SPICCHIO DUE | MELA STAGIONATA , ROSSA E REDOLENTE

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Dieci di notte.
Insabbiai la procella in me.
Mi guardai allo specchio del mio bagno e sbuffai.
La capatina al pometo mi aveva fatto capire che non ero eterosessuale. Cazzo, lo sapevo.
E be', mi dissi, era giunta l'ora di accartocciare quel foglio di carta che diceva no homo.
Poi, andai a dormire perché domani avrei dovuto scalzare arbusti di erica dal nostro giardino.
Tre di mattina.
── Taehyung, cazzo. Svegliati.
Bisbigliai io.
Ero nelle prossimità del suo letto.
── Sono appena le tre del mattino, hyung. Ma porca putt...
── Eh, no. Bimbo, non provare a dire parolacce davanti allo hyung. Dobbiamo parlare di cosa è successo al pometo, quindi alza quel tuo bel culetto di diciassette anni e parlami.
Poiché non volesse alzarsi, io andai a prendere il mio telefono e accanto al suo orecchio misi la mia canzone preferita: Be happy, della sorella di Charli D'Amelio.
── Cavolo, sono sveglio. Ti odio, hyung.
Si alzò lui. Poi mi fece spazio sul letto, così che io potessi sedervi.
── Sì, certo. Ti credo, pivello.
── In ogni caso, secondo te le mele hanno dei poteri magici?
Gli domandai.
── Che cazzo. Hyung?
── Beh. Allora, perché mi sei saltato addosso al pometo?
Sbottai.
── Perché sei un figo. Sono attratto da te. E lasciatelo dire, sei gay o bisex fino al midollo.
── Sicuro sia così evidente? Le ragazze della Chiesa hanno tutte una cotta per me.
── Anch'io ho una cotta per te, hyung.
── E me lo dici così, Taehyung? Ti sembra il caso?
── Sì, sono serio. Quindi ora, hyung, o te ne vai o scopiamo. Decidi.
Conversò ardimentoso.
Gli feci un'altra pernacchia.
── Non... non ci penso nemmeno! Questi letti gemono troppo.
Incrociai le braccia.
── Uffa.
Sospirò lui.
── Possiamo andare in un posticino.
Dissi.
Tre e mezza di mattina.
Discesa la rampa di scale, burberatamente mi accinsi a portare Taehyung nella stanza di sbroglio di casa nostra. Uscimmo da casa mia e superammo una succosa terra di cetrioli verdi e infine giungemmo in quei trenta metri quadri di lerciume.
Neppure se fossimo stati in castigo, scaldammo quello sgabuzzino.
Quest'ultimo non feteva da stringere lo stomaco in una morsa, però aveva le pareti disseminate di salnitro.
Così, scostai le tende di plastica e accesi il lume della malmessa lampadina.
Mensole in cartongesso, scope, palette, brandelli di abiti, battipanni, seghetti, specchi fumé, accette, sgorbie, raschie, roncole, carriole, forche da fieno e rastrelli. In una delle mensole c'erano semi d'ogni genere di pianta.
Di papavero, zucca, cetrioli, topinambur, zenzero, aglio, fagioli, piselli, pomodori, peperoncini, di fiori altrettanto, fiordaliso, gladiolo, viola mammola, anemone, bocca di leone, iberis, talee di rosa, non-ti-scordar-di-me e croco autunnale.
Taehyung stava dietro di me.
── Beh, sempre meglio di nulla. Che te ne pare Taehyung?
Lui non rispose.
── Potrem...
Lui mi baciò la nuca. Eravamo entrambi centosettantotto centimetri.
Per un istante mi sfiorò il pensiero di mollarlo lì, un senso di nausea andò montandomi dentro.
Ma poi mi ricordai di essere senza speranza.
Spostai una pila di scatole e cercai di girarmi.
Dovevo pur far capire chi era lo hyung, l'attivo, della situazione.
── Non girarti, hyung. La tua schiena è così limpida, ci potrei effigiare qualcosa.
Mi alzò la maglia di fatto. E iniziò a passarvi la mano a serpeggi.
── Appoggiati a quella scatola, se senti le gambe tremare.
Mi esortò da dietro.
Le carezze protrassero.
Lo sentì ridere. Fu una risata la quale mi contaminò.
Ridemmo entrambi. Poi, un boato.
Il cielo gridava pioggia.
Una massa informe parve cadermi addosso, quando la luce venne a mancare.
Ma poi mi accorsi che era solo quella brutta statua di mio padre.
── Forse, non dovremmo scopare qui.
Ma il biondo non mi ascoltò.
In un batter di ciglia, mi ritrovai coi pantaloncini e con essi i miei mutandoni da nonno abbassati.
Questi ultimi andarono sdrucciolando giù per le mie gambe.
Il mio pene nudo si erse testardo prontamente una volta che l'aria della stanza di sbroglio lo baciò. Fu allora che mi sentì oltremodo delicato.
Il mio corpo si tramutò in qualcosa di sensibile.
E di per certo la consapevolezza che fossi nel ripostiglio dei miei in procinto di scoparmi un diciassettenne non placava il mio cuore palpitante.
In seguito la sua protuberanza dei pantaloni cozzò contro le mie natiche.
Il biondo protrasse la sua entrata all'uscio della mia timidezza.
Di fatto, poi Taehyung insinuò due dita dentro alla mia bocca a ciliegia. Io ingordo le leccai.
Le incorniciai del mio liquido incolore delle ghiandole del cavo orale.
Una volta che le sue falangi furono imbrattate della mia saliva filante, io aspettai un momentaneo bruciore là, nel mio orifizio dell'intestino retto.
Ma aspettai invano, poiché Taehyung ricolmò il vuoto con qualcosa di peggio, una protuberanza per me lancinante.
Fu un incendio. Non un bruciore.
Entrò dentro di me con un colpo forte e secco.
── Cazzo... Taehyung! Credevo mi avresti almeno abituato prima.
── Ho utilizzato la tua saliva come lubrificante, ma non avevo intenzione di usare le mie dita. Queste saranno per un'altra volta. ── ridacchiò.
Cazzo, che urto.
── Hyung.
Ficcò altre due dita nella mia bocca e s'insinuò combattivo dentro il mio orifizio.
Anzi si scagliò contro quest'ultimo.
Allora iniziò a spingere dentro di me. E intanto le mie gambe vibrarono di formicolii.
Stavolta, purtroppo fermai la mia bocca imprecante. Anzi la fermò Taehyung con le sue due dita.
Continuò a spingere e la sua mano a serpeggi prese ad accarezzarmi le cosce.
Altri lampi rigarono il cielo delle quattro meno un quarto di mattina. Il cielo era in procinto di prorompere in una pioggerellina estiva.
I miei pensieri rimasero inestricabili per minuti.
Taehyung continuò a spingere e le mie gambe si fecero di marmellata alle mele.
Taehyung continuò a spingere e la mia voce si fece quello di un ragazzo vespigno.
Taehyung continuò a spingere e i miei occhi iniziarono a vedere il firmamento.
Il suo organo, in tutta la sua lunghezza, si trovava nel canale del mio retto.
Le sue spinte erano proprie di un ragazzo sovreccitato; rozze.
Il modo in cui costellava di morsi il mio dorso semi nudo era giovane.
Il modo in cui fasciava il mio punto vita con le sue mani bagnate di sudore era altresì giovane.
── Taehyung... non ce la faccio più.
Mi lagnai come un bambino.
── Cazzo... non ero abituato.
Non avevo mai provato a intrufolarmi un dito nell'orifizio, e ora avevo un pene di sei centimetri lì dentro.
Soffiai abbassando il capo sulle scatole.
Cercai in vari modi di non piagnucolare, il mio pene cercò in vari modi di non gocciolare, cercai in vari modi di stare ritto in piedi ma il corpo sovreccitato non volle saperne.
Dunque mi ritrovai a novanta gradi, come mezzo di appoggio delle cazzo di scatole e un pene duro che s'infiltrava e s'infiltrava verso il sentiero del mio orgasmo.
Il mio pene, invece, mediante sottocodici mi diceva di toccarlo. Andava subendo ed io dovevo toccarlo.
