Scena quarta

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4. Un giorno speciale

«Ehi, che pensi di fare quest'anno? Sono quindici, come il giorno del compleanno!».

La voce di sua madre spezzò la coltre di silenzio della sua camera. Prima di vederla, Ines aveva riconosciuto l'affettazione nella voce: quella delle proposte. Quindici febbraio, il suo quindicesimo compleanno: festa, amiche da incontrare.

«Mah, non lo so, non ci ho ancora pensato», rispose senza alzare gli occhi dal foglio su cui stava scarabocchiando colori. Un reticolo di linee disordinate, dal blu al nero come i suoi pensieri.

«Sai che l'altro giorno all'Esselunga parlavo con la mamma di Luisa, e mi diceva che anche lei ha deciso per una pizza fuori? Potremmo sentire da Adele, che ha un bello spazio in cui...»

«Senti mamma, non lo so, ci devo pensare, ora ho da fare, scusa», rispose Ines concentrando lo sguardo sul foglio e coprendolo col gomito, come se stesse scrivendo qualcosa di molto importante. Non guardò sua madre, anche se il sorriso mesto delle sue labbra le si appoggiò addosso come un lenzuolo bagnato.

«Va bene, scusa, se ti viene in mente qualcosa io sono qui», soggiunse prima di richiudere la porta di camera.

Ines sentì un groppo alla gola. Era un pesce con l'amo già in bocca: le tre punte erano ben infilate nelle sue carni, nessuno poteva toglierle senza strappare tutto. Immaginò sua madre, in salotto, al telefono con Anna, la sua amica. Le venne in mente una sera, non molto lontana.

«Sai, è proprio un momento difficile. Non esce praticamente di casa, ormai. Nemmeno ai messaggi di Nicole risponde... no, mangiare mangia, ma appena finito si rinchiude in camera sua, non la senti più... la scuola? Guarda, è il più piccolo dei problemi! Certo che vorrei che ci tornasse, ma non come gli ultimi tempi prima di Natale... quasi fatico a ricordare com'era, prima. Vorrei solo che tutto tornasse come un tempo...»

Era tardi quella sera. Quasi mezzanotte. Ines era stata svegliata da un incubo: era con Marlene e Lisa in una specie di giungla fitta, stavano avanzando in esplorazione, tutte concentrate sui minimi rumori e versi di animali, quando all'improvviso una rete era caduta dall'alto e le aveva tirate su, appese a un grosso albero. Una trappola invisibile. L'aveva svegliata il suo stesso grido. Coperta di sudore, aveva aperto la porta in preda alla paura, tentata di andare in camera di sua madre. Poi aveva sentito la voce ed era rimasta immobile, ad ascoltare.

«Dici bene tu! pensi che non ci abbia provato? Lo so anch'io che ha bisogno di aiuto! Ma è tosta, che ti credi? Se lei non vuole...»

Aveva richiuso la porta, con delicatezza, inghiottendo le lacrime a fatica. Sentiva come un sasso in gola, che non andava né su né giù.

Scagliò lontano la matita nera, ora. Aveva il cuore gonfio come una nube scura, carica di pioggia. Ci aveva provato, con il centro. Solo adulti che fingevano di capire, ma non capivano un cazzo di lei.

Mancava a scuola da un mese, ormai. Le sneakers erano in un angolo della stanza, immacolate. Aveva coperto lo specchio con un poster di Achille Lauro, il suo cantante preferito. Fine della sua immagine, capelli arruffati scoloriti, viso pallido e occhi gonfi, mascara che finiva per colare sulle gote. Non voleva più saperne di nero. Nero dei leggings in cui viveva a giornate, dei fogli scarabocchiati. Perfino i suoi capelli rossi sempre spettinati le sembravano virare verso una tonalità scura e triste. Preferiva il nero della notte, che faceva meno contrasto con lo sfavillare delle giornate di sole d'inverno, con le grida dei bambini del piano di sotto quando la mattina li preparavano per la scuola, con lo squillo del cellulare di sua madre - non ce la faceva a lasciar passare una mattinata intera senza chiamarla per sentire se andava tutto bene. E lei non poteva non rispondere: il resto nulla, aveva silenziato il gruppo classe e a Nicole non rispondeva più.

Ines di cristalloWhere stories live. Discover now