Scena quinta

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5. È qui la festa?

Aprì lo schermo: al click gli occhi dell'altra Ines si illuminarono di un sorriso confortante. C'era ancora, pronta per la festa. Marlene rispose subito all'invito: restavano da definire pochi particolari. Le sue compagne le avrebbero dato i consigli giusti, ne era certa. Poi arrivò Lisa. Le raggruppò in un angolo ombreggiato di Spreepark: si accomodarono su una delle imbarcazioni che dondolavano molli sulla Sprea.

«Ragazze, ascoltatemi. La nostra missione ci chiama. Dobbiamo andare. Ora. Il viaggio sarà lungo, poi vi spiego. C'è in ballo molto più di una festa: l'antidoto che salverà il pianeta dall'estinzione si trova nelle viscere della terra, in un luogo protetto e inaccessibile. Preparate le vostre cose. Che siano poche, viaggeremo leggere in prossimità di un calore atroce» concluse seria.

Marlene sgranò gli occhi senza rispondere.

Ines stava per dire che il suo compleanno era ormai vicinissimo, che non poteva impegnarsi oggi, aveva bisogno di loro per definire delle questioni importanti, le musiche - nell'ultima notte insonne aveva preparato la colonna sonora per la festa - e poi gli inviti, ormai quasi in ritardo, per il giorno dopo. Non poteva rischiare il flop... non anche qui. Stava per premere INVIO quando le dita si fermarono di colpo. Che stava facendo? Partire... ma per dove? Con chi?

«Ce la puoi fare, se vuoi», le aveva detto suo padre. Dove stava andando? C'era una cosa che doveva fare, una sola: chiudere il PC, alzarsi, fare una doccia che le togliesse di dosso il sudore puzzolente, le sbavature di mascara dal viso. Si sarebbe pettinata a dovere e si sarebbe messa una maglietta pulita.

Gli ectoplasmi strisciano, gli esseri umani hanno la stazione eretta. Si alzò. Si stirò a lungo, avvertendo le vertebre distendersi una dopo l'altra. Si tolse i pantaloni della tuta e la maglietta di un colore indefinito, li gettò in un angolo della stanza e rimase in mutande e reggiseno. Si guardò allo specchio. «Ce la puoi fare, se vuoi». Vero. Ce la poteva fare. Il suo corpo, minuto, le apparve all'altezza: braccia e gambe erano un po' magre ma toniche. Merito della pallavolo. Fino alle medie, con Nicole, avevano giocato nella squadra della scuola. Ines era brava a schiacciare, saltava alla grande sotto rete. Nicole invece era forte nella battuta. A un certo punto però aveva smesso di venire agli allenamenti: aveva cominciato a vedere un ragazzo. La pallavolo era roba da sfigati, le aveva detto all'inizio delle superiori quando Ines le aveva proposto di iscriversi al gruppo sportivo.

Ora si accucciò, spiccò un salto. Si accorse di quanto le pesassero le gambe, dopo settimane in cui era chiusa tra quelle mura giorno e notte, con poche eccezioni che si riducevano a brevi presenze a tavola, per far stare zitta sua madre. Rimase piegata in avanti, con i palmi delle mani sulle cosce. SI sentiva stanca. Poi si rialzò, aprì le spalle, si avvicinò allo specchio e si guardò gli occhi: erano di un bel color nocciola, come quelli di suo padre. Sorrise alle occhiaie grigiastre: un buon trucco avrebbe risolto il problema. In un salto fu all'armadio, che da giorni giaceva nell'abbandono. Appesi alle grucce, a sinistra, stavano in una fila perfetta e dimenticata un vestito rosso da estate con le spalline, stretto in vita e poi lasciato andare in un'ampia gonna; una minigonna nera buona per tutte le stagioni - non faceva più il cambio estate/inverno già da qualche anno, con grande scorno di sua madre - , una camicetta bianca con una rouche al collo, che aveva portato solo per un breve periodo, quando usava andare in giro con la pancia di fuori, e una gonna lunga un po' hippy che le aveva prestato una volta un'amica di sua madre, a cui non aveva saputo dire di no. Poi, a destra, c'era la parte confusa e disordinata dove aveva messo le mani fino a qualche settimana prima, almeno occasionalmente. Colore dominante il nero. Tirò fuori e buttò sul letto, alla rinfusa: un paio di pantaloncini corti a vita alta, che portava in ogni stagione, mettendoci sotto calze spesse con calzettoni colorati fino al polpaccio d'inverno; un pantajazz largo in fondo, sempre nero; un paio di jeans scoloriti larghi con tasconi laterali, sfrangiati, che appartenevano al periodo della ribellione a tutto quello che sapeva di femminile, e un altro paio di jeans blu scuro a vita alta, che si era fatta comprare per una delle prime feste di compleanno insieme a un paio di tacchi neri che erano rimasti abbandonati per sempre, dopo quella sera.

Ines di cristalloWhere stories live. Discover now