Così lo toccai. Con le mie tremule mani andai a cingerlo ma: ── Non toccarti, hyung. Non venire, hyung.
Canticchiò solo.
── Perché?
Piagnucolai io.
La prominenza del mio uccellino protestava.
Era come avere l'urgente bisogno di fare pipì ma con tutti i bagni della scuola occupati.
Come una sgualdrina dei vicoli del mio ghetto, infine, feci fare tutto a lui.
Non mi toccai.
Non venni.
Mugugnai per un dolore lancinante del mio basso ventre. E quel mulo di Taehyung aumentò di forza e velocità le spinte.
Il mio pene poi si tramutò in un palo d'acciaio.
Presi a piagnucolare, quando lui s'insinuò nei pressi della mia prostata.
── Fammi almeno venire... ah.
Sbottai con voce tremante.
Io tremai.
Fu una sensazione febbrile.
Una spinta. Un'altra. Un'altra ancora. E ancora un'altra.
Fu una mescolanza di lussuria, ingordigia e avarizia.
Il biondo non mi permise ancora di rilasciare il liquido incolore che gociolava copioso dal promontorio del mio pene.
Il piacere fu tale che le mie natiche si spinsero verso il suo inguine più e più volte.
Mi causai ulteriore piacere. Mi spinsi verso il suo pene. Più e più volte.
Perché mi ridussi a scopare con questo mulo? Ero un ghiottone.
Ogni mio nervo, ogni suo nervo, era un centro di piacere.
Pulsavamo entrambi di piacere.
La sua zona pelvica sbatteva contro le mie masse carnose.
Taehyung avido si avvinghiò ad esse e spinse. Spinse ancora riducendomi ad un buontempone, anzi ad un prostituto.
Cazzo, sarei dovuto nascere ai tempi di Roma Caput Mundi.
Per i romani era normale che un paterfamilias, un uomo sposato, pagasse un prostituto per pratiche di sodomiti.
Sentì bramosia nella sua voce e non mi astenni dallo sborrare sul cartone color sciroppo delle scatole. Avevo insomma raggiunto il colmo del piacere.
Se mio padre si fosse dato ad una meticolosa perquisizione, senza dubbio avrebbe scoperto qualcosa.
Il seme bianco si sparpagliò.
C'era odore di sperma là dentro.
C'era sperma dovunque.
── Basta... Taehyung. I miei potrebbero alzarsi. E poi c'è anche mio nonno. Cazzo...
Anche lui orgasmò,l mugugnando. E così ci fermammo.
Taehyung, girandomi prontamente, m'imbavagliò con un bacio.
── Hyung, è stato davvero divertente. Ma sai che non mi basta, vero?
── Taci imbecille.
Lui rise.
Ci sistemammo i pigiami. Il suo era colorato, homo. Il mio era grigio, tamarro.
Uscimmo da quel posto senza fiatare. E lui si apprestò a correre chetamente per raggiungere la porta di casa. Pioveva a dirotto.
Io rimasi indietro e andai a prendere dallo sgabuzzino qualcosa per non bagnarmi.
Protrassi un fagottino, lo portai all'altezza della testa e progredii verso il sentiero della pace, tra la succosa terra dei cetrioli di mia madre.
Mi tramutai nel mio nonno decrepito con il mio camminare stentando.
Taehyung! Prima ancora che potessi chiamarlo per soccorrermi questi era già dentro casa. Cazzo, com'era bravo a svignarsela.
No, non imprecai.
Zoppicai sotto allo scroscio di pioggia. Piovve l'iradiddio.
Cinque di mattina.
── Taehyung, che ci fai qui?
Scorse una punta di vergogna nel mio parlare.
Il mulo era nella mia stanza, il groviglio di rottami dove protagonista era il mio ibrido tra violoncello e chitarra, il mio arpeggione.
── Va' a cambiarti, sei tutto fradicio per la pioggia. Sai che culo mi fa mia madre se ti vede col raffreddore.
Starnutii.
── Hyung, hai voglia di un secondo round?
Cinque e mezza di mattina.
M'ingozzai del suo pene.
Non fu per niente romantico scopare con Taehyung. E a me piacque.
Crebbi a suon di botte in una famiglia cattolica e culminai con lo scopare con uno di diciassette anni.
