9 - Il vuoto di Margot

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Se qualcuno si era appena riconciliato col mondo, qualche altro, dall'altra parte dell'universo o della città, tutto è relativo, del mondo non voleva più sentirne parlare.

Tornata a casa dopo l'esclusione dalla competizione letteraria, Margot non disse una sola parola, con sguardo basso e silenzioso scivolò sulle pareti ignorando l'esuberanza della madre fino a raggiunger la sua camera, si chiuse la porta alle spalle sbattendola con una forza che non aveva mai avuto prima e si lanciò sul letto fino a sprofondare negli abissi di quel morbido piumone. Rimase in apnea piangendo silenziosamente mentre sprofondava sempre più, lasciando tutto il mondo fuori. Le era rimasto solo odio, odio per lei.

La madre, l'attrice, bussava alla porta della cameretta, ma sapeva che non avrebbe avuto risposta. Era sempre così quando c'era un problema, ma questa volta era diverso e lei proprio non ci poteva arrivare.

Nel profondo buio del piumone non c'erano rumori o suoni, non c'era aria, solo l'umido delle lacrime e l'eco della vergogna per sé stessa per aver permesso a quel verme di condurre quel gioco perverso. Era solo colpa sua se era caduta così in basso, era solo colpa sua essere stata così ingenua, colpa sua per aver frainteso, colpa sua per aver provocato. Era colpa sua. Continuava a sprofondare, prima o poi avrebbe raggiunto un fondo, ma era ancora presto, occorreva ancora molto odio per colmare quel vuoto. E intanto, mentre precipitava verso il nulla frammenti di ricordi le apparivano come fotogrammi impietosi. Come aveva potuto ridursi così? Come aveva potuto ridurlo così? Colpa dei suoi modi? Colpa dei suoi vestiti? Colpa dei suoi capelli o del suo profumo?

Finalmente raggiunse il fondo, il paradosso del nulla. Lo schianto fu terribile. Se lei aveva frainteso o provocato il professore e se lei era oggi così sconvolta dalla delusione per non aver ricevuto quello che le spettava di diritto, doveva solo vergognarsi per aver accettato quel compromesso. Era l'umiliazione finale. Ma era inaccettabile.

Si arrampicò sulle pareti, la risalita fu molto più rapida. Aveva sporcato il piumone di rimmel ma era l'ultimo dei problemi, guardò l'orologio dello stereo, segnava le 22 e 34. Era rimasta in apnea per quasi quattro ore. Ora aveva bisogno di rinfrescarsi, di riflettere. Doveva reagire. Andò in bagno. La sua cameretta era grande come un piccolo appartamento, aveva anche un bagno tutto suo, poi, oltre il lettone, una doppia scrivania e l'armadio dai mille vestiti. A completare la piccola reggia anche un piccolo divanetto, dove, di solito, si stendeva per leggere o per sognare le stelle. Fece pipì e tornò in camera in slip e magliettina. Si sentiva più leggera e rilassata, aprì la finestra che dava sul balconcino si stese sul divanetto. Ora aveva voglia solo di spaccargli la faccia.

La pipì le aveva schiarito le idee. C'era poco da vergognarsi o da accusarsi. Lui era uno stronzo, l'aveva raggirata, confusa, stordita, portata in un vicolo cieco ed abbandonata. Ma il gioco non era finito, ne era convinta.

Quasi sorrise pensando a alla vendetta. Mise in pausa i suoi pensieri e a piedi nudi andò in cucina ad assaltare il frigorifero. Tre fette di pane in cassetta, quella centrale coperta di maionese su ambo i lati, poi un pomodoro tagliato a fette sottili e due foglie di lattuga sul lato inferiore, tre fettine di un puzzolentissimo camembert, quattro olive snocciolate e due noci sbriciolate nella parte superiore: il suo trenduich era servito. Lo posò su un piattino e si riempì un bicchiere di latte freddo. Tornò in camera silenziosamente, ignorando la madre che dormiva sul divano davanti alla televisione accesa.

Il divanetto non si era mosso, era lì che aspettava il suo ritorno. Lei si sedette bevve un bel sorso di quel latte così bianco e si stese, addentò il trenduich e rimise in movimento i pensieri lasciati sospesi.

Lui era uno stronzo e la doveva pagare. Era stato il suo gioco dall'inizio, illuderla per poi umiliarla, rassicurarla per poi intontirla e alzare la posta. Era stato sempre così ma ora lei era diventata adulta, lui invece era sempre il solito meschino. Era ora di cambiar regia, di prendere in mano le redini e condurre il gioco. Tirò un altro morso, il rumore di un frammento di noce, un sorriso apparve lievemente sul lato destro della sua bocca; era l'ora di nuova musica.

Il latte era ancora freddo, ne bevve un altro sorso. Guardò le stelle pensando al suo piano, doveva studiarlo bene, senza fretta, senza dare sospetti. Forse aveva bisogno di una mano, di qualcuno che potesse fare il lavoro sporco al suo posto, qualcuno fuori dal suo ambiente. Le venne in mente un po' di gente che aveva incontrato oggi. Cercò di ricordare e le tornò in mente il momento esatto della giornata. Nel pomeriggio era passata davanti ad un locale "ben" frequentato... Se avesse avuto bisogno di qualcuno, quello era il posto dove cercalo: il pub sulla via dell'accademia letteraria. «Stronzo!» disse prima di addentare il penultimo morso. Sorrise e si addormentò sognando profonda vendetta.

The RockerWhere stories live. Discover now