Prologo

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La centrale come al solito era vivace, rumorosa e affollata. Trattenne un sorriso, cercando di mantenere una faccia seria e professionale, mentre sentiva come la signora Corbin-Haley stesse nuovamente denunciando il suo vicino per averle rubato il gatto. L’uomo - il presunto ladro - sbuffava stravaccato sulla sedia.
Ely, la sua collega, era in silenzio apparentemente concentrata sulle parole della donna. Lui sapeva, però, che la ragazza dentro di sé stava sospirando sofferente.
La signora Corbin-Haley faceva visita alla centrale almeno una volta alle settimana, ma quella volta si era superata arrivando a tre volte in una unica settimana. E tutte e tre era finita davanti alla scrivania di Ely. Povera ragazza.
Prese i fascicoli che gli erano stati richiesti, lanciando uno sguardo divertito a Ely, che lo ricambiò con uno di disperazione.
Trovò fortunatamente l’ascensore vuoto, premette il pulsante del settimo piano e si godette quell’attimo di tranquillità. Si appoggiò su un lato del moderno ascensore. Lo specchio alla sua sinistra riportava la sua immagine; la divisa blu scuro era in ordine, mentre i suoi capelli biondi era un poco scompigliati. Contando che erano le cinque di pomeriggio, le persone con cui si era dovuto interfacciare, la rissa avvenuta quella mattina davanti la centrale tra due ragazzini alpha ubriachi, la litigata pesante tra due coniugi - si era pure beccato uno schiaffo dalla donna - era anche in condizioni decenti. Uscì e percorse il corridoio fatto di vetri che collegava l’edificio della polizia direttamente a quello della sezione anticrimini. Il loro reparto non era molto più tranquillo da quello che poteva vedere. Intercettò Bjarne seduto davanti alla sua scrivania, una sigaretta in bocca e quello che sapeva essere l’ennesimo caffè in mano. Di regola non si sarebbe potuto fumare dentro l’edificio, ma Bjarne se ne fregava altamente delle regole. Anche quando gli venivano urlate addosso da un suo superiore.
Lasciò cadere i fascicoli vicino al viso dell’amico. «Signore, ecco a lei.» 
Bjarne rispose con un grugnito, non alzando la faccia dal caso su cui stava lavorando.
«Non c’è di che» rispose ironico, sapendo bene che l’uomo non avrebbe risposto.
«È un maleducato, non so come tu possa essere suo amico da anni. Non mi ha ringraziato nemmeno dopo il terzo caffè che gli ho portato.» La voce di Lona gli arrivò da dietro le spalle. L’alpha stava con le braccia sui fianchi guardando malamente Bjarne.
Lui sorrise. «Teoricamente non è tuo compito portargli il caffè. Può prenderselo da solo.»
Lona si avvicinò, posandogli una mano sulla spalla. «Lo so, ma adoro viziare i miei partner» disse con un sospiro drammatico. Gli strizzò la spalla, per poi passare al braccio. «Hai fatto palestra di recente?» domandò con un sguardo malizioso.
Lui rise. «Si vedono i risultati?»
Lona tastò nuovamente i suoi muscoli da sopra la stoffa. «Si notano eccome. Prendo in giro il mio Josef per il fatto che ormai non sa più come è fatta una palestra, ma in realtà amo il suo corpo. I ragazzi come te li lascio ad altri.» L’espressione le si addolcì al pensiero del marito. Si ricordava ancora il loro matrimonio, avvenuto tre anni prima. Lei e Josef - anch’egli alpha - si erano incontrati in centrale, entrambi poliziotti alle prime armi. La scintilla era scoccata in poco tempo e dopo due anni di frequentazione erano convogliati a nozze. Dopo un anno era nata la loro bambina; Josef aveva deciso di ritirarsi dal lavoro per prendersene cura a tempo pieno. Vedeva spesso Josef e la piccola venire a trovare Lona, e il fisico atletico di una volta dell’uomo aveva lasciato posto a curve più morbide. Si era anche lasciato crescere la barba, che veniva spesso tirata e stretta dalle mani della bambina. Non poteva che osservare con un sorriso e forse un pizzico di invidia la felice famiglia. L’amore che provavano l’uno verso l’altra era palese e dolce.
«Non avete del lavoro da fare invece di chiacchierare?» disse Bjarne in tono burbero e irritato.
Lona alzò gli occhi chiari al cielo, masticando un insulto.
«Ci vediamo al solito bar dopo?» chiese, minimamente disturbato dai modi dell’amico.
Un solo cenno della testa gli diede la risposta.

Finito il turno si mise seduto al solito tavolo, quello che lui, Bjarne, Lona e Maki occupavano da cinque anni. Rufel, il barista e proprietario, gli fece un cenno con la testa. «Il solito?» gli chiese, mentre puliva un bicchiere.
«Sì, ma non fare l’ordine di Lona, lei oggi non viene.» Si rilassò contro lo schienale in legno; il bar non era molto affollato a quell’ora - anche se si sarebbe riempito in fretta - e dalle tante divise che giravano si poteva constatare che fosse frequentato principalmente da poliziotti. Si trovava proprio a qualche metro di distanza, sulla strada opposta alla centrale.
Salutò e fece qualche veloce chiacchiera con qualche collega intanto che beveva con calma la sua birra.  Vide una testa di riccioli rossi arrivare trafelata e non ebbe dubbi che fosse Maki. «Ciao, partner» disse, mentre l’altro si sedeva pesantemente sulla sedia di fronte.
«Scusa per il ritardo, ma dovevo finire di compilare delle scartoffie. Questa giornata sembra infinita» dichiarò, passandosi le mani tra i capelli già arruffati.
«Attento che non ti veda Ellein, potrebbe farti un richiamo per come sei conciato pure se sei fuori turno.» E lo avrebbe potuto fare davvero, le regole - tra le tante - imponevano una lunghezza massima di capelli e la divisa in perfette condizioni sempre, ad accezione di inseguimenti o quando erano chiamati al dovere. Maki infrangeva in quel momento - ma anche in tanti altri - entrambe. Ed Ellein, il loro superiore, era intransigente; tra lei e Maki era odio.
«Che si fotta, dovrebbe scoparsi più spesso la sua omega, forse sarebbe meno stronza. Chissà come fa sua moglie a sopportarla.» A dispetto delle parole esplicite e rancorose, si guardò attorno con timore.
Sorrise all’interno del boccale. «Puoi chiederglielo la prossima volta che la vedi. E magari potresti convincerla a trattenere Ellein tra le lenzuola la mattina, così quando arriva a lavoro sarà più rilassata.»
Rufel mise davanti a Maki la birra scura. «Sei un genio. Lo farò veramente» disse, dopo aver ringraziato Rufel.
Vide Bjarne entrare dalla porta e dirigersi verso di loro, portando con sé gli sguardi delle persone presenti.  Bjarne era più alto e grosso della maggioranza degli alpha; sfiorava i due metri di altezza e le spalle larghe e possenti si notavano pure sotto la giacca di pelle. Molti omega e beta gli lanciavano occhiate eccitate, Oskar era consapevole che i capelli scuri con qualche spruzzata di grigio sulle tempie, la barba corta, le sottili rughe intorno gli occhi e il viso duro dell’amico suscitassero interesse. Se solo Bjarne avesse prestato maggiore cura al suo aspetto probabilmente avrebbe avuto schiere e schiere di donne e uomini ai suoi piedi. La cosa, però, lo avrebbe infastidito più che altro conoscendolo.
Si sedette con malagrazia sulla sedia, facendogli arrivare alle narici il suo tipico odore di caffè e fumo. Ogni tanto si chiedeva come facesse ad essere così in forma visto che si nutriva principalmente di caffè e sigari.
«Amico, sei arrivato finalmente» disse Maki.
«Caso difficile» grugnì, prendendo un sorso del suo whisky liscio.
«Come sta andando con l’antidroga?» Bjarne si stava occupando di Lean Mhordy-Kos, il braccio destro del figlio del capofamiglia degli Stavon-Tresoviz. La loro famiglia era invischiata in vari crimini, Bjarne cercava di smantellare la loro organizzazione da anni, ma senza successo. All’improvviso, un mese prima, era arrivata la conferma che Lean era atterrato all’aeroporto di Nuova Lake e si credeva che fossi lì per una partita di droga. Così Bjarne - che già non sopportava nessuno - si era visto costretto a lavorare a stretto contatto con il dipartimento dell’antidroga.
«Degli stronzi, pensano di sapere tutto loro. Li vorrei mandare a ‘fanculo, però mi hanno ordinato di essere cordiale» rispose irritato. Finí il suo drink, per poi alzare due dita per ordinarne un altro.
Nascose un sorriso dentro il boccale, per nulla sorpreso che il capo del dipartimento gli avesse urlato contro di fare il bravo. La bellezza di Bjarne commisurava il suo pessimo carattere, non era un segreto che avesse litigato con la metà dei suoi colleghi. Il motivo che gli garantiva il suo lavoro - e il non essere buttato fuori a calci - era la sua bravura. Era brillante, uno dei migliori detective della città, forse addirittura del paese. Un pizzico invidiava il suo acume.
«Domani a che ora iniziamo il turno?» gli domandò Maki.
«Alle otto, ti vengo a prendere?»
Maki annuì e iniziò a parlare della beta con cui si stava frequentando, mentre Bjarne borbottava irritato dall'energia e la vivacità del ragazzo.
Oskar finì la sua bevanda e ascoltó in silenzio il chiacchierare di Maki, cercando di rimandare il pensiero che da lì a poco avrebbe dovuto dormire.

Quello che siamo (come pesci #1) Where stories live. Discover now