L'Inferno era il mio destino.
Sei di mattina.
Stanco per l'amplesso, per il bis, presi il mio cellulare e digitai su YouTube la serie Feffa la cagna.
La quale come consueto mi fece indugiare nel sonno.
In realtà, fu la pubblicità di Grammarly a farmi dormire. This sentence is grammatically correct, but it's wordy, and hard to read.
Sì, quei minchioni degli YouTubers tempestavano i video di pubblicità, per guadagnare qualche won in più. E ovviamente nella nostra isola solo una persona aveva YouTube Premium, mio nonno materno.
Otto di mattina.
Sommessamente mi lagnai del dolore disperato sotto la scapola.
Inutile era lagnarsi del mio orifizio. Mi ero fatto mettere dentro il cazzo di uno più piccolo di me, consapevole che la mattina seguente avrei dovuto sgobbare per mia madre.
Dieci di mattina.
Divagai tra gli arbusti di mia madre per contemplare le decisioni sin'ora prese.
Non mi sarei dovuto guardare Feffa la cagna, bensì i miei diletti compagni di continente che costruivano piscine nelle rade giungle.
I miei diletti compagni di continente. Molti coreani su quest'ultima frase avrebbero avuto tanto di ridire.
L'Asia dell'est, nettamente Cina, Giappone e Corea del Sud, aveva in odio l'Asia del sud-est, Thailandia, Filippine, Malaysia, Indonesia o Brunei (giusto per nominare alcuni Paesi).
Bastava vedere i commenti razzisti da parte dei coreani riguardanti quella certa idol. Credo fosse Lisa delle Blackpink.
E il fatto che la stessa gentaglia si lamentasse del razzismo dei Paesi bianchi mi faceva ridere.
Un qualcosa però assolutamente da non dire ai feticisti dei coreani, giapponesi o cinesi.
Undici di mattina.
Vidi una bottiglia di cognac sul tavolo rustico.
Occhi, naso e corpo. Mezz'oretta fa, Taehyung mi aveva detto che gli piacevano i miei occhi, naso e corpo. Del corpo n'ero certo.
Lui era in città con mio nonno al mercatino dei poveri, ai margini del quartiere delle puttanelle. Ci erano andati col trattore. Il mio vecchio gli aveva detto: Vieni, Taehyung-ssi. Andiamo a vendere un po' di cose, cosicché capirai un po' della vita laboriosa di un uomo.
Ma nella realtà era solo un modo per fare di lui uno schiavo. Uno schiavo per liberarsi di un po' di paccottiglia del magazzino della sua fattoria.
Gli aveva detto inoltre: Oesonja, ti divertirai. Inoltre, dopo questo ti farò utilizzare il mio YouTube Premium.
Il mio oeharabeoji (nonno materno) mi aveva tradito. Daebak.
Una di pomeriggio.
── Eomma, vado a svellere dal terreno i tuoi arbusti!
Urlai io.
── Jungkook, no! Io, te e Taehyung andremo a casa della signora Cheon per una visitina. Perciò, va' a mettere qualcosa di guardabile.
── Sono già guardabile.
── Sì, per vivere sotto a un ponte ── mi brontolò lei.
Sbuffai. Poi guardai mia madre.
Si radicò in me un timore. E se venissimo scoperti?
Soggiogai il timore e mi accinsi a cambiarmi.
Tre di pomeriggio.
Dopo il pranzo a base di noodles in brodo freddo con tutta la famiglia e un intruso, appa, eomma, oeharabeoji e il biondo (cioè l'intruso), andammo dalla signora Cheon con un cesto di legno bruciato con alcune mele rosse.
Io, mia madre e Taehyung andammo dalla pettegola Cheon e quei decrepiti di mio padre e mio nonno rimasero a dormicchiare nella loggia sotto il cielo terso delle tre di pomeriggio.
Tre e un quarto di pomeriggio.
── Taehyung, oi, ti assomiglia.
Indicai un maiale.
Il signor Cheon aveva comprato dei maialoni quel dì.
── Jungkook!
Mi picchiò mia madre.
── Aigoo! Eomma! ── ne fui indignato.
