Chapter 3 - Gilda

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Gilda, una volta salutato l'amico, decise che per la sua incolumità era meglio rientrare a casa.

Suo padre, per fortuna, non si era accorta della sua scomparsa, se era abbastanza fortunata quella sera sarebbe potuta andare a letto senza lividi. Erano ormai quasi otto anni che lui la picchiava, incolpandola della morte dei suoi nonni paterni e della madre.

Per quanto chiunque, compreso Shadow, l'avessero rassicurata sul fatto che non aveva motivo di sentirsi in colpa per ciò che era successo, le parole del padre erano lame che le tagliavano il cuore.

Adna Schneider, Müller il cognome da nubile, era sempre stata una donna dolce e gentile, con i lunghi capelli biondi che incorniciavano un viso all'apparenza mai invecchiato.

Gli occhi verdi erano sempre stati ricolmi di speranza e voglia di vivere, per questo, quando aveva ricevuto la notizia di essere rimasta incinta, il suo cuore si era colmato di gioia immensa.

O almeno, questo era quello che le ricordava ogni volta il padre. Gilda non aveva mai avuto la possibilità d'incontrare e conoscere la madre, ella era morta a causa di alcune complicanze emerse durante il parto.

Nel ventunesimo secolo era una cosa rara, ma non impossibile.

Quante volte aveva sentito il padre lanciarle grida pesanti, parole piene di odio e accusa, come se fosse stato un suo volere uccidere la donna che l'aveva tenuta in grembo per nove mesi e due giorni.

La ragazza fece appena in tempo a infilarsi sotto alle coperte e spegnere la luce, dato che l'uomo entrò nella stanza della figlia per controllare che stesse dormendo proprio in quegli istanti.

Hans Schneider aveva i capelli scuri e gli occhi cristallini come quelli della giovane, con la sola differenza che nei suoi non brillava più alcuna luce.

Aveva sempre sognato di essere padre, tuttavia la creatura che viveva nella sua stessa abitazione era solo un mostro per lui, qualcosa di maligno che aveva portato morte e sofferenza nella sua famiglia.

Prima gli aveva portato via la donna che amava da cinque anni, poi anche i genitori.

La teneva a casa con sé solo per mantenere la sua reputazione da padre buono e magnanimo, nient'altro.

Appena compiuta la maggiore età l'avrebbe cacciata fuori di casa, non importava quanti assegni avrebbe dovuto firmare per sostenerla, non avrebbe più mantenuto in casa la causa di tutte le sue disgrazie.

L'uomo grugnì prima di uscire dalla stanza, chiudendo con forza la botola della soffitta dietro di sé.

Nel caso Gilda stesse dormendo, con il rumore provocato dall'impatto si sarebbe svegliata sicuramente.

Le sue iridi azzurre si annebbiarono, le lacrime iniziarono a rigarle il viso fino a trasformarsi in un fiume in piena. I singhiozzi erano sommessi e silenziosi, non voleva farsi sentire per evitare di essere picchiata anche quella sera.

Accarezzò con delicatezza il livido violaceo ancora presente sul fianco destro, causato dalla cintura dell'uomo che aveva impattato con ferocia e aggressività contro la sua pelle nuda e diafana.

La sua arma preferita, tuttavia, erano le proprie mani.

Amava sentire l'anima della figlia spezzarsi sotto la sua forza, gli donava un senso di pace e riscatto, come se in quella maniera stesse vendicando la morte della moglie oramai deceduta.

La cintura era solito utilizzarla nei momenti di stanchezza.

Non c'era sempre un motivo per farle del male, alle volte il padre inventata una scusa e la sfruttava.

Quella storia andava avanti dalla sua nascita, lui la teneva in vita solamente perché la morte gli sembrava una via di fuga troppo caritatevole.

Doveva soffrire esattamente il medesimo dolore che stava provando lui.

Inizialmente si era limitato alla violenza psicologica, le aveva tagliato la pelle attraverso l'uso prepotente delle parole. Successivamente, in modo graduale dalla morte dei nonni paterni, si era aggiunta anche la violenza fisica.

Gilda era stufa di quella situazione, ma non poteva farci assolutamente nulla.

Shadow le aveva suggerito più volte di andare alla polizia, denunciare l'uomo che da tempo le stava distruggendo la vita.

Tuttavia lei era consapevole che, se solo ne avesse avuto il coraggio, quella sarebbe stata la sua condanna a morte. Erano scappati dalla Germania per questo: perché nessuno potesse strappare dalle mani dell'uomo la sua valvola di sfogo e vendetta.

Chi poteva impedirgli di fare quello che voleva con la figlia, se nessuno conosceva la situazione interna?

Lui avrebbe continuato nei suoi intenti, mentre la ragazza avrebbe subito ciò che lui riteneva le spettasse di diritto. Se i lividi si trovavano sotto i vestiti o, comunque, in luoghi nascosti dai vestiti, nessuno avrebbe mai potuto scoperto la verità.

Gilda si alzò di scatto dal letto, abbassò le palpebre nell'oscurità e sperò, per quella che le parve la milionesima volta, che tutto fosse solo un terribile incubo e che, non appena avrebbe aperto gli occhi, ogni cosa sarebbe sparita.

Quando, però, l'oscurità che avvolgeva ogni cosa la colpì, la cruda realtà la schiaffeggiò in pieno viso.

Era ancora nella sua squallida stanza da letto, un piccolo spazio sotto al tetto sfruttato dai proprietari precedenti come soffitta. L'odore di muffa era costantemente presente e fastidiosamente forte. Il letto era l'unica cosa che le era stata concessa, dato che i vestiti, rigorosamente di seconda mano e logori, erano chiusi in delle scatole ai piedi del giaciglio.

C'era anche un angolo dove custodiva i secchi in cui spesso urinava durante la notte, dato che per lei l'accesso al bagno era solo a determinate ore.

Anche i quaderni e le cose per la scuola erano sul pavimento, poco distanti dalla botola che portava al piano inferiore.

L'unico cimelio che custodiva più della sua stessa vita era una foto di lei e Shadow, scattata nell'estate dell'anno prima.

La teneva nel quaderno d'inglese ben celata dagli occhi di Hans, era sicura che gliel'avrebbe confiscata e strappata, se non bruciata, nel caso l'avesse scoperta.

Era il suo unico ricordo felice, voleva che nessuno glielo portasse via.

Gilda si sdraiò di nuovo sul letto, fece un respiro profondo e tentò di dormire, nel contempo che l'ultima lacrima di quella sera cadeva sul soffice cuscino.

Era talmente tanto abituata a sentirsi dire che era un mostro che alla fine ci aveva creduto, in parte era convinta che l'inferno in cui era fosse la sua punizione, più che meritata.

Gravavano su di lei tre vite, non se lo sarebbe mai perdonato.

Shadow e molti altri avevano tentato di farle capire che non era colpa sua, le azioni del padre erano completamente sbagliate e lei non meritava di essere la vittima di tutto.

Tuttavia, loro non potevano capire, non come aveva compreso lei la realtà dei fatti.

Spesso non sapeva se il vero mostro era il padre oppure lei. Probabilmente era corretta la seconda opzione.

All Monsters Are HumanDove le storie prendono vita. Scoprilo ora