CAPITOLO 12

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Jungkook oltrepassò le porte e uscì nel parcheggio dietro la centrale. Con il sole che calava all’orizzonte, l’aria all’esterno stava diventando meno umida e opprimente di quella all’interno del palazzo. A volte, si domandava con cinismo chi avesse fatto la cresta sul budget destinato al riscaldamento e all’aria condizionata, dal momento che il Dipartimento non era di sicuro così scellerato da cercare di bollire i suoi stessi dipendenti. Si sbottonò la camicia e lasciò che la lieve brezza gli allentasse il tessuto dalla schiena.
Forse era davvero il preludio di un tempo più mite che si stava avvicinando.
Aprì il cellulare, controllando i messaggi sullo schermo retroilluminato. Niente di nuovo. Quella mattina aveva ricevuto una telefonata da jimin . Era stato fuori tutto il tempo insieme a Loes, interrogando possibili testimoni. Non avrebbe mai richiamato il ragazzo con quell’uomo nei paraggi, nemmeno per parlare in modo criptico. Loes era tanto ficcanaso quanto era bigotto. Dopodiché era stato presissimo. Ma ora era ansioso di sentire la voce di jimin . Magari potevano portare Ben a cena fuori, se non avevano già mangiato. Sarebbe stata una serata tranquilla, poi il bambino sarebbe andato a letto e forse avrebbe addirittura dormito con più serenità.
Jimin rispose al primo squillo. «Giornata impegnata, immagino.» Qualcosa nel suo tono di voce lo mise sulla difensiva. «Infatti. Stiamo lavorando all’identikit dell’assassino, per capire se è il caso di mandarlo in onda.» Fino a quel momento, nessuno che non avesse contribuito a redigere originariamente lo schizzo aveva affermato di avere visto quell’uomo nei bar coinvolti. Cosa che significava che non l’avevano notato oppure che l’immagine non era sufficientemente precisa. La memoria dei testimoni costituiva il tipo di prova meno affidabile.

«Anche io ho avuto una giornata molto impegnata,» annunciò jimin
Quella decisamente non era la sua solita voce. «Ho bisogno che tu faccia qualcosa per me.» «Certo, Jimin-ah,» replicò lui. «Cosa ti serve?» «Hai ancora il numero di quell’assistente sociale con cui hai già lavorato, Sarah Comesichiama?» «Sarah Jefferson,» disse. «Sì, dovrei averlo ancora memorizzato nel telefono.» «Ho bisogno che la chiami.» «Ma, Jimin» ribatté, «sono quasi le sette di sera. Credo abbia smontato per oggi. Proverò domani.» «So perfettamente che cazzo di ore sono,» ringhiò l’altro. «Ma stamattina sono venuti i servizi sociali e hanno portato Ben da una famiglia affidataria e ho proprio, ma proprio, bisogno di sapere che stia bene così riuscirò a dormire.» «Cos’hanno fatto?» ripeté lui sbigottito.
«Hanno deciso che Ben starà più al sicuro altrove mentre controllano se sono adatto a prendermi cura di lui.» «Dio, Jimin Mi dispiace così tanto. Perché non…» Ingoiò il resto della frase. Jimin lo aveva chiamato. Ma lui aveva deciso di non richiamarlo. Lo avrebbe fatto se solo il ragazzo gli avesse fatto capire che era urgente.
Perché non gli aveva lasciato un indizio?
«Hai il numero di casa di quella donna,» riprese jimin «Non puoi chiamarla lì?» «Non so se…» Si interruppe di nuovo. «Sì, posso provarci. Ma non mi deve alcun favore. È più che altro il contrario.» «Potresti prendere le cose di Ben,» suggerì jimin . «Scommetto che non l’hai ancora fatto.» «No,» convienne jungkook piano. «Non l’ho fatto.» «Dille che ha lasciato la casa senza le sue cose e che vuoi portargliele.
Forse potrebbe addirittura permetterti di portargliele di persona, dal momento che sei uno sbirro e non un finocchio promiscuo.»

«Jimin-ah…» «Puoi farlo?» lo incalzò l’altro. «Prima che diventi ancora più tardi.
Almeno chiedile com’è la famiglia affidataria, se sono brave persone.» «Come si chiamano?» «Non lo so. Perché mai me lo direbbero? L’assistente che è venuta oggi si chiama Sheila Burns. Dovrebbe conoscerla.» «D’accordo,» disse jungkook con fare rassicurante. Riuscì a percepire il dolore nella voce di jimin «Va bene. Farò queste telefonate e andrò a prendere le cose di Ben, poi ti richiamo.» «E torna nel tuo appartamento. Ti aspetterò là.» Telefonò all’ufficio di Sarah e, come previsto, rispose la segreteria.
Lasciò un messaggio chiedendo di essere richiamato. Importante, ma non grave; nel suo lavoro e in quello di Sarah, grave era qualcosa di molto peggio di un bambino presso una famiglia affidataria approvata, nonostante tutte le preoccupazioni di jimin
Sarah rispose al numero di casa e fu soddisfacentemente lieta di sentire la voce di jungkook . Erano sempre andati d’accordo. La donna rimase ad ascoltarlo mentre le esponeva il problema. Sulle prime, fu riluttante a occuparsi della questione quella sera, ma lui insistette su quanto fosse rimasto traumatizzato il bambino dall’avere lasciato casa senza i vestiti e tutti gli altri effetti personali. Alla fine, Sarah accettò di contattare Sheila Burns, che per fortuna conosceva, e chiederle di Ben. Con quella promessa, jungkook firmò per prendere le chiavi dell’appartamento di Sandy e si mise in macchina.
Nel crescente crepuscolo, quel palazzo delle case popolari non era più invitante di quanto lo fosse stato alla luce del giorno. Jungkook si immaginò Sandy mentre tornava a casa, ridendo e ubriaca, assieme all’uomo che l’aveva uccisa. Aveva mai pensato che potesse essere pericoloso? Si era mai preoccupata del suo bambino che dormiva nell’altra stanza? Oppure l’effetto dell’alcol aveva dissolto ogni cosa in una nebbiolina tranquilla? Se non erano fortunati, un’altra donna si sarebbe ritrovata al suo stesso posto in poche settimane, un mese al massimo. Ma che fosse dannato se avesse permesso una cosa del genere sotto i suoi occhi. Era quello il suo dovere.
Ed era maledettamente importante.

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