── Non si preoccupi, signora Jeon. Non me la sono preso. ── farfugliò questi timidamente. Ma quel coglioncino era tutt'altro che timido.
Di fatto, mi sorrise con gli occhi.
Quattro di pomeriggio.
La signora Cheon ci servì delle fette di pajeon, la nostra pizza coreana.
Non kimchi. Certi imbecilli credevano che noi coreani mangiassimo kimchi a colazione, pranzo e cena. Ma chi cavolo si mangiava così tanto un contorno di cavolo napa?
Francamente io odiavo la sua pizza perché sapeva di uovo crudo. Invece se mi avesse servito un po' della sua zuppa di tofu, le sarei caduta ai piedi.
── Jungkook-ah, avevo preparato la zuppa di sundubu per pranzo. Te ne va un po'?
Mi sfavillarono gli occhi. E mi sentii in colpa di averle dato della vacca.
── No, signora Cheon. Non si disturbi. Va benissimo questa fresca pizza.
Mi antecedé mia madre.
Io annuii per cortesia.
Seriously, ma brotha'? Nei recessi della mia mente, imprecai tante volte quante i rapper Afro-Americani cantavano la n-word, tante volte quante le rapper americane cantavano della loro barbaggianna (vagina).
Odiavo mia madre.
Cinque di pomeriggio.
La signora Cheon mi diede un cesto di saponette alla lavanda di nascosto. Sapeva che a mia madre non piaceva quando prendevo qualcosa in regalo.
Sei di pomeriggio.
Mia madre se ne ritornò a casa col cesto di saponette. Io e Taehyung andammo al pometo.
Sette di pomeriggio.
Il biondo era ancora con me al meleto.
── Vuoi andare a fare una visita alla mia gang di amici? La gang della Chiesa.
I suoi occhi brillarono con aria canzonatoria.
── Non saresti un impostore fra loro, hyung?
── Solo perché mi sono scopato un minorenne? C'è di peggio nelle vita, dongsaeng.
Rimarcai io.
Io poi gli consigliai di andarsi a fare un bagno alla riva. Certo, non era un jacuzzi di marmo nero ma aveva il suo divertimento.
── Facciamo qualcosa insieme.
Disse lui.
Io mi sedetti sotto l'albero di mele, dove c'era ancora l'acerba mela del biondo. Mi poggiai sul vecchio tronco e pensai.
Quante cazzate stavo facendo per un ragazzino?
Sì, noi dell'anno duemilatré ci burlavamo di quelli del duemilaquattro.
E comunque sia le cazzate erano pane quotidiano anche prima dell'arrivo di Taehyung.
Mi faceva ancora male il culo. E lo potevano persino notare le industre formiche del meleto. O erano i pomi ad essere prodigiosi o era lui ad avere questa capacità innata di fatare.
Era una fata? Una maschile, però.
Lui però non era della mitologia popolare.
E pensare che aveva tutto avuto inizio sotto a quella mela acerba che lenta, lieve e lineare stava diventando una stagionata.
── Tu sei strano. Negli Stati Uniti la gente scopa appena si conosce?
Gli chiesi io.
Il sole era quasi al vespero.
── In quasi tutti i film, serie e programmi, hyung.
Ridacchiò lui.
Cazzo, che risata importuna. Era di miele.
Il biondo poi si mosse e in un batter di ciglia mi ritrovai la sua testa sulle mie magre cosce.
Là, mi accorsi di un'ambivalenza di sentimenti.
Taehyung era carino.
Era un canarino giallo che picchiettava all'uscio del mio cuore. Ero nella merda.
La voce del sospiro.
Sguazzava nel nostro ghetto, come se fosse qui dalla primavera della sua vita.
Soprattutto sguazzava con me come se fossimo simili, amici o fidanzati. Ma non eravamo nessuno dei tre.
Aveva occhi gatteschi che scrutavano la vasta prateria, le mani che punzecchiavano l'erba per lo più verde e dei capelli biondo miele che grattavano la mia pelle.
Le mie mani casualmente caddero sulla sua chioma color tramonto perché era l'ora vesperale.
I suoi capelli erano morbidi.
Sapevano di albicocca.
