Chapter 4 - Violet

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L'ultima cosa che avrebbe voluto fare quella mattina Violet, tra tutte le opzioni possibili, era andare a scuola, soprattutto se nuova. Avrebbe preferito di gran lunga passare l'intera giornata nella sua camera, rannicchiata tra le coperte e piangere per l'ennesima volta.

Sua madre, tuttavia, aveva pensato fosse meglio per il suo bene ricominciare la solita routine, precedente all'orribile esperienza che le era accaduto.

Nel tentativo di non farsi notare, la giovane tirò su il cappuccio nero della felpa leggera e si avviò verso il cortile scolastico.

L'edificio di fronte a sé, il quale si diramava in più strutture più piccole oltre a quella principale, risaliva probabilmente agli anni Cinquanta del ventesimo secolo, costruita in mattoni rossi. Si potevano notare diversi segni di usura e crepe, donando al tutto un'aria più antica e consumata.

Vari ragazzi e ragazze di età diverse parlavano e correvano per il prato intorno al sentiero di ghiaia, facendo apparire quel luogo più divertente di quanto fosse in realtà.

Purtroppo non poteva fare molto in quel posto, dato che non sapeva né dove fossero le aule e tantomeno il proprio armadietto.

Cercò un posto tranquillo e isolato in cui poter aspettare il preside della scuola, il quale le avrebbe poi fornito tutte le informazioni necessarie.

Poco distante da lei, Violet notò un piccolo muretto su cui si sarebbe potuta sedere e fare gli affari propri, del medesimo colore dell'edificio scolastico e alto circa un metro.

La ragazza vi si accomodò sopra a gambe incrociate, recuperò il cellulare nella tasca esterna della borsa che posò al suo fianco, si mise le cuffiette e avviò Spotify.

Pochi secondi dopo nelle sue orecchie rimbombava "Nightmare" dei Set It Off, un gruppo americano punk rock che la giovane aveva conosciuto per caso un paio di anni prima. La canzone, una delle sue preferite, esprimeva al meglio il suo stato d'animo: era come se stesse vivendo costantemente in un incubo da oramai tre settimane, un'ombra che non la lasciava e le rimaneva attaccata come una seconda pelle.

Ne percepiva ancora la mano fredda che le premeva la spalla, ricordandole la sua presenza.

Violet invidiava la spensieratezza delle persone intorno a lei, le uniche preoccupazioni che pareva affliggerle riguardavano le notizie di gossip e cosa fare quel pomeriggio.

Nessuno notava la sua anima nera come la pece, crepata in più punti come l'edificio scolastico.

Poco lontano dalla giovane, infatti, un gruppo di circa tre ragazze salutarono un'amica che le aveva appena raggiunte, entusiaste riguardo a qualcosa che Violet non riuscì a capire a causa della musica.

Le tornò alla mente un nome: Cherry Greymond.

Ella era stata una sua cara amica nella vecchia città in cui aveva vissuto, chiamata così dai genitori nella speranza che avesse i capelli rossi, colore caratteristico dei due adulti.

E così era stato.

I lunghi e fluenti fili cremisi avevano incorniciato un viso dai lineamenti paffuti, le lentiggini spruzzate sulla pelle diafana. Gli occhi grandi e da cerbiatto erano stati di un verde smeraldo e brillante, vogliosi di scoprire il mondo e viaggiare.

La sua morte era stato ciò che l'aveva devastata di più.

Sapere che il suo sorriso luminoso, la sua gioia immensa e la solarità che trasmetteva erano sparite con lei, colpiva ogni volta il cuore di Violet e la travolgeva ulteriormente.

Quando tre settimane prima la sua anima era stata stravolta, la perdita di Cherry era stata solo l'ennesima ferita che avrebbe dovuto cicatrizzare, prima o poi.

All'improvviso, il cellulare della ragazza squillò, un piccolo tintinnio che le rimbombò nelle orecchie, segno che le era arrivato una notifica.

Lo afferrò e notò che aveva appena ricevuto un messaggio da parte della sorella su Whatsapp, la quale le augurava buona giornata e fortuna per il rientro a scuola. Non poté fare a meno di sorridere leggendo le parole di Candy, ringraziandola e ricambiando.

Posò al suo fianco il telefono e portò le ginocchia verso il petto, stringendovi intorno le braccia. Chiuse gli occhi e tentò d'isolarsi da quel mondo, tornare per un secondo alla sua vecchia vita.

Era sempre stata una ragazza dolce e gentile con il prossimo, da un paio d'anni era anche riuscita a vincere la sua timidezza e farsi nuove amicizie.

Era incredibile come ci fosse voluto veramente poco a rompere tutto il suo mondo.

Era felice, si sentiva amata e circondata da persone a cui voleva bene e teneva.

Mezz'ora era bastata per eliminare due anni di lavoro su se stessa e la sua situazione.

Come puoi reagire a un evento drammatico e disastroso, senza rimanerne scottato o ferito?

A fatica Violet riuscì a trattenere le lacrime, non volendo mostrare subito la sua fragilità agli altri suoi compagni di scuola. Preferiva di gran lunga essere considerata asociale piuttosto che debole, diventando quasi sicuramente, di conseguenza, l'obiettivo principale delle prese in giro o le chiacchiere scolastiche.

Se la scelta era di passare il resto del liceo da sola e isolata, in attesa di raggiungere il college, allora quella sarebbe stata la sua decisione sicura. Non aveva bisogno di qualcuno per poter affrontare la scuola, come ce l'aveva già fatta, fino a un paio di anni prima contando solo sulle proprie forze, ci sarebbe riuscita di nuovo.

Riaprì gli occhi nel momento esatto in cui non c'era più nessuno nel cortile, tranne un uomo di circa quarant'anni e la camminata sicura, si stava dirigendo verso di lei. Indossava una giacca nera del medesimo colore dei pantaloni eleganti, la camicia bianco latte e la cravatta azzurro pastello come gli occhi cristallini, completamente in contrapposizione con i capelli scuri.

Violet si tolse le cuffiette e sistemò quest'ultime con il cellulare, che spense, nella tasca della borsa. La giovane scese dal muretto e si stirò i vestiti, abbassando il cappuccio della felpa e si sistemò i capelli.

«Buongiorno, lei dev'essere Violet Moore» la salutò l'uomo, rivolgendole un sorriso di cortesia.

Il tono di voce era dolce e caloroso, profondo, avrebbe fatto sentire chiunque a proprio agio.

«Sì, sono io» annuì lei, tentando di abbozzare un sorriso senza mostrare i denti.

«Piacere, io sono il signor Schneider, preside e insegnante della scuola» si presentò lui, allungando una mano che la giovane strinse subito, tentando di mostrarsi il più disponibile e gentile possibile.

«Entriamo, ti porto subito nella classe di matematica, nel frattempo ti spiego un po' di cose» la informò, facendole segno di seguirlo.

Violet fece un respiro profondo, per poi incamminarsi dietro al signor Schneider verso quella che sarebbe dovuta essere la sua nuova vita.

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