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Il freddo del ferro attorno ai polsi lo teneva ancorato alla realtà. Teneva gli occhi chiusi, la testa appoggiata contro il legno di cui era fatta la carrozza. Era solo, nessuna guardia a tenerlo sotto controllo. Stanco, si sentiva così stanco; non aveva dormito, troppo concentrato a percepire qualsiasi rumore e possibili pericoli. Aveva lo stomaco vuoto, oramai era un giorno che non toccava cibo. Il viaggio verso Amhon sarebbe durato all’incirca due settimane, due settimane in cui lui sarebbe stato del tutto ignaro se le parole di Renejk rappresentassero la verità o meno. Non sapeva nemmeno dove fosse Khali. Quando aveva conficcato la spada nel terreno e si era inginocchiato, un soldato aveva portato via Khali. Lo aveva visto allungare una mano verso di lui, e lui aveva potuto solo sorridergli per rassicurarlo. 
La carrozza sobbalzò. La strada che portava verso Amhon sarebbe diventata sempre più sterrata. Se il continente di Hraz, luogo dove si trovava il suo regno, era pianeggiante e rigoglioso, diverso era per Tjànan. La terra, per la maggior parte, era rurale e montagnosa con strade difficili da percorrere e un mare burrascoso. I due continenti erano uniti da solamente una striscia di terra, dove sicuramente si stavano dirigendo. Andare per mare sarebbe stato più veloce, ma troppo pericoloso. Amhon, più precisamente la capitale Zørk, si trovava a nord di Tjànan, dove erano solite le tempeste violente, onde alte e temperature glaciali, motivo per cui erano pochi quelli che decidevano di navigare in quelle zone. Questo impediva un commercio marittimo intenso, ma creava una difesa invidiabile.
Chiuse gli occhi, continuando a pensare a tutto ciò che conosceva su Amhon. Una distrazione, utile tanto quanto un anestetico su un morto.
Calò la notte e il suo stomaco iniziò a farsi sentire. La carrozza si fermò e lui sentì un brusio all’esterno, dovuto probabilmente ai soldati che si accampavano. Secondo i suoi calcoli si dovevano trovare vicino alla foresta di Seben, che delimitava il confine del suo regno. La foresta non apparteneva a nessun regno, era considerata territorio neutro per la sua vastità e per la moltitudine di specie animali, pericolose e non, che ci abitavano. Due secoli prima un trattato firmato da tutti i maggiori regni dava la possibilità a chiunque di usufruire del copioso fiume e della vegetazione nel caso di carestie, ma imponeva il divieto di conquistare il territorio. Si ricordava che suo nonno si era spesso lamentato di quell’imposizione, convinto che Џlsea sarebbe diventata ancora più gloriosa con quel tesoro tra le mani.
La porta della carrozza scricchiolò e lui tese tutti i muscoli. Un soldato buttò con malagrazia una ciotola di ferro sul pavimento, parte del contenuto si rovesciò. Stufato, l’odore colpì con violenza il suo stomaco. Appena l’uomo richiuse a chiave la porta, lui scattò a prendere la ciotola. Niente posate o un pezzo di pane, non che se li aspettasse. Mangiò con ingordigia il cibo; la quantità era minima, non lo saziava nemmeno lontanamente, ma almeno non sarebbe svenuto per la fame. Il piano, per ora, era restare vigile e cercare debolezze nella sicurezza di Amhon. Renejk non lo aveva lasciato in vita per buon cuore, sicuramente desiderava qualcosa da lui. O forse voleva solo umiliarlo? Era una possibilità, Renejk era conosciuto per essere crudele. Qualsiasi fosse la risposta, Renejk prima o poi lo avrebbe ucciso. Non aveva dubbi su questo, un re rivale lasciato in vita poteva portare molti problemi. Nessuno lasciava in vita il nemico a lungo, mai. Prima di allora, doveva avere una strategia per salvare se stesso e Khali.

I rumori gli diedero conferma che erano entrati all’interno della città di Zørk; il carro aveva diminuito la sua velocità e da fuori udiva grida e applausi. Bastardi, gioiscono sul sangue di altri. Ad un certo punto il mezzo di trasporto si fermò. La porta venne aperta con ferocia e una guardia lo prese da un braccio costringendolo a scendere. Sarebbe caduto se non lo avessero retto; le sue gambe formicolavano, erano deboli, per due settimane era rimasto quasi sempre seduto se non per quel paio di volte al giorno in cui lo facevano scendere per espletare i bisogni fisici. Per lo meno, non lo avevano costretto a usare un secchio. Proprio dei signori, questi bastardi Amhoniani. Quando fu dritto si ritrovò davanti l’impotente castello del re. Era inquietante, con corvi che si posavano e volano sulle torri. Un brivido gli attraversò la schiena, diede la colpa al freddo pungente. Il castello si sviluppava in verticale, torreggiando su chiunque e qualunque cosa. Le snelle e lunghe torri appuntite erano talmente alte da sembrare che toccassero il cielo. Per essere vicino agli Dei? Si chiese.