Taehyung davvero era adorabile.
── Hyung, secondo te ha senso noi? Ha senso quello che stiamo facendo?
── Razza di imbecille, ovvio che no!
Sbottai a gridare.
Repentinamente tolsi le mie mani dalla sua chioma.
La chioma bionda si alzò.
Lui s'insinuò ancora una volta tra le mie gambe. Le sue mani acchiapparono le mie ginocchia.
Vantò un sorriso saccente e adagiò una sua mano, tolta da uno delle mie ginocchia, sulla mia gota destra.
── Dove cadono le mele, ── innestò cento dubbi in me, ── noi cadiamo in tentazione ──.
Mi sorrise così il biondo.
Era rosso come una mela. Come le nostre mele.
Poi, tutt'a un tratto debellò la timidezza.
Non ebbe più vergogna di baciarmi.
Esultò in cuor suo quando la mia lingua leccò le sue labbra, le quali sapevano delle labbra di Taehyung; le uniche labbra che conoscevo.
Il colore dell'istante in cui l'astro toccò l'orizzonte rischiarò i nostri due visi.
Stavolta fui io a baciarlo. Gli stampai uno genuino sulle labbra a papera.
Lui me ne diedo uno. Io gli diedi un altro.
E divenne un baciarsi senza timori.
Non finché in lontananza vidi mia madre.
Cazzo, quella donna era mia madre.
── Eomma?
Sussultai.
Caddi in trance. Solo astrazione dalla realtà che mi circondava.
In seguito ovviamente mi ripresi.
Richiamai alla coscienza tutto ciò che avevamo fatto.
Ero nella merda.
── Hai visto tua madre?
Mi chiese il biondo.
── No! No, no. Sai, a volte mi immagino le cose. Vedo fantasmi e cose così.
Lo rassicurai.
── Senti, Taehyung-ssi. Perché non vai dalla gang della Chiesa? Io ti raggiungo là appena posso. Al momento ho una cosetta da fare. Superato il meleto, troverai una casupola di legno. Va' là. Io ti raggiungo dopo, okay?
Lui annuì sorridendo.
Nove di sera.
Riunione di famiglia.
Io e quei cocciuti dei miei familiari discutevamo animatamente. Sopra di noi si estendeva una massa di polvere dei lampadari rustici.
── E che cazzo, mamma! Mi prendi per il culo?! Abeoji beve, è un cazzo di alcolista, e tu non gli dici mai niente. E il nonno? L'hai colto a vedere dei porno e non gli hai mai detto nulla. E a me? A me dici sempre che è tutto sbagliato. Tutto quello che faccio io è sbagliato! Basta. Ma basta, davvero. Ti hanno fatto il lavaggio del cervello questi due, eh?
Sbottai a ridere.
── Jungkook. Se io...
Provò a dire ma io non le diedi retta.
── Non m'importa di quello che hai da dire. A me piace Taehyung. Fine.
Cazzo, mi piaceva Taehyung? Ma non ci conoscevamo da un giorno?
── Jungkook, adeul. Ti prego, ascoltami. Se io ti proibisco di fare una cosa è perché non voglio che tu diventi uno di questi, di queste merde di famiglia. Adeul, ascolta. Io non ti ho mai odiato. E non ti odio per quello che stai facendo. O per quello che sei.
Mi spiegò questa.
Mio nonno si scandalizzò: ── Ha Eun-byeol! Che cosa stai dicendo? Sei mia figlia? Mio nipote, tuo figlio, è omosessuale! Noi siamo una famiglia di cattolici.
Mio padre annuì. Che deficiente.
── Abeoji! Basta! Ti sei preso la mia vita, la mia felicità, i miei sogni e ora vuoi portarmi via anche la fede? Vuoi privarmi anche del mio figlio?
Le parole trepidanti sgorgarono dalla bocca asciutta di quella donna.
Ecco, credo fosse stata più drammatica della realtà. E la cosa mi fece ridere.
── Yeobo, smettila di parlare così a tuo padre.
Le disse invece mio padre.
── No, tu sta' zitto. Domani andrò da un avvocato, cosicché ci potremo divorziare e tu potrai correre da quella troia di Seo-jin.
