Capitolo 3

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Nella vita ero un giovane nato in una famiglia ricca alla ricerca dell'amore, un giovane romantico che aveva l'anima spenta e consumata dalla voglia di amare che non veniva corrisposta. La profondità della fossa scavata dai sentimenti mi aveva lasciato un vuoto che avrei potuto colmare con qualcosa di assolutamente perfetto, di magico, qualcosa che mi catturasse e mi distraesse da ogni altra infatuazione sbagliata e penosa. Ebbene, l'amore, quello vero, distrugge tutto il resto, lo annulla, lo fa svanire come una nuvola di vapore. Non avevo mai trovato niente di più bello in quegli occhi da cerbiatto color nocciola, quel viso ancora adolescente e candido come un lenzuolo, quella pelle che sembrava profumare come mille candele che illuminavano ciò che l'infatuazione mi aveva spento. E quei capelli, cinque minuti prima ordinati ed eleganti, erano tornati allegri ed elettrizzati, neri come la pece, che davano un tocco di raffinatezza in più a quel viso così innocente e che pareva morbido come la guancia di un bambino. Avrei voluto accarezzarlo quel viso.
Era lì, di nuovo lontano da me, con i gomiti, coperti da un sottile tessuto leggero e color mogano, poggiati con grazia sulla ringhiera d'ottone del balcone, con un calice in mano, lo sguardo basso e pensieroso, mentre parlava con una dama anziana vestita di tutto punto che reggeva una maschera tenendo la mano penzolante. Per un attimo sperai che mi avesse guardato, e invece aveva solo alzato lo sguardo verso la signora, e sorrise. Lo finse, un sorriso. Le sue labbra si contrassero in quel gesto di cordialità, ma gli occhi erano disinteressati. Le prese la mano libera e gliela baciò. Solo Dio sapeva quanto avrei voluto essere quella mano per essere sfiorata da quelle labbra così rosee ed invitanti. Avrei voluto essere un guanto, anche un misero guanto, per provare l'essenza che emanava quella bocca silenziosa e genuina.
Avevo trovato l'amore della mia vita nella casa del nemico, ed era proprio lui il mio nemico. Per giunta, era un uomo, non una donna, ma riconoscevo l'amore, ed era il sentimento più sincero che abbia mai provato per qualcuno. Quel Capuleti era la persona della mia vita e avrei dato la vita se il suo amore non sarebbe stato corrisposto al mio. Conoscevo molto dell'amore, e tra i due c'è sempre uno che ama più dell'altro, ed ero convinto di esserlo io.
Il giovane Frank Capuleti, sangue del sangue del più acerrimo nemico di mio padre, era di nuovo solo, sul balcone lontano da tutti e nascosto, un angolo meno luminoso della casa, ma la luce che emetteva la sua anima rischiarava il più oscuro dei miei pensieri.
«Gerard, pssst!»
«Taci, Mercuzio, e lasciami ammirare.»
Disse qualcos'altro, ma era troppo tardi per fermarmi. Mi ero avviato a lunghi passi verso il balcone, cercando di avvicinarmi di più e non avere una semplice stretta di mano come pochi minuti prima, che mi aveva benedetto il palmo da ogni peccato commesso in vita, avrei voluto dirglierlo, quello che mi aveva scatenato nella testa. Con un semplice e rapido tocco, mi aveva rubato completamente l'anima. Vedevo la luce, in lui, era la mia stella, il mio sole. Salii quei gradini che da venti erano diventati quaranta, e quei pochi metri di distanza si erano triplicati. Con il cuore in gola, lo raggiunsi, e si voltò immediatamente verso di me. Sentivo che mi stava illuminando con quegli occhi, lo sentivo il mio cuore che voleva schizzare fuori e andargli tra le mani, che lo avrebbero accudito, o che lo avrebbero gettato per terra uccidendomi. Ero disposto a morire pur di non vivere senza.
«N-non dovrebbe essere qui, signore» sussurrò, e le vibrazioni della sua voce fecero vibrare le dita delle mani.
«Toccando la vostra mano, mi sono reso conto di aver spezzato l'immensa purezza che il vostro animo conserva, non me ne vogliate. Il peccato della mia essenza è un insulto per voi.»
«L'immensa purezza non mi appartiene.»
Sorrisi nervoso. «Il suo animo dolce è fin troppo delicato per una mano rozza come la mia. Inoltre, non sono la persona migliore con cui fare amicizia.»
Ci fu qualche istante di silenzio, e mi accorsi di avere delle scariche di brividi e un altro nodo alla gola nel mentre aspettavo la sua risposta. «Giudicate male la bellezza del vostro essere.»
«Mi crediate, prima di incontrare i vostri occhi stamani non ero nessuno. Il mio essere non esisteva. Da quest'oggi, il mio essere è rinato, ed è luminoso grazie alla luce del vostro animo, il mio cuore è solo un misero straccio dinnanzi alla purezza del vostro sangue, sebbene mi sia nemico, e non posso fare a meno di ammirarvi.»
Feci un profondo respiro, sentendomi tremare la mascella. Mi osservava spaesato, senza risposta, o forse ce l'aveva, ma non voleva dirmela per non ferirmi. Meglio essere morti che essere feriti. C'era più pericolo nei suoi occhi che in venti spade della sua famiglia.
La voce tuonante e divertita del capofamiglia riecheggiò in ogni angolo della casa, comunicando agli invitati il finire della festa. Feci un passo indietro rivolgendo di nuovo lo sguardo a Frank, permettendomi un'ultima occhiata all'essere più bello che avessi mai conosciuto. Sperai con tutto il cuore che non fosse un addio.
Non appena mi voltai, la sua mano afferrò la mia, facendomi beare di quel contatto così improvviso. Ci guardammo di nuovo.
«Se l'immensa purezza del mio animo è stata spezzata da un solo tocco della vostra mano, allora consentitemi di donarvi ciò che resta della mia anima.»
Lo fissai con la bocca semiaperta, sentendomi di non appartenere più alla terra dopo quelle parole. Restammo con la mano unita per così tanto tempo che temetti di avergliela tolta davvero, tutta la sua purezza. Eppure era bellissimo come prima. Lentamente sciogliemmo la presa, lasciando andare un dito alla volta. Scesi i gradini reggendomi al corrimano, temendo di staccarmi dal suolo e volare nel cielo insieme a lui, perché, diamine, non poteva essere altro che un angelo una persona così perfetta.

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