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Alissa

Nessun altro era presente. Nessuno poteva guardarmi, tranne l'uomo sopra di me. Troppo pesante perché potessi combatterlo, mi schiacciava: cosce strette ai fianchi, mentre facevo per sollevare le mie, ma l'unico risultato era l'attrito – jeans contro jeans. Lo sentivo, il suo punto più debole, e non avrei esitato a schiacciarlo, se solo avessi potuto.

Avrei voluto farlo, Lena. Avrei voluto colpirlo talmente forte da farlo bagnare di sangue e piscio, fluiti via dal posticino speciale tra le sue gambe. Invece, sono stata debole. Così sciocca da farmi cogliere alla sprovvista, gettare a terra come altri – prima di lui – hanno fatto.

Un colpo secco sulla testa, improvvisamente sanguinava, e tutte le fantasie che, sotto di lui, io non ero riuscita a realizzare, tu le hai rese realtà. I miei polsi ancora stretti in quei pugni, mentre lui cadeva: la fronte schiacciata a terra, la faccia accanto alla mia, eppure non mi guardava. Non più.

È così che gli uomini scopano: te li ritrovi tra le gambe, fanno pressione, spingono sempre più forte e poi finiscono, scivolando a lato come corpi morti. Soffiano l'aria contro il tuo naso, quando già ti hanno sporcata sotto – dentro – e anche sopra vogliono macchiarti. Non gli basta mai.

Lorenzo respirava ancora, Lena. Se l'avessi colpito più forte, non avrei resistito fino a casa. Ti avrei voluta lì, subito, sul pavimento. Ti avrei chiesto di dominarmi e prendermi, come aveva fatto Edo, ma quelle donne non l'avevano desiderato così. Le tue dita tra le cosce avrebbero cancellato quell'impronta. La sensazione di un cazzo che preme attraverso i vestiti.

Solo da te mi faccio scopare.

L'ho attesa, quella sensazione. C'erano altre faccende da sbrigare: ragazzi da abbandonare come cani per strada, martelli e lampade di sale da distruggere.

Siamo tornate a casa con la notte ormai alle spalle, attorno, ovunque; e lo sfarfallio delle luci nei lampioni era sottofondo alle macchine di passaggio che s'incrociavano per la prima e ultima volta. Il silenzio, quando non c'era parola pronunciata, era scandito dai nostri respiri altrettanto veloci. Siamo entrate come due ladre nella nostra stessa casa, in fretta: per non ascoltare rumore che non ci appartenesse; io per guardare la tua schiena inarcata contro la porta d'ingresso e avere quel corpo dove l'avevo desiderato sin dal principio – sul mio. Le mani che ti modellavano e le tue già più in basso. Non resistevi di più. Cancellavi il ricordo di chi aveva provato a rimpiazzarti.

Le tue labbra centellinavano il tempo: assaporavi ogni istante per paura che svanissi. Mi cercavi sulla punta della lingua, scivolavamo l'una nell'altra, sciogliendo le nostre carni. Esalando gli stessi respiri. Gli occhi socchiusi, mai serrati, per non perderci di vista: ci scorgevamo attraverso le ciglia.

Bella. Capelli neri nei miei pugni. Guance rosse che dovevi baciare, ma quando lasciavi le labbra, il vuoto faceva male come il contraccolpo di una pistola, ed eri stata tu a sparare per prima.

Colpa tua, Lena. Tremavo: gelatina in ogni parte, improvvisamente liquida. Ossa sottili. Fragili da spezzare. Ginocchia al collasso, mentre mi sorreggevi per intera e le tue braccia erano sostegno e trappola. Volevi salvarmi e farmi fuori, perché non avessi via d'uscita, fossi completamente tua, un corpo privo di volontà, incapace di trarsi indietro. E io volevo qualunque cosa. Volevo ciò che tu volevi, finché le tue mani avessero continuato a percorrermi e afferrare, non m'importava quale sarebbe stata la fine.

Le mie labbra fredde, annaspavano in tua assenza; e per quanto fossi vicina, con la bocca all'altezza del cuore, sentivo la tua mancanza. Ho abbassato lo sguardo, ne hai accusato il peso, mentre prendevi da me tutto quanto potessi prendere.

***

I tuoi polpastrelli mi scivolano addosso, tracciano ghirigori sulle cosce, di nascosto, sotto il banco; e periodicamente il palmo si ferma a riposare. Una pausa che posso concederti, se mi prometti – poi – di ricominciare. Eppure, stavolta, ti fermi all'improvviso. Non una parola. Non una promessa, solo la mia pelle tesa tra due dita, e il tessuto dei pantaloni non smorza il dolore: quasi gemo, quando mi pizzichi la coscia. Un gesto apprezzato, in altre circostanze, lontane da qui. Non posso scoparti in classe, sulla cattedra, davanti a tutta questa gente, come nei miei sogni.

FIDELIS AD MORTEMDonde viven las historias. Descúbrelo ahora