Scena seconda

44 11 15
                                    


 2. Un sabato pomeriggio d'inverno, qualche tempo dopo

«Pronto? Sono io, sì. Mi vieni a prendere, per favore? No, è che non mi sento troppo bene, nulla di grave, tranquilla. Ma preferisco venire a casa. Sbrigati, per favore».

Ines fece pressione sul rosso mentre sua madre stava ancora parlando. Non ce la faceva a risolvere con un sì o no, ora non posso, per esempio. Sarebbe stato facile, ma lei era così. Le pareva di sentire la sua voce. «Scusa, ma aspetta ancora un po', no? Magari ti passa, ti diverti e ti distrai, che problema c'è? Sei con la tua migliore amica, è una bella giornata, goditela! A casa ci stai tanto, forse troppo...», e la tiritera avrebbe potuto continuare.

Si sentiva stanca. Immensamente stanca.

Greta, poco distante da lei, sembrava sua sorella più grande. Almeno la terza di reggiseno, alta e formosa, gonna corta nera, un corpetto rosa corto in vita, sorrideva e parlava fitta fitta con Nicole. Avrebbe potuto sentire cosa si dicevano anche alla distanza della panchina accanto. Sicuramente parlavano del biondo: un tipo forte. Non si parlava d'altro nelle ultime uscite del sabato, sul lungomare: Max seguiva Greta come un cagnolino, se ne erano accorti tutti in classe.

«Ehi, Ines! Vieni qui, dai», fece Nicole, passandosi una mano tra i capelli neri lisci di piastra che le coprivano le spalle come un manto.

Lei si girò verso Nicole: gli occhi castani si posarono sulle palpebre sottolineate dal kajal e, sopra, illuminate da un ombretto sfumato sui toni del viola, che facevano risaltare le iridi verde scuro della sua amica; poi sulle labbra coperte di rossetto glitterato. Alla fine si persero in un punto oltre il gruppetto.

Con lei erano state amiche davvero, fino alla fine delle medie. La liscia e la riccia, le avevano soprannominate a scuola: all'epoca Ines portava i capelli corti, una chioma fitta di ricci stretti alla Bob Marley, sembrava una nuvola rossa quando appariva da lontano.

Non passava pomeriggio senza che si vedessero: appena finito di pranzare, via! Una correva a casa dell'altra. Abitavano a pochi isolati di distanza; si erano conosciute in terza elementare, quando Nicole si era trasferita lì da una città vicina.

Quando si vedevano, Ines non dimenticava mai di portare con sé il loro segreto.

Il LIBRO DELLE OMBRE, lo avevano intitolato di comune accordo, con parola altisonante.

Ines ne era la custode. Lo avevano cominciato in quinta elementare: lei aveva colorato la copertina di un bel verde bosco, con il titolo in corsivo maiuscolo riempito a pennarello in viola scuro, la stessa tonalità dell'ombretto di Nicole.

Forse l'ultimo filo che ancora le legava, il viola.

Con i fantasmi andavano a braccetto, in quegli anni. Ricette di pozioni, avventure, rime con cui li evocavano e ne invocavano la protezione; ma anche avvertimenti destinati ai nemici. Un mondo di loro esclusiva proprietà: entrambe tenevano ben nascosto il loro segreto. I grandi, con la loro insipienza, avrebbero di sicuro provocato una pericolosa reazione delle ombre loro amiche. Ne sarebbe scaturito un mare di guai. Ma loro erano una squadra, in grado di proteggere i grandi, anche quando non se lo meritavano.

«I genitori non devono saperlo» si erano giurate, quando avevano creato il libro.

Una folata fredda le portò alle narici la nota frizzante del mare vicino, spazzando via la fragranza ambrata del profumo di Greta.

Da un punto profondissimo qualcosa afferrò Ines dentro la pancia, trascinandola verso il basso, con il rotolare pesante dei massi giù per una scarpata.

Ines di cristalloDove le storie prendono vita. Scoprilo ora