nove

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Harry Styles.

Erano passati alcuni giorni dall'incubo, fortunatamente non ero ricaduto in uno stato di trance, anzi, ero riuscito ad avere quella spinta in più per arrivare a ciò che realmente mi sentivo di fare

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Erano passati alcuni giorni dall'incubo, fortunatamente non ero ricaduto in uno stato di trance, anzi, ero riuscito ad avere quella spinta in più per arrivare a ciò che realmente mi sentivo di fare.

Anche se in quel momento non sapevo neanche cosa cavolo ci facessi, laggiù.

Stavo forse cercando di tornare nel mio annebbiamento da zombie? Ero diventato masochista e mi piaceva la tortura?

Avrei dovuto proseguire dritto fino a La Push. Mi sentivo molto, molto più sano in compagnia di Ezra.

Questa, invece, era un'idea tutt'altro che sana.

Eppure, procedevo lentamente sul sentiero invaso dalla vegetazione, passando tra gli alberi inarcati come sotto un tunnel verde e vivo. Le mani mi tremavano ed ero costretto ad afferrare il volante con tutte le mie forze.

Sapevo che, in parte, la ragione di tutto ciò era l'incubo: da sveglio, la sensazione di vuoto che sentivo nel sonno si accaniva sui miei nervi come un cane che mastica l'osso. C'era qualcosa da cercare. Irraggiungibile e impraticabile, indifferente e distratto... ma era lontano, chissà dove.

Dovevo crederci.

Il resto aveva a che fare con la strana sensazione di ripetizione che avevo provato a scuola e con la coincidenza delle date. L'idea che stessi ricominciando da capo, che il mio primo giorno sarebbe andato così, se davvero, quel pomeriggio lontano, fossi stato la presenza più bizzarra nella mensa.

Le parole correvano nella mia testa, inerti, come se le stessi leggendo anziché sentendo pronunciare:

Sarà come se non fossi mai esistito.

Avevo mentito a me stesso, dividendo in due parti la ragione del mio ritorno laggiù. Non volevo confessare il motivo più vero e importante. Perché era una pazzia.

In verità volevo sentire di nuovo la sua voce, com'era accaduto il venerdì precedente, quando avevo avuto quella incredibile allucinazione.

Durante quei pochi istanti, quando la voce era sorta da chissà quale zona remota della mia memoria, l'avevo trovata perfetta, dolce come il miele; niente a che vedere con la pallida eco che conservavo nella mia testa, ed ero riuscito a ricordarla senza soffrire.

Ma non per molto: il dolore era tornato e di sicuro non mi avrebbe abbandonato lungo quel tragitto folle.

Eppure, i momenti preziosi in cui riuscivo a sentirlo erano un richiamo irresistibile. Dovevo trovare il modo di ripetere quell'esperienza... o forse era meglio considerarlo un episodio isolato.

Dovevo farlo così l'avrei tolto definitivamente dalla mia testa. Non volevo più soffrire e, lui non meritava il mio fottuto dolore.

Speravo che la chiave stesse nel déjà-vu. Perciò avevo deciso di visitare casa sua, dove non tornavo dal giorno della mia disgraziata festa di compleanno, tanti mesi prima.

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