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Ethan: 16 anni
Margot: 14 anni

Ormai è passato un mese. Un mese fa mia sorella Lilith ha fatto quello che ha fatto.

"Ethan, devi andare avanti ". Non fanno altro che ripeterlo, i miei genitori, come se mia madre non piangesse ogni santa notte, come se mio padre non stesse lì con lei a confortarla per finire poi a piangere. L'unico che non piange sono io. Non ci riesco ma continuo a provarci. Provo a piangere perché quello che è successo non è una cosa bella, quello che è successo farebbe piangere chiunque. Chiunque tranne me.

Non so perché non ci riesco ma, quando sono entrato in camera di mia sorella e l'ho vista appesa ad una corda di lenzuola... mi sono rotto, credo. Sono rimasto immobile, pietrificato. Aveva solo dodici anni. Un tormento, è stato un tormento. È stata la prima volta in cui ho provato tanti sentimenti diversi tra loro. Ero così confuso. I brividi, la paura di fare qualcosa di sbagliato, la confusione e l'incertezza sul da farsi incombevano su di me e hanno finito per schiacciarmi, per rendermi piccolo piccolo, quasi invisibile.

« Hei, Ethan » a chiamarmi è mio padre, che appare davanti alla porta della mia cameretta dalle pareti blu. « Ti va di fare un giretto in macchina? La mamma si è appena addormentata e pensavo che avremmo potuto stare insieme per un pochino » me lo propone con un dolce sorriso, cercando di nascondere i suoi sentimenti. So che pensa che io abbia subito qualche trauma quella notte, ma non è così. La verità è che non voglio vedere nessuno come lo è anche che se non riprendo la vita di prima ci saranno delle ripercussioni.

Non esco di casa da un mese, dalla notte del 15 novembre, la notte in cui mia sorella Lilith si impiccò in camera sua.

Devo andare avanti.

Guardo mio padre e annuisco lentamente per poi infilarmi il cappotto grigio e uscire di casa. Appena metto piede fuori noto che sta nevicando.

Le piaceva la neve.

Tutto ciò che ci circonda è coperto da un mantello bianco. É bella, la neve.

Avanzo verso la nostra macchina rossa e quando siamo entrambi in macchina, inizia il nostro giro. Restiamo in silenzio tutto il tempo, non mi va di parlare e non faccio altro che guardare le persone che si divertono. Un gruppo di bambini sta facendo un pupazzo di neve; hanno con loro carote, bottoni e una sciarpa rossa. Una madre, insieme a sua figlia, sta facendo molti angeli di neve e poi passiamo davanti ad un gruppetto di ragazzi ed eccola lì. Lei era lì.

« Papà fermati, per favore » lo prego e lui mi guarda stranito dallo specchietto per poi togliersi ogni dubbio guardando ciò che io guardo. Quel gruppetto. Sì, quel gruppetto, ma in quella piccola combriccola, io guardo solo lei. I suoi capelli neri come i corvi e i suoi occhi azzurri... è uguale a Lilith, è uguale a mia sorella. L'unica cosa che le differenzia sono le lentiggini che ha quella ragazzina, probabilmente quattordicenne. É bellissima. Tutta infagottata nel suo cappotto rosso e nella sua sciarpa blu, che bella.

Sta sorridendo e il suo sorriso è il sorriso più bello che abbia mai visto.

Gioca a palle di neve con due ragazzi e una ragazza e si sono schierati tutti contro di lei e a me questa cosa darebbe fastidio ma a lei sembra piacere. Continua a ridere e a sorridere e noto delle fossette sulle sue guance.

« Vuoi andare a giocare con loro? » mi chiede mio padre ed io faccio segno di no con la testa.

Non credo sia il caso.

« Mhm... Ethan, io dovrei tornare a casa ma se tu vuoi rimanere qui, puoi tornare dopo » afferma calmo allora ed io apro la portiera della macchina e scendo, mi vado a sedere su una panchina davanti alla casa in cui stanno giocando quella ragazza e i suoi amici e resto a fissarla mentre la nostra macchina rossa fa inversione per tornare a casa.

Passano i minuti: uno, due, tre, dieci... e alla fine lei alza lo sguardo fino ad incontrare i miei occhi neri. E poi mi sorride mentre si avvicina lentamente.

La sua camminata è fluida e non sembra minimamente in imbarazzo.

« Ciao! » mi fa cenno con la mano « Io sono Margot, abito qui di fronte e, dato che ci stai guardando da un po', magari vuoi giocare con noi » suppone posando i suoi occhi cristallini nei miei mentre indica il suo gruppo, preso a fissarmi. Non mi staccano gli occhi di dosso.

« Mhm... » non mi va di giocare ma non mi va nemmeno di essere scortese. Spesso le persone sono più permalose di quanto possano pensare. Sono a disagio e credo che lei lo noti quando prendo a toccarmi i capelli corvini, proprio come i suoi.

« Se non vuoi non fa niente, sappi però che potrai venire a giocare con noi quando vorrai » la sua voce è dolce e melodiosa. « Come ti chiami? » chiede poi.

« Ethan e comunque grazie per l'invito ».

Poco dopo un sorriso, si volta e torna dai suoi amici che le stanno sicuramente chiedendo informazioni su cosa mi ha detto e su chi sono. Lei gli spiega il tutto e poi lancia una palla di neve in faccia alla sua amica e così, riprendono a giocare.

Come Una PervincaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora