Capitolo 6

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Spensi tutte le luci per restare nel buio più totale della stanza, in modo tale da non poter più vedere Gerard, e non potevo neppure valutare se fosse ancora con me o se ne fosse andato.

Che ore erano?, le due, di notte, probabilmente. Da quando avevo avuto quella discussione con mamma non ero uscito dalla mia stanza tranne che per andare al bagno, avevo una bottiglia d’acqua e non avevo alcun bisogno di uscire e vederla, o vedere la luce, o fare qualunque altra cosa. Dalle quindici fino a quel momento Gerard era sparito nel nulla, non l’avevo visto, non l’avevo sentito, da un lato mi stava distruggendo dentro il fatto che se ne fosse andato, dall’altro ne ero sollevato. Mi faceva credere più di chiunque altro che fossi impazzito, di nuovo.

Sei psicotico, Frank.

Sì, lo ero. Ero psicotico. Ed avevo un brutto presentimento su cosa sarebbe potuto accadere ora che ne ero consapevole. Decisi che mi sarebbe rimasto ben poco da fare quando mamma avrebbe iniziato a costringermi ad andare dal dottor Toro, quindi sarei voluto andare a vedere Gerard per l’ultima volta. Non sapevo dove trovarlo né come rintracciarlo, forse avrei solo dovuto aspettare che venisse lui ma no, non potevo saperlo. Forse se n’era andato e aveva deciso di non vedermi più.

Mi alzai dal letto, procedendo a tentoni e rabbrividendo per l’improvvisa differenza di temperatura che c’era tra la stanza e sotto le coperte. Presi il cellulare per controllare l’ora e l’improvvisa luminosità del display mi fece male agli occhi, solo dopo che mi abituai vidi che erano quasi le due di notte. Pensai che fosse l’orario meno adeguato per “uscire” di casa, chiamiamola vera e propria fuga, ma lo feci lo stesso. La temperatura era quasi sotto allo zero, dovetti coprirmi quanto più potei. Uscii dalla stanza in punta di piedi, presi le scarpe, scesi le scale con cautela. Presi le chiavi e indossai le scarpe solo una volta fuori di casa, dopodiché camminai velocemente senza sapere dove andare. Alla villa del paese? Nel parco a due isolati di distanza? Obiettai per la villa, era più grande. Ispirai a fondo l’aria notturna e rabbrividii per il freddo, sentendomi congelare la punta del naso e le orecchie. Mi rimproverai a non aver indossato il cappellino di lana.

Le luci erano accese, e le strade erano abbastanza illuminate, ma deserte, e quell’assenza di gente da un lato mi confortava, dall’altro mi intimoriva. Non ne feci una questione e non valutai nemmeno l’idea di tornare a casa, ormai ero fuori, a fare chissà che cosa, non lo sapevo neanche io, l’istinto mi aveva detto di fare così. Il cielo non era minaccioso, qualche nuvola chiara sparsa a macchiare il manto scuro della notte profonda. Raggiunsi l’entrata della villa in non così tanto tempo, e mi addentrai lungo il viale, sentendomi più al sicuro. Un pipistrello sfrecciò davanti a un lampione, e mi fece sobbalzare. Mi rannicchiai sotto un albero fissando il bloccaschermo dell’iPhone. Avvertii come un senso di vuoto e di smarrimento, a ritrovarmi da solo sotto un albero, in piena notte. Non avevo neanche sonno, perciò sarei stato capace di rimanere sveglio fino all’alba. Sbloccai il cellulare e cercai tra le canzoni una adatta a rilassarmi, ma neanche senza farlo apposta misi in riproduzione la playlist degli Avenged Sevenfold, che stavo cercando di evitare in quel momento. La prima canzone era I Won’t See You Tonight Pt.1, e fu un colpo basso. Era la mia canzone preferita in assoluto.

No more nights, no more pain

I’ve gone alone

Took all my strenght

But i’ve made a change

I won’t see you tonight.

«Frank.»

Feci un salto all’indietro sbattendo contro la corteccia per lo spavento. Accanto a me si stava sedendo un ragazzo, dai capelli rossi, e dovetti ancora riprendermi dallo spavento.

By Your Side In Your MindWhere stories live. Discover now