Ecco, mia madre sparò una cazzata.
Divorzio? Loro due? No.
E poi soggiunse: ── Tu, abeoji! Lascia in pace mio figlio. Taglieremo i rapporti con te se sarà necessario.
Lei richiamò mio nonno.
Lei non chiamava mai appa (cioè papà) mio nonno, bensì abeoji (versione formale). Alla sua età gli si addiceva abeoji.
── Sono stanca di voi.
Gridò lei. Si sbracciò talmente tanto che sbatté una delle braccia contro il vertice del tavolino di vetro.
── Yeobo!
Le andò incontro mio padre. Quel fannullone alcolista, spuntato dal marciapiede durante un ferragosto palloso degli anni Duemila, era stato come una cometa dell'Apocalisse nella vita da tossicomane di mia madre.
Questa aveva riconosciuto le pupille miope, grigie, anzi da alcolista incallito, di mio padre.
Questa aveva accolto mio padre.
Questa aveva presentato mio padre al nonno e alla nonna, allora di bollente spirito cattolico.
Lui molto probabilmente aveva sfruttato mia madre. Per rimpiazzare il vuoto della sua prima moglie, aveva usato mia madre. Per avere un posto dove vivere, aveva usato mia madre (sarebbe finito in una gabbia per matti del suo quartiere, altrimenti).
Per avere una vita facile, aveva usato mia madre.
── Lasciami in pace, Seok-hoon. Tu non mi hai mai amata, lasciami in pace.
Si lagnò lei.
── Eomma.
Provai ad avvicinarmi.
Col viso pallido, tirato e asciutto mia madre tremava. Tremava d'astio.
── Lasciami in pace anche tu, Jungkook.
Mi sgridò.
── Uscite tutti da questo cazzo di salotto!
Che famiglia di fannulloni.
Nove e mezza di notte.
Io, mio nonno e mio padre ci ritrovammo seduti sulla veranda a discutere.
── Figliolo, sei veramente omosessuale?
Mi domandò mio nonno.
── Oeharabeoji, sono bisessuale.
Gli spiegai incerto.
── Figliolo, sicuro che non sia per un tinder tra voi adolescenti?
Mi domandò ancora mio nonno. C'era fin troppo silenzio.
Ecco, mio padre sonnecchiava.
── Dio, oeharabeoji! Si dice trend. E poi, no! Mica porto in rovina la mia famiglia per un cavolo di trend.
Sbuffai.
Meno male che non c'era Taehyung.
Non indugiai a constatare che quel biondo fosse un pelino importante per me.
Poi, invocai mia nonna dal cielo dei morti. Lei era una stella là, su nel cielo. Il suo sangue allagava il firmamento impolverato di stelle.
Era l'energia vitale che governava noi imbecilli.
Mio nonno ancora la sognava. E mi diceva che fosse una bellezza incorporea, nei cui occhi non si celava alcuna sottile vendetta in qualsivoglia episodio della sua vita.
Questo era il momento in cui, se la mia vita fosse stata una pallosa serie coreana, ci sarebbero stati ricordi pallosi di mia nonna.
Dieci di notte.
Vidi Taehyung rientrare e salutare mio padre e mio nonno. Questi ultimi gli sorrisero.
Quindi, ce l'avevano solo con me per essere bisessuale? Per mero caso fosse discriminazione?
Taehyung non mi salutò. Mi guardò di sbieco.
Cazzo, mi ricordai che lo avevo lasciato solo con la mia gang della Chiesa, quando in realtà gli avevo promesso che lo avrei raggiunto.
Dieci minuti dopo.
Taehyung se n'era ormai andato dal giardino.
Ma lui non era l'unico problema al momento: era giunta la signora Moon per le sue mele.
Salutai quest'ultima e mi voltai verso il salotto.
Il biondo salì la rampa di scale in salotto e si sottrasse dalla mia vista.
Io mi rintanai in salotto invece per chiamare mia madre.
── Eomma. Eomma, sveglia! È arrivata quella tirchia della signora Moon per prenotare due cassettoni di mele.
── Eomma! Seria?
Provai a scuoterla.
── Appa. Appa!
Gridai. Mio nonno dialogava e intratteneva la signora Moon.
── Che c'è, Jungkook? Cosa urli come un imbecille? C'è la signora Moon là fuori.
Lui mi raggiunse subito.
── Lo so e la mamma non si sveglia.
── Yeobo. Yeobo?
La chiamò.
── Visto?
Mi sentii svenire.
── Cazzo, Jungkook! Sbaglio o quel coso è cocaina.
Indicò la mia cocaina.
── Omo, è la mia cocaina! Mi è costato un occhio, ho dovuto vendere tutti i miei manga di Sailor Moon.
Rimarcai io.
── Tua madre è andata in oberdose, coglione!
Mi picchiò.
── Overdose. Appa! Che facciamo? Salva mia madre! Chiamo... chiamo l'ospedale.
Corsi verso il telefono di casa.
── È tutta colpa tua, appa. Io ti faccio arrosto una volta che la mamma si riprende.
Digitai il numero d'emergenza e portai il telefono all'orecchio.
── Sta' zitto, coglione. Non sei neppure mio figlio ma guarda come ti ho trattato per bene. Ho speso tutti i miei soldi per mandarti a comperare le caramelle da quello snob del signor Cha.
Non ero suo figlio?
A tal punto mi cadde il telefono dalle mani.
Tutto molto penoso, come nei film Bollywood.
── Guarda che la metà delle caramelle erano tue. Sono stato adottato, comunque? ── gli domandai io.
── No, ma tua madre è stata a letto con mio cugino. Sei suo figlio.
── Ah, meno male. Pensavo di esser stato adottato. E poi, zio Park mi sta più simpatico di te.
Scrollai le spalle. E ignorai le condizioni di mia madre.
── Sta' zitto. Va'.
Sbottò.
── Tua madre non ci merita.
Mi disse poi.
── Volevi dire tua madre non mi merita.
Gli misi in luce.
── L'ho sempre maltrattata, ma lei ha ricambiato amandomi. Ho abusato delle mie imprecazioni solo per farla star male. Il fatto che è che non mi sono mai dimenticato di quanto amore mi ha dato quando Joo Seo-jin non mi amava più. Poi però mi ha tradita con mio cugino e io... io non riesco a perdonarla. Tu potevi essere mio figlio, il mio squattrinato figlio, ma sei di quel coglione di Park Min-hyuck.
Parlò a tono affettato.
Dopodiché, distese le membra.
── Seok-hoon! Perché hai detto a Jungkook tutta la verità?
Si svegliò mia madre. Dio, che spavento.
── Eomma? Sei viva?
Corsi da lei. Però poi inciampai perché il mio orifizio faceva ancora male.
── Stavo dormendo, poi mi avete svegliata e potrei aver finto tutto il tempo.
Frafugliò questa.
Al rogo.
── Beh, prima o poi lo avrebbe scoperto. Stai bene, Eunbyeol-ah?
Si fece premuroso quell'uomo.
── Sì. Vado dalla signora Moon.
Mia madre così andò correndo dalla signora Moon. Da quella pettegola.
── Papà, sì per me tu sei mio padre, se oggi non fai pace con lei ti faccio arrosto. Ricordati.
Ero ancora per terra. Sul tappeto il quale gremiva di arabeschi di mia madre.
── E cosa? Poi mi mangerai?
Mi derise lui.
── Se la metti così... se non fate pace, io non vi dico quanti soldi vi ho derubato stamani.
Ghignai io.
── Jeon Jungkook!
Urlò uscendo da mia madre.
E chi mi aiutava a rialzarmi? Ancora una volta, ero troppo bello per essere ignorato da quei campagnoli!
Non per questo, Taehyung, ragazzo di città, mi trattava per bene.
Undici di sera.
Qualcuno chiamò al telefono di casa.
Mia madre rispose.
── Yeoboseyo? Sì, siamo la famiglia Jeon. Come mai?
── Ah, è la madre che parla? Sì. Sì, Taehyung sta bene. Come? Siete all'isola? Ma è fantastico!
── Volete che vi venga a prendere mio marito?
── Ah, no? Va benissimo. Ci si vede tra un po', allora!

WHERE APPLES FALL, TAEGGUK Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora