Scena terza

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3. A scuola, un mercoledì mattina, primi di febbraio

Era un buon giorno, quello. L'aveva sentito dalla prima mattina. Aria gelata, non una nuvola in cielo. Quando aveva alzato la tapparella di camera la luce era così forte che il fico d'india che troneggiava sul terrazzo di fronte sembrava dipinto col pennello.

Il freddo era capace di ripulire ogni cosa, pensò. Immaginò il suo arrivo: mancava da una settimana ormai. Era il giorno giusto per tornare, un mercoledì pulito come le sue scarpe. Perfetto.

Meglio evitare il latte caldo; le sarebbe toccato andare in bagno, non sarebbe arrivata neanche alla ricreazione. Il pensiero di varcare la soglia dell'aula sotto gli sguardi incrociati di Greta, Max, Nicole le provocò una sensazione di nausea. La respinse e lo stomaco si rilassò. Bastava non pensarci. Aveva scelto l'outfit dell'altra Ines, per il rientro; ma quando era arrivata alla maglia a righe, lo specchio le aveva restituito un'immagine quasi cinematografica. Non ce la faceva a sostenerla, la Ines in carne e ossa. Alla fine si decise per un nero invisibile, che faceva macchia con i pantaloni.

Si concentrò sulla prima ora di lezione. La prof di storia avrebbe sicuramente fatto domande. Tutti facevano domande, come se servisse a qualcosa.

«Un problema di salute, il dottore mi ha consigliato di aspettare qualche giorno per non dovermi far venire a prendere di nuovo», avrebbe risposto. Quanto al resto, era preparata: aveva saltato l'ultima verifica, ma se avesse voluto interrogarla sapeva tutto della Roma repubblicana.

Aveva messo nello zaino la sua pietra blu. Era uno zircone a forma di mezzaluna che i suoi le avevano regalato per un compleanno, infilato in un cordoncino di cuoio. Lo aveva indossato solo qualche volta, poi aveva tenuto la pietra, senza metterla al collo; una specie di portafortuna che non dimenticava mai quando usciva, custodita gelosamente in un sacchettino di pelle scura.

Quando aprì lo sportello, davanti alla scuola, lo strinse forte con la sinistra, infilata nella tasca dei pantaloni.

La strettoia che stava attraversando era irta di pericoli, Ines lo sapeva bene. Negli occhi il bianco candido delle scarpe, eliminò dal suo campo visivo tutto quello che voleva entrarvi di prepotenza, dai lati. Nell'ordine, il primo gruppetto di gente, non di classe sua, ferma a fumare; il prof di Educazione fisica che le aveva lanciato un sorriso buono da sotto la sua bella barba scura (erano tutte innamorate di lui, giovane supplente che sembrava un alunno ripetente); l'aiuola del platano dietro cui stavano i suoi compagni di classe, Nicole in prima fila, di cui aveva colto uno sguardo sorpreso. Negli ultimi giorni aveva deciso di non rispondere ai suoi messaggi preoccupati: l'avrebbe spiazzata tornando quella mattina, come nulla fosse.

Curvò a sinistra, fingendosi impegnata a cercare qualcosa nello zaino, semiaperto sul davanti e appoggiato ad una sola spalla; poi riprese il cammino diritto verso il portone d'ingresso.

La fine del tunnel si avvicinava. Concentrò lo sguardo sui piedi, che si muovevano a passo regolare uno dietro l'altro, in automatico, saltando le righe tra le mattonelle. Era il suo gioco: ogni riga calpestata una penalità. Dietro le palpebre ebbe cura di conservare ben visibile l'onda blu dei capelli dell'altra Ines, il rosso dei ricci di Marlene e la cresta rosa che attraversava il cranio di Lisa, dalla fronte alla nuca. Nessun ostacolo avrebbe potuto resistere alla brillantezza di quei colori.

D'improvviso apparvero gradini di roccia che si inerpicavano verso la macchia azzurra, in alto. Probabilmente dovevano risalire ancora per arrivare a scollettare e trovare la valle. Qualcosa la urtò, si resse con la destra per non cadere. Un'ombra furtiva le scivolò accanto: il nemico, forse? Non ebbe il tempo di darle forma che era già sparita. Continuò la sua ascesa, i piedi cominciarono a dolerle ma era in grado di continuare, si disse. Un rumore di intensità crescente le frastornava le orecchie, nonostante la Rappresentante di Lista le gridasse nelle orecchie sopra la rovina sono una regina.

Ines di cristalloWhere stories live. Discover now