14.

5 1 2
                                    


Già, eravamo tutti morti, o quasi.
Quella donna in un attimo aveva tirato fuori dalla borsa una testa mozzata. Ma non certo una normale, no, quella era la testa di Medusa, uno dei mostri presenti nell'enciclopedia delle creature leggendarie. Si narrava che a essa fosse stata mozzata la testa da un precedente Protagonista, ma che anche separata dal corpo potesse tramutare in pietra chiunque ne incrociasse lo sguardo. Per nostra sfortuna noi l'avevamo fatto.

Fu strano diventare di pietra. Sentii come se del fango si seccasse sopra la pelle, prosciugandomi. Il problema risiedeva nel fatto che quello che si stava seccando era il mio intero corpo.
Il processo di pietrificazione iniziò contro ogni mia previsione dai piedi. Il che non aveva molto senso, ma mi diede il tempo di pensare a un piano, e prima di venire totalmente tramutata in statua riuscii a urlare: «Io so dov'è il Protagonista!»

Poi più nulla.
Fu una cosa stupida da dire ora che ci penso, ma al momento mi era parsa la più sensata. Ormai mi ero rassegnata a passare l'eternità come un blocco di pietra spettinato e vestito davvero male. Passarono pochi secondi prima che mi rendessi conto di essere libera e di poter ancora respirare.

La prima cosa che vidi una volta abituatami alla luce del sole fu la signora che mi guardava come in attesa. Avevo i suoi occhi dalle iridi grigie puntati addosso, le labbra verdi storte in una smorfia di disgusto, i suoi capelli azzurri raccolti in uno chignon. Era vestita con un lungo abito blu acciaio. In mano stringeva un nebulizzatore giallo, il cui contenuto era appena stato usato su di me. In faccia sembrava avere un'espressione scocciata.

«Allora?!», domandò lei impaziente.
«Cosa?»
«Hai detto di sapere dove si trova il Protagonista. Allora, dov'è?», insistette lei.

«Oh, sì, giusto. Adesso te lo dico», balbettai mentre pensavo a una risposta. «Beh, prima l'avevo visto nella hall al piano terra, ma forse adesso sarà salito.»
«Quindi non hai idea di dove sia, giusto?», domandò innervosita.

Alcuni mostri non sono molto bravi a distinguere gli odori o intuire le categorie; perciò, non si accorgono del tutto della mia presenza e mi scambiano per una persona qualsiasi. Fu una fortuna per me che la donna non avesse un olfatto molto sviluppato. In caso contrario non avrei potuto avere questa seconda possibilità, e sicuramente era un'occasione che non avrei sprecato.

«No, ma io ho qualcosa che egli desidera molto, quindi verrà di sicuro a cercarmi.»
«E che cosa sarebbe questa cosa?», chiese lei incuriosita.

Mi guardai intorno, non avevo niente, neanche un oggetto. Le uniche cose a disposizione in quella serra erano le piante e le statue dei tre ragazzi.
In aria, molto più in alto delle piante ronzavano grosse api in cerca di nettare da portare all'alveare.
Mi voltai verso il bordo del terrazzo e mi ci avvicinai per guardare giù.

Troppo alto per saltare. In più lì sotto si stava svolgendo un combattimento tra la polizia, che grazie alla chiamata dei ragazzi doveva essersi accorta dell'esistenza di un albergo non registrato, e delle piccole chimere sputafuoco. Le chimere erano però più interessate a me che ai poliziotti, e cercavano di saltare sul terrazzo, arrampicandosi sulle finestre dell'hotel. Portavano tutte dei collarini gialli, come a ricordarmi il fatto che quel colore mi stesse perseguitando.

«Non è una cosa, è un informazione», inventai. «Io so qualcosa che egli vuole a tutti i costi sapere.»
«E che cosa sarebbe?», insistette lei sempre più curiosa.
Le feci cenno di avvicinarsi di più a me, come se stessi per rivelarle un importante segreto che una volta udito l'avrebbe resa il mostro più forte e potente tra tutti.

«Posso sapere il suo nome?», chiesi alla signora.
«Mångata Buttongray»
«E che mostro è?», continuai.
«Sono la strega del monte Blunotte.»

Non insistetti a chiederle cosa ci facesse una strega dei monti in un hotel vicino a una grande città, mi morsi la lingua e proseguii. «Vede, signora Buttongray, io conosco un modo infallibile per uccidere tutti i mostri», pronunciai, osservando la sua faccia stupita.

