Anche le stelle muoiono (I)

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È solo un malinteso. Ora gli telefono e lui mi spiega che sta succedendo. Sarà una sciocchezza. Marco non fuggirebbe mai da me. Mi impongo di essere ottimista, ma le dita tremano, incapaci di schiacciare il tasto verde sul Nokia. Per errore premo uno zero, un cancelletto e un asterisco. Imprecherei, se solo la voce non si rifiutasse di uscire dalle corde vocali. L'unico rumore nella stanza è il battito del cuore. Si sincronizza ai tuu tuu tuu che escono dal telefono.

Tuu, tuu, tuu. L'attesa, squilli che suggeriscono al cuore di spaventarsi. Deve temere di più, disperarsi di più, piangere di più, perché Marco non risponde e il suo silenzio è un motivo sufficiente per chiudere in una tomba il mio stupido ottimismo.

Una nuova chiamata. Un tuu è normale; due o tre servono per cercare il cellulare. Ma poi scatta la segreteria telefonica. Mille tentativi, la bile che bolle nello stomaco, la nausea da mal di mare. E sempre la signorina della Vodafone, il nastro registrato con quell'odiata frase: il cliente da lei desiderato non è al momento raggiungibile.

Finché alla trentacinquesima telefonata, il tuu è solo uno. Chiamata rifiutata. Marco ha riattaccato. Poteva rispondere, sussurrare un veloce: Ti spiego dopo. Invece ha rifiutato la chiamata.

«Dagli fiducia, dagli fiducia, Nina» canticchio, un incantesimo per allontanare il maleficio. «Dagli fiducia, dagli fiducia.»

Se chiudo gli occhi, cancellerò questo terribile risveglio. Se mi do un pizzicotto, mi desterò dall'incubo. Il messaggio di Giacomo è uno scherzo, non può corrispondere alla realtà, non dopo ogni istante in cui io e Marco ci siamo professati il nostro amore.

Ma quando serro le palpebre, c'è solo il buio, bucato dal viso di Marco e dai segnali di crisi che non ho voluto vedere: Marco che trasalisce quando nomino Massimo, Marco che cerca banconote nel portafoglio, Marco che si irrigidisce quando il cellulare suona, Marco che abbassa lo sguardo quando la chiamata è di Yuri o di Biagio, mai di suo padre.

Forse mi sbaglio ed è davvero un malinteso. Invento mille ipotesi, mentre sgommo da Giacomo. Su Pink, il casco ficcato malamente in testa, mezzo storto e con il cinturino slacciato, la camicia da notte al posto degli abiti da giorno.

Non c'è un secondo da perdere, né per mettere la freccia, fermarsi al rosso, rispettare i limiti di velocità, né per aspettare che Giacomo apra il cancello. Il corpo è una bestia in gabbia e ruggisce.

Getto Pink a ridosso di un pilastro in cemento, scavalco il cancelletto e corro nello spiazzo, vicino al canestro da basket, verso la saracinesca del garage. Giacomo mi scruta oltre la tenda bianca del salotto, ma non posso fermarmi ad attenderlo.

«Marco! Marco, dove sei?»

Sono nel centro del garage, luci spente, gli occhi che impiegano due minuti per adattarsi all'oscurità. Mi muovo a tentoni, sperando di trovare le sue braccia ad accogliermi, di sentire la sua voce scanzonata.

Non preoccuparti, Nanà! È solo un malinteso!

Ora che gli occhi mettono a fuoco, scruto la penombra in cerca di un segnale. Il baule vintage è aperto, sul fondo due chiavi inglesi e i dischi della mola. Le lenzuola azzurre sono piegate e impilate sopra il materasso. L'orso di peluche mi fissa, tra le zampe un sacchetto di caramelle.

Crollo accanto alla scatola nera che usavamo come comodino.

Il vuoto sovrasta ogni angolo della stanza, cancella la presenza di Marco, lo trasforma in un fantasma. Sembra non abbia mai abitato tra queste pareti; sembra che per noi esista solo il passato.

E niente più presente.

«Nina.» Giacomo è sulla porta. Il sole, alle sue spalle, proietta l'ombra sulla scatola del comodino. Lui l'ha sempre detto. "Questa volta, Nina, ti farai male sul serio." «Adami, piantala di fare la femminuccia, alzati!»

Binomio - 2Where stories live. Discover now