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Lena

Il professor Nardone sputa quel nome come se fosse una gara e l'avesse raschiato via dalla gola per lanciarlo il più lontano possibile.

Edoardo Volpe.

Lo lascia lì, quel nome, fra le pareti di un'aula satura dei respiri di un centinaio di anime schiacciate l'una contro l'altra, poi scappa via, scivola attraverso la porta come uno di quei ratti che escono dai tombini solo per tuffarsi giù nel prossimo.

Poca differenza fa un bel vestito.

La feccia resta feccia, anche se sa di colonia e non di fognatura.

Gli esseri umani schizzano in piedi, tutti insieme, diretti alla porta come se fosse uno scarico e loro escrementi. Mi alzo, per cercarti, e tra le teste che mi vorticano attorno, c'è la tua: così vicina, che voltandomi ti ho già raggiunta. Afferrarti la mano non basta, ti trascino via, fuori alla porta, e poi nell'aula accanto.

Non te ne accorgi quasi, quando ti spingo al muro.

«Non sbattermi così, senza preavviso», pronunci, «potrei eccitarmi.»

Raccogli il mio polso fra le dita. Riposi sulle vene a rilievo, carezzata dai battiti, dal sangue, dal tepore che ti appartiene, sulla pelle e fra le gambe.

«Tesoro, non è il momento. Nardone ha detto che Edoardo è scomparso da circa un mese. Cristo, un mese fa eravamo a quella stupida gita di gruppo! Credevo che se ne fosse andato prima, no?»

«Sinceramente non ricordo nulla della festa. Eravamo tutti ubriachi, quella sera, ma la mattina dopo le cose di Edo erano già sparite, perciò abbiamo pensato che se ne fosse andato prima» ti stringi nelle spalle. «Tu ricordi qualcosa?»

«Niente. Come ho potuto ridurmi così male da non ricordare?» sospiro. «Cazzo

«Oh», mimi teatrale. La tua voce sospesa per dieci secondi sulla stessa nota, tesa nel silenzio dell'aula vuota. «Lena, hai detto una parolaccia. Che brutta cosa!»

Giro la faccia, un'occhiata veloce alla porta chiusa, prima di tornare a te.

«Non dovresti essere così tranquilla, Alissa. Abbiamo troppe cose da nascondere e la polizia sta indagando sulla scomparsa di quell'imbecille del tuo amico, e–»

«Ci stai pensando troppo. Quelli sono una manica di incompetenti, lo sai. Figurati se vanno a guardare il nostro passato! E poi, non abbiamo mai fatto nulla di male – almeno, non ufficialmente. Dovrebbero riaprire una decina di casi dichiarati chiusi o irrisolti, trovare un collegamento e risolverli in fretta. Insomma, non ci sono riusciti in tutti questi anni, credi che possano farlo ora?»

Tendi le braccia alla mie spalle, ti fai più vicina, riempi i miei occhi col tuo volto: terra di Siena schizzata sulla pelle lattea; efelidi che un pittore ha lasciato, baciano gli zigomi, il nasino all'insù, le guance che non sono gli schiaffi a bruciare né il sangue a tingere. Capelli come fili d'oro incastrati nello scalpo, si fermano dietro i lobi, a metà collo, dove la notte le mie labbra ti sfiorano prima di scendere giù. Iridi castane che, stavolta, mi baciano per prima.

«Rilassati», mormori contro il mio lobo, «ce la caveremo.»

«Dopo la gita, hai parlato con Nora?»

«Sì, e ha detto la stessa cosa: non ricorda nulla della fest–»

Tok. Tok. Tok.

Qualcuno bussa alla porta. Non aspetta risposta, apre: una fessura che si allarga sull'interno, su di noi, sull'ennesimo dei nostri segreti. Mai al sicuro. Ti ritrai dal mio corpo – un cerotto che strappi troppo in fretta –, e sei di nuovo con le spalle muro.

FIDELIS AD MORTEMWhere stories live. Discover now