Capitolo 21 - Mostri

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Si poteva vivere senza speranza?

Non lo sapevo. Perché in fin dei conti tutto questo tempo senza di lei ero morto. Uno zombie vivente che cercava di sopravvivere. Mangiare. Dormire.

Non esisteva nessuna necessità per me più di lei.

Che senso aveva vivere se lei, un'anima così pura, non poteva godersi tutto questo?
E io non lo meritavo. Non meritavo di respirare, di poter camminare, correre. Non meritavo di provare speranza. Eppure dentro di me, dentro l'oscurità che sentivo fremere ad ogni respiro, percepivo una piccola luce. Una luce bianca, ardente, incessabile.

Egoista del cazzo.
Mi odiavo.
Odiavo tutto di me stesso.
Odiavo quello che ero nel profondo.
Marcio.
Autolesionista.
Egoista.
Bastardo.

Lo ero sempre stato. Ero ritornato ad essere quel coglione che fino a qualche mese prima si sentiva il re del mondo tra gli altri ma che quando rimaneva da solo si sentiva un cretino, una nullità. Ero quella persona che non voleva avere niente a che fare con nessuno, che sopportava le persone, che si teneva distante. Ero quello stronzo che sfidava chiunque per puro divertimento. Ero un'anima spezzata. Solo lei mi aveva curato.

Non avevo mai riso. Mai. E con lei ridevo tutti i giorni.
E ora che non c'era più, ogni minuto, ogni secondo un po' di più, io ero niente.

Ero ancora nervoso a causa della discussione che avevo avuto con il dottor Anderson. Dopo ciò che gli avevo detto non aveva avuto il coraggio di ribattere, era rimasto zitto a scrutarmi. Ma qualcosa aveva balenato nei suoi occhi. Forse si era reso conto di aver sparato cazzate, forse si era reso conto che ci tenevo davvero ad Alyssa e che la speranza, di cui lui parlava, era necessaria nel suo lavoro, in un ospedale. Forse non si aspettava che io fossi così, che rispondessi con profondità. Forse non pensava che uno come me potesse dare importanza alla speranza.
Ma tutto rimaneva attaccato a quel forse.

Forse.
Forse sì.
Forse no.
Forse la speranza serviva.
Forse Alyssa si sarebbe risvegliata.

Ma anche lui mi aveva portato a pensare, inutile mentire a me stesso.
Da quel momento in poi avevo pensato e ripensato a quello che lui mi aveva detto.

E se Alyssa non si fosse risvegliata? L'avrei aspettata o sarei andato avanti? Avrò mai il coraggio di stare con un'altra persona, condividere dei sentimenti, una casa, costruire una famiglia? Avere dei bambini con una donna che non sia lei?

Trasalii. Non immaginavo un futuro senza Alyssa. E se un giorno l'avessi fatto? Probabilmente mi sarei sentito in colpa a vita. Non solo perché Alyssa era in coma a causa mia, ma anche perché a differenza di me non avrebbe mai avuto la possibilità di andare avanti ed essere felice, con un altro uomo. Ma la vera domanda era: qualcun altro sarebbe mai stato capace di farmi provare quello che Alyssa mi aveva fatto provare?

Tutto del mio corpo diceva di no. Non avevo mai provato niente del genere, non avevo mai sentito con qualcun altro neanche una briciola di quello che sentivo per lei. Ero legato a lei, come non era importante, ma lo ero. E l'avrei aspettata.

Pensai e ripensai a questo tutto il giorno. Anche ora, mentre firmavo delle scartoffie sul bancone del Dragon's Babies, ero completamente rigido, sentivo la tensione nella schiena e nel collo.

Il locale stava per aprire, c'era già la fila fuori e si sentiva il brusio dei gruppi di ragazzi e ragazze che parlottavano tra loro. Lucas e Michael, i nuovi buttafuori che avevo assunto da poco, controllavano con attenzione i documenti. Li avevo scelti non solo per la loro apparente innocenza, ma anche per la loro capacità a scovare documenti falsi. Infatti, i due non erano di statura massiccia e sbruffoni come i buttafuori degli altri locali, erano calmi e seri, non troppo alti e in perfetta forma dato che entrambi erano stati campioni nella boxe. Dopo ciò che era successo ad Alyssa ero diventato paranoico, quindi la sicurezza del locale e di chi c'era dentro era di mio interesse, infatti a Lucas e Michael era stato ordinato di farmi sapere qualsiasi passo falso.

Bomba a orologeria Where stories live. Discover now