Un milione di lacrime

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Christian era appena salito sull'aereo che lo avrebbe riportato a Bergamo, aveva salutato Mattia con il cuore in gola al pensiero che si sarebbero rivisti dopo 9 mesi.

Lo aveva abbracciato più forte che poteva, stringendolo a sé con una forza tale da fargli quasi male, come per imprimerselo più che poteva dentro le ossa.

Ed ora era lì, sul quel sedile dal lato del finestrino, a guardare fuori la pista di decollo, illuminata solo dai faretti che ne delineavano la traiettoria.

Tutto intorno era buio, anche dentro era tutto buio.

Prese il telefono tra le mani, lo sbloccò, entrò su whatsapp, uscì, lo bloccò di nuovo.

Stava probabilmente avendo un attacco di panico, gli tremavano le mani, respirava a fatica, sentiva un formicolio insistente partire dal torace e diffondersi per tutto il corpo, fino ad attraversargli gli arti e giungere alle estremità delle dita.

Avrebbe voluto poter piangere ad alta voce, lasciare uscire quei singhiozzi che invece erano costretti a morirgli in gola.

Era tentato di far partire una chiamata verso Mattia, per sentire la sua voce e calmarsi un attimo. In fondo l'imbarco non era ancora finito, l'aereo era fermo e non era ancora il momento di mettere la modalità aereo.

Era così tentato di farlo, ma non voleva mostrarsi debole. Lo aveva salutato con il sorriso, con un "ti voglio bene fratè" e voleva che a Mattia restasse quell'immagine di lui.

Forte, voleva essere forte.

Volevo trasmettergli serenità, infondergli coraggio per quel nuovo percorso che lo aspettava.

Ma non era forte per niente, anzi, si sentiva piccolo e fragile da morire in quel momento.

Fece partire la chiamata.

M: "Fra tutto a posto? L'aereo ritarda?"

Sentire la sua voce gli calmò immediatamente il respiro e la tachicardia.

Ma non poteva farsi sentire con la voce spezzata dal pianto, se lo era ripromesso.

Per cui staccò la chiamata e gli inviò un messaggio.

«Scusa fra, mi è partita la chiamata...sono già sull'aereo comunque.»

«Ah beh, una volta che era partita potevi anche rispondermi cretino.»

E come glielo spiegava?

Non rispose.
Mise la modalità aereo e infilò le cuffie per ascoltare un po' di musica, aspettando che l'aereo si muovesse.

Chiuse gli occhi cercando di rasserenarsi, ma li sentiva bruciare a causa delle lacrime che rimanevano in bilico per qualche secondo e poi, prepotenti, uscivano.
Silenziose.

Quando vide gli assistenti di volo chiudere il portellone dell'aereo gli prese il panico, si rese conto che era quasi arrivato il momento della partenza e non avrebbe più potuto riattivare il telefono per oltre un'ora.

In quella manciata di secondi, nel percepire tutti i segni del panico attraverso il suo corpo, si rese conto che la paura più grande in quel momento non derivava da un'ora di viaggio prima della quale non avrebbe più potuto rispondere a Mattia.

Derivava dalla consapevolezza che aveva sprecato l'ultima occasione possibile per dirgli la verità. E non lo avrebbe potuto fare faccia a faccia, occhi negli occhi, per i prossimi 9 mesi.

E se quei 9 mesi avessero cambiato qualcosa? O ancora peggio, se avessero spento tutto?

Non poteva correre un rischio così grande.

OS ZENZONELLI - right person wrong timeWhere stories live. Discover now