Uno strattone lo indusse a camminare verso un grosso portone. Due soldati lo tenevano, mentre altri due erano a qualche passo dietro di lui, le mani sulle else delle spade. Attraversarono un corridoio buio e dai soffitti bassi; appena arrivarono in una stanza più ampia capì che si trattava delle prigioni. Uno degli uomini si prodigò ad aprire una cella, ma fu fermato da un nuovo arrivato. Lo sconosciuto, che comprese immediatamente essere di grado alto, aveva un viso severo, pallido come la maggioranza del popolo di Amhon, sopracciglia fine e scure, così come la chioma tagliata molto corta.
«Lo prendo io» disse con voce autoritaria.
Il soldato che teneva le chiavi della prigione in mano sembrò spaesato. «Signore, questo prigioniero-»
«L’ordine è del re. Prendo io il prigioniero.»
Vide i soldati deglutire con paura; quello alla sua destra porse le chiavi delle sue manette all’uomo. Lo sconosciuto lo prese per un braccio, aveva una stretta solida, ma non violenta. Diede un’occhiata al viso, nessuna emozione, sembrava intagliato nella pietra.
Salirono alcune rampe di scale e man mano che camminavano notò delle snelle e alte finestre ricoprire le mure che prima ne erano prive. I vetri a volte erano trasparenti, a volte colorati.
Il sole stava tramontando anche se doveva essere ancora pomeriggio. Il corridoio in cui svoltarono era cupo, le grandi finestre cercavano disperatamente di rubare gli ultimi raggi.
Non aveva visto nessun servo, nessun schiavo, nessuna persona oltre ai soldati di prima in quel castello. Dov’è il personale? Di solito i castelli dei nobili e dei re erano caratterizzati da un continuo viavai di persone intente a compiere il loro dovere. Il silenzio di quel luogo lo rendeva ancor più inquietante.
L’uomo si fermò davanti a una porta; l’aprì senza esitazioni e gli ordinò di entrare. La camera in cui mise piede era ampia, decorata con gusto, l’arredamento e la pulizia gli fecero pensare che fosse usata per ospitare un duca o un marchese.
«Cammina fino alla porta in fondo e poi aspetta dentro.»
Tutto il suo corpo gli urlava di attaccare il nemico, ma ingoiò quel desiderio e fece come gli era stato detto.
Una vasca rettangolare e interrata nel pavimento si presentò davanti a lui. Era riempita di acqua e petali. L’ambiente non era della grandezza e del lusso a cui era abituato, ma era curato nei minimi dettagli. L’uomo si avvicinò a lui e con un  gesto fluido lo liberò delle manette. Non disse nulla, ma dal suo sguardo potè leggere un’avvertenza.
Lo lasciò solo per pochi istanti, tornò accompagnato da tre donne. Due erano molto giovani e intimorite, mentre l’altra doveva avere sui circa trentacinque anni e mostrava una postura fiera. Due serve e un medico, pensò.
Quando il soldato uscì la donna più grande fece cenno alle altre due di dirigersi verso di lui. Strinse le mani per non attaccale; loro erano solo delle serve che eseguivano gli ordini, anche se le avesse prese in ostaggio a nessuno sarebbe importato del loro destino. Le ragazze presero a svestirlo con lestezza, le delicate mani tremavano un poco. Si costrinse a respirare e restare calmo, anche se la sua mente gli proponeva immagini su come afferrare una di loro, usarla come scudo umano, oppure ucciderle tutte e tre e prendere gli strumenti del medico per usarli come armi. La donna, se era un medico come sospettava, sicuramente aveva con sé gli arnesi del mestiere. Non fece, però, nulla di tutto quello. Gli bastò il ricordo di suo figlio per acquietarsi.
Nudo, fu portato nella vasca. Le ragazze erano vestite solo da una grezza e scura tunica che si incollò al loro corpo appena entrarono in acqua, mettendo in mostra le loro forme. Non dovette sforzarsi a comprendere che la corta veste fosse fatta principalmente per gli occhi languidi dei vari nobili.
Le giovani iniziarono a lavarlo con minuzia, soffermandosi sulle sue ferite. Il processo durò un tempo che gli parve infinito, dopodiché le fanciulle lo lasciarono nella mani del medico. La donna fu molto meno delicata, lo medicò con precisione e fermezza, senza curarsi del suo dolore. A operazione finita bussò alla porta e l’uomo di prima le fece uscire. Lui rimase fermo con le braccia lungo i fianchi, non provando a coprire le sue nudità, in una posa austera.
«Troverai le vesti sul letto. Indossale.» Dopo quella frase uscì e lui udì il chiavistello girare per tre volte. Ovviamente avevano chiuso la porta a chiave.
Le gocce d’acqua gli scivolavano dai capelli, accarezzandogli la schiena nuda. Non vide in giro nessun panno per asciugarsi; decise quindi di indossare solo le braghe evitando di bagnare la casacca. Il tessuto era di bassa qualità, del tutto diverso a ciò che indossava di solito. Non mi aspettavo di certo vesti pregiate, pensò. Con un sorriso amaro diede un’altra occhiata alla stanza e si soffermò sull’unica altra porta. Provò ad aprirla, ma come aveva previsto, la trovò chiusa.
Non c’erano finestre, non c’era niente che gli facesse capire in che momento della giornata si trovasse.
Con un sospiro esausto si lasciò cadere sul letto; era morbido e le lenzuola erano fresche contro la sua pelle. L'ultimo pensiero che ebbe prima di addormentarsi fu per Khali.


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