«È molto semplice e ora glielo spiegherò», continuai abbassando la voce come per non fare udire il segreto a eventuali orecchie esterne. «Basta prima scoprire che tipo di mostro sia, e poi viene la parte più importante e difficile.»

Feci una piccola pausa per racimolare tutte le mie forze. Nel mentre lei si era avvicinata, troppo presa dal discorso per accorgersi del pericolo. In un lampo le strappai la bottiglietta della pozione dalle mani e mi allontanai di qualche metro. Lei mi guardò stupita, non aspettandosi da me quella azione.

«Sopravvivere», conclusi.

La guardai mentre veniva afferrata dalla zampa della chimera che era riuscita ad arrampicarsi fino al parapetto. Non stetti lì troppo a lungo per vederla cadere giù, corsi subito a liberare dalla pietra i tre idioti spruzzandogli addosso il liquido.
Liberai per prima Rebecca e poi corsi subito da Karlos. Ero a metà strada tra lui e Dario quando sentii una voce dietro di me.
«Pensavi di esserti liberata di me così facilmente?!»

Mi girai e vidi la signora Buttongray arrampicarsi sul cornicione del terrazzo. Il suo abito era ridotto a brandelli, dallo chignon uscivano dei capelli un po' bruciacchiati, e i suoi occhi ardevano d'ira.
«FRUFRÙ, ATTACCA!», urlò Mangåta.

All'inizio pensai che la caduta le avesse fatto un po' troppo male, chi avrebbe mai ordinato a una pianta di combattere? Poi vidi Frufrù in azione. Un enorme ammasso di petali gialli e denti si mosse nella fontana. I suoi lunghi e robusti arti vegetali adesso arrivavano fino all'ascensore.
Dario si trovava proprio vicino alla pianta e fu sotterrato dalle radici che continuavano ad aumentare.

Sentii qualcuno levarmi di mano il nebulizzatore: era Karlos che correva in aiuto dell'amico. Non appena fu nelle vicinanze Frufrù lo afferrò con una radice. Lui tentò invano di scacciarla spruzzandole addosso il contenuto della boccetta in un vago gesto eroico.
Patetico, pensai fosse quello che la pianta aveva in mente mentre lanciava ripetutamente il ragazzo al suolo, giocandoci quasi fosse uno yo-yo. Il cranio di Karlos si spaccò dopo appena due spinte contro il terreno, ma ciò non impedì alla pianta di divertirsi ancora un po' a far schizzare in aria sempre più sangue e brandelli di carne.

Non rimasi molto a guardare quella scena, mi misi in fretta a correre verso l'ascensore dove Rebecca già tentava di raggiungere il pulsante. Come avevo già accennato il bottone era troppo in alto per entrambe. Salii sulle spalle della ragazza e cercai di arrivare all'interruttore che sfortunatamente era da poco stato coperto dalle robuste radici di Frufrù. Provai a picchiare contro le porte dell'ascensore e a chiedere aiuto al topolino, ma lui non rispondeva.

Avevo bisogno di qualcosa di appuntito per tagliare le radici. In un lampo mi passò per la mente il coltellino che aveva usato Dario, chissà dov'era finito? Mi guardai attorno per cercare di capire dove fosse, e poi lo vidi. Era in mano a Mangåta, che stava lentamente zoppicando verso di noi.
Il correre verso la donna per prendere l'arma era un'idea molto pericolosa e non era detto che sarebbe riuscita. D'altronde anche tutti i combattimenti diretti con la pianta erano fuori questione. Solo un completo mentecatto sarebbe andato incontro a un mostro pericoloso come quello.

«Hai un piano?», chiesi a Rebecca decidendo che collaborare era l'opzione migliore che avessimo a disposizione.

Ma lei non mi ascoltava, era troppo spaventata per farlo, e come temevo al posto di aiutarmi scappò via. Fu catturata da una radice che l'afferrò per una gamba. A quella se ne aggiunse un'altra sull'arto opposto. Avevo sentito di hentai iniziare così, ma per fortuna la pianta si limitò a tirare le gambe di Rebecca in direzioni diverse e in poco tempo una di esse si staccò tra le urla disperate della ragazza e il suo sangue. L'Antipatica, ancora cosciente, fu infilata tra le fauci della vorace pianta e triturata sotto la forza di quei pericolosi denti.

Così ero rimasta da sola, appesa a una grata di ferro in cima all'ascensore, inseguita da una strega furibonda e della sua feroce piantina carnivora.
Forse adesso sarei veramente morta.

Voglio vivereWhere stories live. Discover now