L'aspro sapore della sconfitta

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Incredibilmente sono viva :D

Il blocco di scrittura è rognoso ma rieccomi (si spera). Mi scuso se ci ho messo tanto Shinig_CH , ma ti ringrazio tanto per la richiesta 

Avvertenza smut  e probabile inaccuratezza storica.

Detto questo, buona lettura 

***

Sentiva il rumore delle onde che lo scuotevano, eppure le sue palpebre erano così pensanti che non sembravano volersi mai aprire. 《So che sei sveglio. Apri gli occhi》 Quella voce aspra. La conosceva quella voce dura, autoritaria. Sentì una presa sul suo volto ed emise un mugugnò di dolore, sentiva il corpo in fiamme. Come se qualcuno si fosse premunito di bruciare ogni centimetro della sua pelle. Socchiuse gli occhi, vedendo a pochi centimetri dal suo volto Stati Uniti d'America, il suo mortale nemico.

L'americano vedendo che aveva finalmente aperto gli occhi lasciò la presa e, mentre il volto dell'uomo cadeva nuovamente sul cuscino, andò a sedersi in modo scomposto su una sedia, la gamba accavallata sopra il poggiagomiti.《Allora...piaciuti i miei regali?》 Chiese con un sorrisino mentre si poteva una mano sul petto, accarezzando il morbido pelo che ricopriva l'interno della sua giacca di pelle.

L'uomo steso sulla brandina lo guardò confuso, ancora stordito dal risveglio.《Tsk, non dirmi che mi tocca farti lo spiegone》 disse con falsa scocciatura l'americano mentre già pregustava le parole che avrebbero lasciato la sua bocca 《Come puoi aver dimenticato? Sei davvero così patetico da non ricordare come ho asfaltato, anzi spazzato via dalla faccia della terra due città?》Il terrore nel volto dell'uomo suscitarono la gioia pura e malsana dell'americano 《Già...com'è che si chiamavano? Fammici pensare》 disse battendo con un dito sul mento, alzandolo poi quando finse di aver ricordato 《Ah già! Si chiamavano "Hai perso" e "Arrenditi"》

Impero Giapponese strinse i pugni debolmente aprendo la bocca per urlare il suo odio ma venne zittito da un dito dell'americano. 《Sh sh sh, sei già abbastanza debole e patetico senza che provi a parlare》 Lentamente il suo dito tracciò il solco delle Sue labbra. 《Dimmi...come ci si sente ad essere così, così...miserabili?》 Chiese con voce vellutata mentre gli sollevava il viso 《Sei cera nelle mia mani ora, stupido asiatico》

《Dove...dove siamo?》 La voce era debole, quasi un sussurro. 《Oh da nessuna parte in realtà. Rimarremo in mare ancora un pochino. Giusto abbastanza per vedere le bandiere bianche innalzarsi in tutto il paese. Forze sta succedendo ora. Perché non andiamo a vedere?》

Senza dargli il tempo di replicare o processare cosa avesse detto lo prese in braccio come fosse un sacco di patate senza vita. Lo fece sedere su una sedia a rotelle, sapeva che sarebbe stato incapace di camminare o stare solo in piedi. Godeva, godeva così tanto dello sguardo di odio che gli lanciava il giapponese in silenzio, pieno di umiliazione. Lo spinse per i larghi corridoi della nave, quei lunghi corridoi di metallo e bulloni grandi come un occhio. Lo portò sulla portaerei, davanti a loro c'era solo l'oceano. Poi eccola, là in lontananza, nascosta dalle nuvole grigie, la sua amata terra, la sua amata casa.

Impero Giapponese si sporse con il busto verso essa, attratto come un marinaio al canto di una sirena. 《Non credo proprio》 Sentì due forti mani stringere le sue spalle, costringendolo a ritornare con la schiena contro lo schienale della sedia a rotelle 《La guardiamo da qua, eh? Tanto sarà l'ultima volta che la vedrai...spero che tu abbia salutato bene tua figlia, presupponendo che sia viva》

 Per settimane e settimane quella frase rimbombò nella testa del giapponese. Era diventato ossessionato. Voleva vedere sua figlia e strangolare l'americano. Sapeva che il suo orologio stava finendo l'ultimo giro. Seduto su quella maledetta sedia a rotelle rimaneva relegato in un piccolo appartamento, senza contatti esterni o mezzi per comunicare, in mezzo al nulla. Fu perciò una sorpresa quando l'americano, durante una delle sue visite, invece di limitarsi a prendersi gioco di lui gli portò anche il giornale, fresco di stampa. 《Goditi lo spettacolo》.

