davide, facendo spallucce e guardando il Papero dritto in quelli che interpretavamo come occhi.

Salimmo in pullman, e per una volta non dovremmo prendere a scazzottate qualche altro gruppetto per accaparrarci i sedili da tre. Lo stomaco del Netti, infatti, sebbene avesse imparato a sopportare il tragitto casa-scuola, mal tollerava i lunghi viaggi in auto.

Così non fece colazione, si munì di un sacchetto di carta preventivo e si sedette nella primissima fila.

Io e Davide scegliemmo dei posti in una tattica posizione intermedia, lontana sia dai professori sia dal fondo del mezzo, dal quale in genere partivano cori da stadio che venivano prontamente sedati da quattro urla degli adulti. Il mio amico mi lasciò sedere accanto al finestrino, e salutai agitando la mano mio padre, che per l'occasione mi aveva accompagnato in macchina fino al ritrovo.

Papà, voglio fare l'astronoma! - [NANOWRIMO 2020]Where stories live. Discover now