V -Il modo in cui ti muovi

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Mi piace il modo in cui ti muovi, Jimin.
Mi piace quando volteggi con grazia innata, che sia per la stanza, in doccia, o sotto le coperte. Mi piace quando corri scalzo per la stanza bagnando il parquet, lasciando l'impronta dei tuoi piedi sul legno scuro.
Passi sotto la doccia almeno mezz'ora al giorno, promettendomi ogni mese, davanti alla bolletta salata, che smetterai di farlo. Invece continui imperterrito e ti chiudi a chiave così che io non possa entrare per tirarti fuori, e quando finalmente ti decidi a regalarmi la vista del tuo bellissimo corpo nudo, scappi lungo il corridoio e ti chiudi in camera. Non c'è bisogno di parlare, so già che hai lasciato lo specchio appannato dal vapore, i vestiti sparsi sul pavimento e i prodotti per i capelli abbandonati nel box doccia. Spesso e volentieri li lasci anche aperti, dio Jimin, quando penso a tutto quello che fai mi chiedo come faccia a non essere ancora impazzito.
Tre anni con te, tre anni di convivenza con un terremoto, chi poteva immaginare sarebbe durata così tanto?
Quando iniziammo a frequentarci, e cielo che ricordi, tu eri così piccolo e innocente che davvero non capivo cosa ci facessi in un pub alle tre di mattina.
Chiedesti del succo di frutta, e io lì dietro il bancone quasi non svenivo dalle risate. C'era una sola regola in quel pub: servire unicamente alcol. Ma tu come sempre avevi beatamente ignorato ogni cosa fosse sulla tua strada, compreso il simpatico cartello che recitava la regola del pub, ma tu volevi del succo, eri entrato nel pub per quello e lo avevi chiesto. E io, solito Min Yoongi cinico e indispettito, per la prima volta mi chiesi se potessi fare un eccezione, magari per un bel ragazzo con le labbra piene, magari per poter attaccar bottone e assicurarmi compagnia durante quelle poche ore rimanenti prima che sorgesse l'alba.
Ti venni incontro allora, volevi il succo e te lo diedi, e grazie a quello passamo davvero la notte insieme.
Certo non potevo sapere della tua allergia alle pesche, non potevo sapere che avrei dovuto correre all'ospedale con te aggrappato alla schiena e la moto quasi a secco. Che bel casino quella notte, davvero un casino stupendo.
Un po' come te infondo, che ti alzi la mattina e lasci le coperte per terra, che lanci il cuscino dall'altra parte della stanza perché sei un inguaribile bambino, che mi chiami per il buongiorno nonostante io stia lavorando, che fai tutto e niente in quel nostro piccolo appartamento pieno d'amore e di oggetti inutili.
Eppure non è davvero quello che mi ha colpito di te, il tuo disordine, il tuo chiedere un succo in un pub, né il viso infantile e la zazzera di capelli biondi che continui a portare scompigliati.
Ho scelto di stare con te nel momento in cui, in ospedale, hai rifiutato le mie scuse. Non che fossi già particolarmente propenso a scusarmi, ma tu non potevi ancora saperlo e così mi zittisti subito.
"Non ci si scusa per qualcosa fatto con buone intenzioni."
E avevi ragione Jimin, non posso scusarmi con te se odio le moine che fai per ottenere qualcosa, se mi infastidisco mentre facciamo l'amore e tu ansimi senza dire il mio nome, non posso scusarmi per privare il mondo di tale bellezza, quando ti impedisco di ballare per altri.
Lo sai, infondo.
Amo il tuo essere caotico perchè porta vita ai miei giorni, ma preferirei tu non lo fossi se quella vita fosse destinata ai giorni altrui. Amo il tuo sorriso che inaspettatamente provoca il mio, e ancora non mi ci abituo, ancora non accantono la paura che ho di vederti specchiare nel sorriso di un altro.
Amo il modo in cui ti muovi, Jimin, ma solo se lo fai per me.
Su di me, accanto a me, intorno a me.

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