Confuso l'uomo abbassò lo sguardo sulla foto in prima pagina e sentì il debole cuore avere un sussulto. Eccola là, in tutta la sua bellezza, chinata su dei larghi tavoli. Firmato l'armistizio, la guerra è finita. Così diceva il titolo a lettere cubitali. Gli occhi stanchi dell'asiatico corsero alla data. Due settembre 1945.

Gli sembrava che fosse passata una vita intera in quello stupido e puzzolente appartamento, a quella notizia la speranza si riaccese. Un tempo avrebbe provato vergogna per la resa, ma non dopo quello che aveva visto, che aveva perso. 《Fammi tornare a casa... 》

《Tutto ha un prezzo e lo sai.》

Rabbrividì sentendo quelle parole, così familiari eppure così lontane. Lontane come quella sera del 1941.

Venne  bloccato contro il tavolo, tenuto fermo suoi polsi, come se l'altro avesse paura che scappasse. Appena le sue labbra, strette e sigillate, vennero sfiorate da quelle dell'americano sentì un brivido correre lungo la sua colonna vertebrale. 《Tutto ha un prezzo...》

Una mano risalì con lentezza l'interno della sua coscia 《E lo sai...com'è che si diceva? Occhio per occhio》 Spalancò gli occhi non appena sentì quella mano fermarsi in mezzo alle sue gambe 《Dente per dente.》

Si sentiva esposto tra le mani dell'americano che senza esitazione lo spogliava, mostrando le sue mille cicatrici a un pubblico inesistente 《Sai cosa stai pagando? Lo sai?》 Chiese con isistenza l'americano mentre si apriva i pantaloni con una mano sola, l'altra che tronava a bloccare i suoi polsi. L'asiatico scosse la testa, le labbra ritratte in dentro e gli occhi strizzati 《Per la tua stupida presunzione. Pensavi veramente di potermi attaccare senza subire le conseguenze? Tsk, se è così sei ancora più stupido di quello che credevo.》 Gli fermò il viso con una mano, posando le labbra contro le sue per alcuni istanti, ma vedendo che l'altro non le lasciava andare strinse la presa sul suo viso. 《Ti ostini a resistermi? Sei così tanto ottuso?》

Ferito nell'orgoglio rimase rigido ancora per alcuni istanti ma presto la sua schiena si inarcò dalla sorpresa sentendo delle dita fredde tracciare i solchi delle sue cicatrici come fossero imperfezioni di una stoffa. Aprì bocca per lamentarsi ma le sue labbra vennero catturate da quelle dell'americano che con più foga lo toccava. Dalla bocca del giapponese uscì un doloroso lamento quando, preso per i fianchi, venne tirato verso l'americano. Non fu più pronunciata altra parola mentre come animali lottavano, stringendo le carni e nascondendo sensazioni. Impero giapponese sentiva come il suo corpo era violato con brutalità, solo quei brevi baci che riceveva rompevano il ritmo stancante delle spinte che gli perforavano il bacino. Stringeva la presa sulle spalle dell'americano, come un naufrago in mezzo al mare in tempesta che si aggrappa alla scialuppa ribaltata dalle onde. Le lacrime nei suoi occhi non smisero mai di appannargli la vista. Sentiva il prorpio corpo in fiamme. Poi d'improvviso un colpo di secco degli altri, che lo fece gemere senza pudore. Ansimante strizzò gli occhi mentre con irritante lentezza l'americano usciva da lui, osservando con un sorrisino le gambe rosse e martoriate dell'asiatico.

L'americano fece un sorrisino immaginando a  cosa stesse  pensando il giapponese e posò una mano sulla sua spalla 《Basteranno dei soldi questa volta. E qualche firmetta qua e là》

Uscì dalla stanza trionfante, un sorrisino sulle labbra. Era inutile che provassero a mettersi contro di lui. Baciatemi il culo, pensò, ora nessuno può fermarmi.

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