Tra le sue braccia.

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«Sai che prima o poi dovrai affrontarlo vero?»
Mi domanda retorico Alex, premendo il pulsante dell'ascensore per il terzo piano.

Sono passati sei mesi e io sono tornata a Milano da qualche giorno, ancora non ho incontrato il suo sguardo e a dire la verità non so se riuscirei a reggerlo, con il caffè ancora bollente tra le mani mi dirigo nel mio ufficio, ma quando entro noto un post-it giallo sulla mia scrivania, Alex mi guarda confuso, lo afferro.

«Allora? Cosa dice?» Chiede impaziente.

«Venti e trenta fuori dal tuo ufficio, non tardare»
Leggo frettolosamente mentre il mio migliore amico inizia a saltare per la stanza, attirando l'attenzione di tutti i presenti su di noi.

Mi guardo allo specchio, continuando a passare più volte e nervosamente le mani sui miei jeans, non ho avuto il tempo materiale per tornare a casa a cambiarmi così mi sono dovuta arrangiare, mettendo un po' di mascara e legando i miei capelli in una coda alta e disordinata, quando apro la porta lui è lì, appoggiato al muro, intento a guardare il suo cellulare, mi avvicino, riportando la sua completa attenzione su di me.

«Ehi» Afferma sorridendomi dolcemente, rimettendo il telefono nel borsello.

«Ehi, come stai?»

"Vado avanti, te?»

«Bene, mi mancava Milano, sicuro che vada tutto bene?» Acconsente divertito.

«Non ti preoccupare per me, vieni» Afferro la sua mano e insieme ci dirigiamo verso l'uscita dell'edificio, ad aspettarci fuori c'è una macchina nera dai vetri oscurati, Amine mi apre la portiera, facendomi entrare nella vettura.

«Dove stiamo andando?» Domando curiosa, scrutandolo.

«È una sorpresa» Sorride.

Appena sento il motore della macchina arrestarsi capisco che siamo arrivati a destinazione, apro lo sportello, ci troviamo davanti ad un museo.

«Entriamo» Lo seguo cercando di mantenere il passo, non ero mai stata qui, una ragazza castana sulla trentina ci accoglie, iniziando a parlare con
Amine, facendomi sentire di troppo, si lasciano qualche sorriso, poi lui la saluta gentilmente, continuo a non capire fino a quando i miei occhi non leggono 'Mostra contemporanea di fotografia' sento il mio cuore battere sempre più veloce, sembra quasi voler uscire dalla gabbia toracica, lui si muove esperto per i corridoi, guardandosi di tanto in tanto indietro, per controllare se ci sono ancora.

«Allora? Ti piace?» Mi chiede affiancandomi.

«Si, ma non avresti dovuto»

«Perché?» Lo guardo afflitta.

«Perché mi sono comportata da immatura quel giorno, a Roma, fossi in te non mi rivolgerei nemmeno più la parola»

«Ti sei comportata così perché eri ferita, io ti avevo ferita e poi non posso non rivolgerti la parola» Afferma sorridente mentre continuiamo a camminare per la saletta.

«Ma quella-» Porto entrambe le mani alla bocca quando realizzo che su quel muro c'è una mia foto, quella che lo raffigura.

«Perché non ne sapevo niente?» Domando confusa.

«Ho fatto di tutto per non farti arrivare la notizia, sono contento che la sorpresa sia riuscita, ora è arrivato il momento di spiegarla anche a me»
La indica con il mento.

«Non si spiegano le foto» Provo a difendermi.

«Si invece, dietro ogni scatto c'è una storia, è qualcosa che ti rappresenta, è quello che senti quando la scatti» Cita le mie parole, sorrido.

«Rappresenta come tutto è iniziato. Erano mesi che Davide metteva annunci sulle sue storie Instagram, la casa discografica cercava un fotografo, qualcuno che fosse bravo e no perdi tempo, risposi a quella storia, forse un po' per gioco, volevo mettermi alla prova, a quel tempo non ero nessuno e insomma, non che adesso mi considero qualcuno eh, sia chiaro, però ecco-»

«Sei sulla buona strada» Continua per me, acconsento, riprendendo il discorso.

