48 - La Bella e la Bestia

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Flynn

Una nuvola di fumo mi abbandonò le labbra e si perse nell'aria gelida dell'inverno, il tabacco si consumava sempre di più a ogni respiro in cui mi riempivo i polmoni di nicotina.

Alzai lo sguardo. Attraverso alcune crepe e spifferi del soffitto, riuscivo a scorgere un brillante cielo stellato sopra il tetto del faro. Quella notte era così quieta e brillante, che quasi scordai il baccano che mi circondava.

Chissà se anche Thalia stava guardando il cielo quella notte, o forse era già sul palco dell'Angels.

A quel pensiero mi irrigidii, il mio sguardo divenne serio e impassibile. L'immagine di lei che veniva osservata da parecchi di uomini sconosciuti, che ballava per loro, mi portò a stringere le mani in due pugni per la rabbia.

Bruciavo di gelosia e mi sentivo impotente, perché era una sensazione scomoda che non riuscivo a levarmi di dosso. Sentivo Thalia come fosse mia, come se mi appartenesse e fosse sempre stata destinata a me, eppure non potevo possederla, toccarla o starle vicino.

Gli altri potevano, io no.

Distolsi lo sguardo dal cielo e spensi la sigaretta nel posacenere. «Allora? A che punto siamo? Joseph vuole che consegniamo questa roba entro la mezzanotte.»

Mi alzai dalla fragile poltrona sgangherata in cui mi ero seduto, mi avvicinai al tavolo dove posavano alcuni borsoni neri e dei soldi. Avevamo una consegna da fare quella notte, io e i miei amici, gli stessi che lavoravano anche per Kazakova. Ci eravamo riuniti lì al faro quella sera per agire indisturbati.

«Ci siamo quasi, sto finendo di controllare il peso di questa borsa e poi possiamo cominciare.» disse Chase, lo sguardo fisso e attento su una bilancia mentre pesava delle bustine colme di pasticche.

Kazakova ci aveva fatto recapitare diversi chili di sostanze stupefacenti, stava a noi effettuare le consegne e prendere i soldi. Poi gli altri, non avendo debiti con lui, si sarebbero tenuti una piccola parte, come pattuito, io invece non avrei guadagnato nulla.

Il debito che avevo da saldare era ancora parecchio elevato, questo perché dopo la morte di Séline avevo ripreso a fare uso di droghe ed ero pulito solo da poco più di un anno. Intanto la somma che gli dovevo era schizzata alle stelle. Anche se, a essere sincero, dubitavo sarei mai riuscito a tirarmene fuori. Kazakova avrebbe trovato un modo per costringermi a restare, a lavorare ancora per lui.

Avevo visto troppo, sapevo troppo. Questa era la mia condanna.

«Ottimo, non ho tempo da perdere.» borbottai freddamente. Affondai una mano sul mio ciuffo corvino e scompigliato, nel vano tentativo di domare i capelli.

«Bryan non viene?» chiese Brandon, mentre posava alcune pistole sul tavolo.

«Ci raggiunge fra poco, ha detto che aveva da fare.» indicai con l'indice quelle armi. «E queste? Chi te le ha date?»

«E' stato Kazakova.» Xavier fece spallucce e caricò un'arma. «Ha detto che fosse giusto le avessimo anche noi, nel caso in cui avessimo incontrato un Anderson e che venissimo attaccati.»

Gli unici a cui Kazakova aveva fornito delle armi eravamo soltanto io e Bryan, certo fino a quel momento. Non sapevo avesse fornito delle pistole anche a loro e il fatto che io fossi all'oscuro di tutto mi irritò, e non poco.

Il cuore prese a battermi con forza nel petto, lo stomaco stretto in una morsa. Era la paura quella, dannazione.

Sapevamo tutti che gli Anderson non avrebbero attaccato, quindi qual era il vero piano di Joseph?

«E vi ha detto anche di sparare nel caso in cui aveste incontrato un Anderson?>>

Brandon ridacchiò e scosse il capo. «No, non ancora almeno. Credo voglia aspettare prima di dare inizio allo scontro.»

𝔒𝔟𝔰𝔢𝔰𝔰𝔢𝔡 - Rose sfioriteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora