CAPITOLO 49

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DAMON

Ci sto provando, giuro che ci sto provando con tutto me stesso ad essere l'uomo che vorrebbe ma ogni volta che sembra andare tutto bene finisco per rovinare tutto con una parola.

Vuole dei bambini, ormai lo so ma non sarò io l'uomo che glieli darà perchè nella mia vita non c'è spazio per marmocchi del cazzo che fanno solo casino. Io ho bisogno della mia quiete e della mia libertà per riuscire a vivere, a stento mi prendo cura di me, figuriamoci sè posso pensare anche ad un'altra persona, farei prima a spararmi.

A lei la ferisce questa cosa, ne sono consapevole perchè probabilmente in quella sua testolina si starà già immaginando entrambi sull'altare, e non posso mentire dicendo che non ci ho pensato anch'io, ma ogni volta mi veniva da vomitare, matrimonio? Cazzo ma scherziamo?

Legarsi ad una persona per sempre è come firmare il tuo suicidio, non lo farò mai e per quanto mi faccia incazzare l'idea di lei con un altro, non potrò farci nulla se non accettare a testa bassa e lasciare che continui la sua vita senza di me.

L'amore è una clausola, di quelle scritte in piccolo come nelle pubblicità, di quelle che non leggi perchè tanto è inutile e alla fine è sempre quella che ti fotte. Non mi sono mai sentito così con nessun'altra ma finisce qui, nient altro, non diventerò mai uno di quei coglioni che strisciano dietro alla fidanzata baciando dove cammina; darei qualsiasi cosa per Isabelle, ma arriverà un certo punto che quel "qualsiasi cosa" tramuterà in "lasciarla andare" e lo farò, fosse l'ultima cosa che faccio.

Non la legherò mai per sempre a me, vorrebbe dire distruggerla definitivamente e non voglio, dopo quello che le ho già fatto, non voglio che le accada più nulla.

due giorni fa le regalai quella catenina, sentii il bisogno di sapere che ce l'aveva lei.

"Ti porterà fortuna figliolo, e quando ti sentirai pronto donala a colei che renderà quella tua fortuna, un regalo inestimabile"

Mi disse Robert, un uomo di ben settantacinque anni che passava tutti i suoi pomeriggi in un parco dove ormai non ci andava più nessuno e che io trovai per caso, in un pomeriggio uggioso di autunno, bisognoso di tranquillità e solitudine lontano da quello che consideravo un manicomio.

Venni abbandonato in quel orfanotrofio di Miami ad appena cinque anni e ancora ho soltanto ricordi confusi e sbiaditi di quel giorno, ricordo solo la voce di mia madre che parlava con una signora, vecchia e grinzosa, mentre mi stringeva la manina ed io mi guardavo intorno cercando di capire dove fossimo.

Un posto squallido e freddo, ricolmo di bambini di tutte le età malati o meno, abbandonati dai propri genitori perchè considerati uno sbaglio, ed anch'io ero considerato un errore, infatti venni lasciato lì da una donna che non mi aveva mai voluto.

Quando scappavo quelle poche volte che riuscivo a farlo, tornavo sempre in quel parco abbandonato dall'erba incolta, le querce abbandonate alla natura e alle intemperie, e solo e soltanto una panchina dal legno ormai a dir poco cedente. Ogni volta incontravo sempre quel signore anziano dai capelli lunghi e bianchi raccolti in un codino scompigliato, il viso dalla pelle olivastra segnato da rughe vissute e una barba lunga e non curata; ricordo che vestiva sempre con un completo consumato e slabbrato ma lui lo continuava a mettere vedendolo sempre il più bello. Era saggio, molto e anche sè probabilmente era sbagliato parlare con gli sconosciuti, soprattutto con un uomo solo che passava intere giornate a fissare il vuoto in un parco abbandonato, io non riuscivo mai a stancarmi di parlare con lui. Chiacchieravamo per ore intere, nella sua serietà era comunque un tipo molto divertente e intrigante, mi affascinava il suo modo contorto di vedere il mondo e molte cose me le ha insegnate proprio lui.

Sick attraction 1Where stories live. Discover now