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Due anni prima, 4 marzo 15:25.

Giulia

Versace, icona della moda, mai amato un brand così tanto. Gianni, ah Gianni, che idolo, che genio. Quasi 20 anni passati a sognare la sola opportunità di lavorare per ciò che lui stesso ha creato.

Ed ora eccomi qui, che leggo la grande insegna portante il suo cognome posta sopra l'entrata del grattacielo davanti al quale mi trovo, in un piano del quale 15 stilisti e esperti di moda aspettano di vedere i miei disegni.
Mia madre, avendo lavorato per diversi e famosi brand, nonostante avesse lasciato ormai da quando ero minuta, decise di tornare operativa nel campo della moda, ottenendo subito un grandissimo successo per raccomandazioni e impieghi passati. Ciò mi permise di farmi spazio negli studi e magazzini del brand che ormai studio e ammiro da anni e anni.

Ho già compiuto qualche lavoro, già dato idee per vestiti, lavorato nelle quinte di una sfilata e creato outfit per riviste e passerelle, ma mai neanche pensato di poter avere una collezione primavera-estate realizzata sui miei stessi disegni.
Non appena me ne fu presentata l'opportunità iniziai a disegnare giorno e notte, consumare interi quaderni e centinaia di fogli. Tutto ciò per poi decidere di credere nella piccola me di 15 anni che disegnava speranzosa di poter vedere i suoi magnifici vestiti, dopo un po' di anni, su una vetrina sotto l'insegna Versace. Una volta convinta di voler presentare quelli, li adattai alle mode di adesso, non dovetti cambiare molto, ero già avanti con la fantasia a quell'età.

Ora devo solo aspettare che, in questi due giorni, venga analizzata una collaborazione con me, come se fossi una famosa stilista, quando invece ho sempre e soltanto lavorato per loro, sottomessa ai loro voleri e amante di esserlo.

Non appena mi avvicino alla porta in vetro, un ragazzo, vestito in un semplice smoking nero, si occupa di aprirla e farmi entrare, prendendomi dalle mani il giacchino in pelle e illustrandomi della strada che devo fare per raggiungere lo studio, già a conoscenza del mio nome, di chi sono e perché mi trovo qui.

Davanti all'entrata, dopo qualche metro, si trova la reception, e, dietro al banco, impegnati a scrivere al computer, stanno seduti due ragazze ed un ragazzo, apparentemente omosessuale.

Cammino verso di loro insicura di ciò che sto facendo, ma dopotutto è l'unica maniera per sapere dove devo andare. Alzano gli occhi su di me solo quando mi fermo davanti al banco della reception, appoggiandoci le mani e facendo un imbarazzato sorriso.

<<Salve, dovrei...>>

<<Giulia?>> mi chiede il ragazzo buttandosi in bocca un'enorme chewing-gum verde ed iniziando a masticarla.
<<È in anticipo di soli 5 minuti, ciò vuol dire che è in ritardo, signorina.>> mi guarda con aria superiore nonostante lo stia facendo dal basso, alzando le sopracciglia e stringendo le labbra.

<<Oh, non avevo idea che qui funzionasse così, migliorerò. Sa dirmi dove devo andare?>>

<<Diciasettesimo piano, prima porta a alla sua destra, la mia collega la accoglierà e la guiderà al suo arrivo.>> Dice continuando a smanettare con la tastiera, non capisco ancora per cosa, inizio a pensare stia giocando a Candy crush.

<<Grazie...>> Mi giro per dirigermi verso le scale. <<E Jeff, la prossima volta che mi vedi dammi del tu, ho 19 anni, perfavore aspettiamone altri venti. >> brutto nome Jeff, più che altro vecchio, peccato lo debba portare a caratteri enormi sul petto.

<<Non penso tornerai mai qui tesoro, ne ho viste di fiduciose andare via e sparire.>> Dice mentre mi allontano sempre di più, lasciandogli l'ultima parola.

Mi giro verso la scalinata, rimanendo incantata. Ogni gradino è in marmo con qualche decorazione in oro, lo scorrimano porta lo stesso colore e le mura sono di un semplice e vuoto bianco, uno stile antico ed elegante avvolge l'ambiente.

Dimmi Che Ti Possiedo AncoraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora