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Si svegliò di soprassalto; i battiti del suo cuore che gli rimbombavano nelle orecchie, il sudore freddo che gli scivolava sul corpo. Nella camera da letto filtrava la luce proveniente dai lampioni della strada che illuminavano fiocamente di giallo-arancio i contorni del mobilio. Si mise seduto sul letto, cercando di regolarizzare i suoi respiri. L’incubo appena avuto era ancora vivido nella sua mente, scene di un passato non troppo lontano. Erano passati sei anni e dieci mesi, la guerra era finita, era tornato a casa, aveva trovato un lavoro, il mondo era andato avanti, eppure lui ancora si svegliava ogni notte sudato e tremante.
L’orologio digitale segnava le cinque e cinquanta due. Si tolse le coperte di dosso e camminò a piedi nudi verso il bagno privato; aprì il rubinetto lasciando scorrere l’acqua fredda. Se ne buttò una quantità sul viso, lavando via con il gelo i ricordi spiacevoli anche quella mattina.
I suoi capelli biondi erano spettinati e anche se tagliati corti alcune ciocche ricadevano sulla fronte. La sclera degli occhi era arrossata, enfatizzando l’azzurro delle iridi. Sotto aveva delle occhiaie violastre. Si passò una mano sul viso, sentendo sotto il palmo la ricrescita dei peli. Uscì e si diresse verso la seconda stanza della casa; fece stretching, ammorbidendo i muscoli del collo e delle spalle, per poi fare una leggera corsa di mezz’ora sul tapis roulant posizionato davanti alle vetrate.
Il suo appartamento era moderno, al quinto piano di un palazzo poco fuori il centro di Nuova Lake. Aveva una vista sul parco, gli piaceva quel contatto - per quanto minimo - con la natura. Gli sarebbe piaciuto poter godere della vista del lago che dava il nome alla città, ma ovviamente i prezzi in quella zona erano ridicolmente alti e il suo stipendio da poliziotto e quello che aveva guadagnato come soldato non erano sufficienti.
Con un po’ di fiatone tornò in bagno, aprí l’anta di vetro della doccia e fece scorrere l’acqua. Si lavò velocemente, con gesti rapidi e meccanici. Asciugò i capelli, si rasò la barba, si lavò i denti. Non pensava mentre compiva quei gesti, la routine lo rilassava, era confortante avere delle azioni, delle regole, da compiere ripetutamente ogni giorno.
Riscaldò gli avanzi della sera prima, odiava cucinare e meno tempo passava davanti ai fornelli meglio era. Per fortuna sua madre era una grande cuoca e ogni volta che si vedevano gli inscatolava porzioni e porzioni di cibo squisito.
Quando ebbe finito di mettersi la divisa l’ora segnava le sette e trenta due. Era in orario. Prese le chiavi della macchina e si diresse verso casa di Maki; in dieci minuti fu davanti l’abitazione.
Il suo collega uscì con una ciambella tra i denti. Si sedette di peso sul sedile borbottando qualcosa che assomigliava a un “buongiorno”.
«Hai una macchia sulla camicia, è meglio se la fai sparire prima di entrare in centrale.» Maki mosse la testa, cercando di individuare la macchia di cioccolato caduta dalla ciambella. Ellein l’avrebbe ucciso se l’avesse vista.
Ripartí, arrivando alle otto precise dentro il garage della struttura. Nemmeno il tempo di mettere piede dentro la centrale che vide Bjarne arrivare a passo di carica verso di loro.
«Muovetevi, andate subito al Royal Palace. C’è stata una sparatoria.»
Diede un’occhiata a Maki, il viso di solito ironico diventato serio.
Salirono velocemente dentro la macchina della polizia, Maki alla guida. Sfrecciarono con le luci accese attraverso il traffico mattutino; si fermarono vicino ad altre macchine uguali alla loro.
Il Royal Palace era un albergo di lusso, imponente e con un'architettura classica. L’entrata a doppia anta era sorvegliata da due poliziotti, mentre dietro le transenne si era già formata una folla curiosa.
Un uomo fu fatto uscire dalle porte, ammanettato e tenuto fermo da un paio di alpha in divisa.
Bjarne, che fino a prima stava parlando con un civile, camminò verso di loro. «Prendete le deposizioni dei clienti dell'albergo.»
