46 - Capitolo 25.2

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«Dove mi porti, Ohriel?» chiese Selene, ridendo. Quel giardino era meraviglioso, ricco di colori e profumi che la stordivano.

«Voglio farti vedere una cosa» rispose lui. Le aveva stretto la mano e la stava tirando lungo un sentiero costeggiato da siepi alternati a oleandri.

«Ma già conosco questo posto, ci vengo spesso, lo sai.» Uno strano senso di attesa aveva cominciato a inquietarla.

«Lo so» rispose lui. «Però sono certo che questa cosa ancora non l'hai vista.»

Il sentiero degli oleandri era terminato e le siepi si erano allargate in cerchio, circondando una vasca al cui centro si trovava uno strano albero, ritorto e dalle fronde scure.

«Cos'è?» Il cuore di Selene accelerò i battiti, aumentando la sensazione che qualcosa di brutto stesse per accadere.

«Vai, avvicinati» la esortò Ohriel e l'attenzione di Selene ormai era tutta rivolta all'albero. Mosse i propri passi verso il centro della vasca, calpestando le pietre di cui era composto il piccolo ponte che univa il giardino alla porzione di prato occupata da quel tronco scuro e contorto. Il gelo che cominciò a provare proveniva dai piedi e abbassò lo sguardo: era scalza e quelle pietre erano fredde, sebbene arrotondate, e la facevano male. Riprese il proprio cammino e l'albero, dapprima indistinto, cominciò a prendere forma. Sottili rami s'intrecciavano intorno al fusto, gibboso e scuro.

«Mamma!» urlò e cominciò a correre, le mani protese in avanti e la meta ancora poco distante, ma sembrava non raggiungerla mai. In una delle gobbe dell'albero aveva riconosciuto un volto. «Mamma!» L'urlo le graffiò la gola e i ciottoli le ferirono le mani quando cadde. Si rialzò e finalmente la raggiunse. «Mamma.» Sospirò, questa volta, portando la mano verso il tronco che la imprigionava. Il legno, nodoso e composto di fibre aggrovigliate su loro stesse, avvolgeva il corpo della madre, ferendolo e attraversandolo in molti punti. Eppure il suo volto era sereno, come se dormisse, anche se pallido: il capo poggiato di lato, su uno dei rami che le fuoriusciva dalla spalla e le lunghe ciglia, nere e folte, bagnate dal sangue che le scivolava lento lungo le guance.

«Mamma.» Un altro sussurro le fu strappato dal petto e ormai aveva i piedi bagnati dal sangue che si stava raccogliendo tra le radici.

Sofia si muoveva con lentezza e fatica, come se si trovasse immersa nell'acqua, ma riuscì ad accarezzare il volto di sua madre, asciugando con le dita le lacrime rosse ottenendo, però, l'effetto contrario. Sto sognado.

Il gelo divenne più intenso e la visione, da cupa e scarlatta che era divenne abbagliante. La mano di Sofia era poggiata su una parete di ghiaccio e l'ombra di Balder era proprio lì, davanti a lei.

«Bugiardo!» urlò Selene prendendo a pugni la lastra.

«Non te la prendere» disse Balder, la voce nitida nonostante provenisse dal fondo di quella prigione gelata.

«Avevi detto che saremo stati sempre insieme, perché?» Batté ancora i pugni sulla parete.

«Sei stata tu a rinchiudermi qui, non puoi prendertela con me.» L'ombra della sua mano apparve sotto il ghiacchio; la sagoma scura di Balder era visibile appena più in profondità.

«Non potevo permetterti di uccidere tutte quelle persone.» La voce le suonò poco convinta, entrambe le mani erano poggiate sul ghiaccio.

«E hai sacrificato me, la persona più cara che avevi. Nessuno ti ha mai capita come ho fatto io, nessuno ha mai tenuto conto della tua felicità. Nessuno. Tranne me.» La voce di Balder s'incupì. «Ma forse non hai mai provato le stesse cose che sento io, è stato troppo facile per te prendere la decisione di chiudermi qui.»

Rosso Sangue [COMPLETA]Where stories live. Discover now