Capitolo 42- Già Celebre

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Il grande lampadario della sala si accese, e tutti alzarono il viso, meravigliati da quella cascata di schegge trasparenti e lucenti come costellazioni. Liza scattava da un invitato all'altro con la rapidità di un colibrì, celebrando la loro compagnia con strette di mano, finti baci sulle guance e sorrisi radiosi.
Il suo caschetto nero e mosso riluceva della stessa cupa brillantezza delle tende di velluto, il suo abito irradiava gli identici, eleganti damaschi dei tappeti deposti sul pavimento d'assi.
Era un tutt'uno con quella casa, con quell'ambiente. Fatta della medesima raffinata sostanza dei suoi stessi arredi.
Vicino a lei Xavier, cosparso di occhiate, a tratti esitante nei passi, sorridente di un sorriso accattivante e teso.
Liza lo presentava a tutti, e tutti matematicamente annuivano, conoscendolo già per nome o per reputazione.

«Emma» esclamò Liza, avvicinandosi a una donna dall'abito talmente giallo da far male agli occhi, «non ci vedevamo da quel cocktail party a casa degli Hiram. Come stai?» domandò, amichevole e autorevole allo stesso tempo.

L'altra prese a parlare, e lei stava ad ascoltarla con estremo interesse, o almeno era ciò che traspariva. Si avvicinò al tavolo e le porse una delle tante coppe di Champagne che attendevano di essere scelte su un grande vassoio d'argento.

Poi la donna sembrò improvvisamente rendersi conto della presenza di Xavier, anche se Liza lo aveva già presentato all'inizio della loro conversazione.

«Lui è il detective?» chiese, bevendo un breve sorso di champagne e mettendo in mostra le rughe delle labbra.

«Sì.» Xavier le sorrise, spostando il peso da un piede all'altro.

«Immaginavo. Seguivate il caso... non ricordo come si chiamasse. Enigmista?»

Liza scosse la testa, e per un orribile momento credette che Xavier sarebbe scoppiato a ridere.
Ma lui nascose il volto dietro alla coppa di champagne.
«Enigma» disse infine.

«Giusto. Qui se n'è parlato molto.»

«Come in tutta l'America» si affrettò a sottolineare Liza, e poi entrambe le donne scoppiarono in una breve risata.

«E gli altri dove sono, adesso? Sono rimasti a Detroit?»

«Sì» lui espirò in un lieve sorriso, «io sono qui in vacanza.» Aggiunse.

«Ah, certo-» la donna si fermò, improvvisamente interessata a qualcos'altro.
Si congedò -solo con Liza- prima di avvicinarsi a una coppia che stava parlando in fondo alla sala. Urlò qualcosa, e tutti e tre si salutarono calorosamente.

«Chi devi presentarmi, adesso?» Xavier si sistemò il bottone della giacca, aspettando risposta da Liza.

Lei si guardò intorno, «credo nessuno. Gli altri li conosci già.»
E prese a indicare gruppi di ospiti, che come sciami d'api altezzose stavano riunite ognuna intorno alle proprie regine, incarnate da avvocati, giudici e psichiatri dai portamenti orgogliosi.
Tutti volti già noti, già incontrati in una delle infinite feste per cui Liza lo aveva condotto: inviti impossibili da declinare, cocktail troppo buoni e costosi per non essere accettati.
Persone su persone si erano susseguite, come sospettati pronti all'interrogatorio e attori in fila per un provino, tutti con le loro specializzazioni e le loro entusiasmanti storie da raccontare.
Le serate erano piene, brillanti, sempre confusionarie e mai modeste.
E come in un terribile sogno febbrile i dettagli si confondevano, si mischiavano e diventavano difficili da distinguere, man mano che gli inviti aumentavano e il tempo sembrava scorrere impazzito.
Non si fermava mai, come succedeva spesso a Detroit, quando ogni tanto le cose sembravano rallentare per far inspirare ossigeno.
No, lì tutto era alla portata di tutti, ma bisognava saperlo cogliere, bisognava essere sempre pronti per un affascinate sorriso e una conversazione intima con un completo sconosciuto.

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