Prima che potesse sorpassarlo, gli chiese: «Perché te ne stai occupando te?»
La sezione in cui lavorava Bjarne si occupa di crimine organizzato, una sparatoria come quella non sarebbe dovuta interessargli.
Bjarne sbuffò dal naso e inclinò la testa verso l’uomo che stava uscendo. «Perché c’entra lui.»
Dante Del-Koryzov. L’uomo vestito di un abito scuro, con la camminata lenta e sicura, pareva la tranquillità in persona, come se nulla fosse successo. Come se non ci fosse stata una sparatoria nel suo hotel.
Gli occhi di Bjarne bruciavano sull’uomo, Oskar era certo che se avesse potuto lo avrebbe schiacciato al suolo e buttato in galera all’istante. Dante, però, non era un uomo toccabile. La ricchezza della sua famiglia si sapeva non provenire da fonti lecite, ma non persisteva uno straccio di prova che dimostrasse ciò.
«Hanno cercato di ucciderlo? L’uomo arrestato potrebbe essere agli ordini di Mhordy-Kos?»
Bjarne fece una smorfia con la bocca. «Non lo sappiamo, ma io credo di sì. Avrebbe senso. Le due famiglie sono nemiche.»
«Hai detto che Mhordy-Kos è qui per affari, con chi li farebbe se non con la famiglia Del-Koryzov?»
«Forse con qualche banda minore che vuole prendere il trono a Nuova Lake.» Dopo quelle parole Bjarne si avvicinò a Dante, iniziando a porgli domande.
Lui e Maki presero le testimonianze degli ospiti dell’hotel; a quanto pareva nessuno aveva notato il sospettato finché non si era messo a urlare e puntare la pistola contro la receptionist. Questo perché era vestito in modo sobrio e banale, ma molti concordavano che sembrava essere sotto stupefacenti.
Aggrottò un po’ le sopracciglia a quella informazione. Perché mandare qualcuno a uccidere un uomo importante come Del-Koryzov drogato?  Forse il sospettato si era fatto una dose per darsi coraggio? Gli sembrava difficile che Mhordy-Kos assoldasse qualcuno che non fosse un professionista.
Tornarono in centrale e poi andarono da Bjarne. «Ecco il rapporto con le testimonianze.»
La faccia dell’alpha mostrava l’ira trattenuta. «Dimmi che c’è qualcosa di utile» disse, aprendo il fascicolo.
Maki scosse la testa. «Non proprio, ma cos’è successo?»
Bjarne non trattene un insulto tra i denti. «Lucil Meoni-Joviciz, beta, trentacinque anni, ha appena confessato. Dice che era andato lì per rapinare l’hotel.»
«Di mattina?» domandò Maki.
«Gli servivano soldi per la droga e ha ben pensato che un hotel di lusso fosse una buona idea.»
«È una stronzata.» La confessione non stava in piedi; tutti sapevano di chi era l’hotel e nessuno, nemmeno il più bisognoso dei drogati, si sarebbe permesso di rapinare la famiglia Del-Koryzov.
«Già, è una colossale stronzata. In assenza di altre prove, però, il caso verrà chiuso e lui sarà incolpato di tentata rapina a mano armata.»
«Ne hai parlato con il capo?»
La voce di Lona arrivò da dietro le loro spalle. «Ci ho appena discusso, ma non avendo nessuna prova che lo colleghi a Mhordy-Kos il caso non passerà a noi.»
Bjarne ringhiò, incrociando le braccia all’ampio petto. «Cazzate, tutte cazzate.»
«Dante cosa ti ha detto?» chiese a Bjarne.
«Nulla. Anche lui conferma la rapina, dice che uno della sicurezza l’ha avvisato che un uomo stava puntando una pistola contro la receptionist.»
Lona disse: «E tutti concordano che l’uomo urlasse di dargli i soldi.»
«Se aveva bisogno di soldi era più logico andare in una banca o rapinare qualcuno per strada. Alle otto é pieno di gente che va a lavoro, sarebbe stato abbastanza semplice» affermò Maki.
«E molto meno rischioso» proseguì lui.
Rimasero in silenzio per un minuto, poi fu Lona a parlare. «Per ora, comunque, non possiamo fare nulla. Il caso non è nelle nostre mani. Torniamo al lavoro.»

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⏰ Ultimo aggiornamento: Sep 13, 2022 ⏰

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