«In poco tempo riuscì ad organizzarmi un colloquio, non mi sembrava vero, finalmente la mia passione poteva trasformarsi in qualcosa di serio, quel giorno al colloquio tutti avevano espresso una loro opinione sulle mie foto, tutti tranne te, questa cosa mi diede molto fastidio, tanto che appena ci trovammo da soli te lo dissi, ma a te non sembrava toccare il mio discorso, anzi, mi guardavi e ridevi. Ma quando tutti rientrarono nella sala sorpresi anche me, mi avevi assunta come fotografa»

«Credevo in te già dall'inizio» Sorrido.

«Diventammo amici, passavamo la maggior parte del tempo in studio insieme, tu mi facevi sentire i pezzi e io ti facevo vedere i miei scatti, era un continuo confrontarsi. Poi amanti, ci vedevamo di nascosto, spesso a casa tua ma a volte anche in studio nei tempi morti, dove rimanevamo soli e il lavoro era minimo, quando capitava ci rivestivamo in fretta per paura di essere scoperti e poi, come se non fosse successo niente, ognuno tornava ai propri impegni, all'inizio mi andava bene, non sono mai stata una capace di stare nelle relazioni, ma con te era diverso, volevo di più del semplice sesso, volevo smetterla di nascondermi, volevo viverti a pieno, senza quella paura di essere sempre scoperti. E infine sconosciuti, persone che si parlano solo se le circostanze lo richiedono, semplici colleghi, credevo che allontanandomi da te la mia 'infatuazione' scomparisse, ma mi sbagliavo, perché la mia nei tuoi confronti era ben altro che una semplice cottarella. Nei mesi successivi avevamo provato a rivederci, ero felice almeno fino a quando non è arrivata quell'e-mail» Lo sento sospirare, so che sta mantenendo tutto il suo autocontrollo per non scoppiare, non vuole farsi vedere debole ai miei occhi, proviamo lo stesso dolore.

«Quel giorno fu uno dei giorni più belli della mia vita ma al tempo stesso posso dire che fu anche il più brutto, buffo no? Qualche mese prima, quando avevamo chiuso ogni rapporto, avevo fatto domanda per partecipare ad un concorso, un concorso di fotografia, non mi sarei mai aspettata di rientrare in quelle venti persone, invece mi selezionarono, quel venerdì avevo suonato al tuo campanello con una felicità diversa, te ne parlai, ma non ti dissi che era un concorso, non so per quale motivo, forse temevo un tuo giudizio negativo, ti eri rabbuiato non appena avevo pronunciato la parola 'trasferimento' ma sapevo che una parte di te, quella più profonda, era felice per me»

«Quella sera finimmo per fare l'amore e fu diverso dalle altre volte, quella sera affermasti di amarmi. La mattina seguente, quando mi svegliai, ti vidi, dormivi ancora e la luce del sole faceva brillare la tua pelle olivastra, sulla tua fronte si era creato un piccolo solco, come se stessi pensando, sicuramente a qualcosa di bello perché le tue labbra erano morbide, incurvate in un leggero ma visibile sorriso, i nostri corpi erano ancora aggrovigliati e avvolti nelle lenzuola bianche, nonostante fosse metà luglio. Pensai che quella fosse la visione più bella che una persona potesse vedere al mattino, appena sveglia, non potevo lasciare quel ricordo impresso solo nella mia mente così afferrai la macchinetta sul comodino e scattai questa foto, questa foto mi ha tenuto in vita per tutto questo tempo Amine, era l'unica cosa che mi rimaneva di te» Finisco sorridendo appena, le lacrime offuscano la mia vista, delle persone si sono avvicinate a noi per vedere da vicino cosa sta succedendo ma non ci facciamo caso, ci siamo solo io, lui e una stanza bianca piena di immagini, di ricordi, mi sorride, poi mi bacia dolcemente e io torno a respirare, tutte le mie insicurezze cadono non appena le sue labbra carnose e rosate si poggiano sulle mie sottili e un po' lucide per colpa di un gloss, mi stringe forte tra le sue braccia, la mia testa finisce sul suo petto, il suo dopo barba mi inebria, non vorrei stare da nessun'altra parte se non tra le sue braccia.

Fedele al quartiere | Neimaezza Where stories live. Discover now