19. Saltello della felicità

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Percy aveva compreso fin troppo presto che le labbra di Akihiro sarebbero diventate la sua nuova dipendenza, battendo a mani basse gli Oreo alla vaniglia.

Erano sottili, rosse e dolci come la crostata alle ciliegie che preparava ogni sabato alla pasticceria.

Mugolò, fece un veloce saltello della felicità sul posto ed intrecciò saldamente le dita tra quei capelli corvini e lucidi come il manto di una pantera.

Quella relazione nata per caso, dopo un litigio per una camicia rovinata dallo champagne, stava procedendo per il meglio. Percy non voleva farsi da uccello del malaugurio perché preferiva di gran lunga farsi l'uccello che aveva Akihiro tra le gambe, ma sperava, internamente e da brava principessa che bramava disperatamente il suo lieto fine, che il chirurgo fosse finalmente quello giusto.  

Lo aveva invitato al matrimonio del suo amico, come suo accompagnatore. Era una cosa seria, vero?

E si era proposto volontariamente di andare con lui al brunch organizzato dalla matrona Megan McCallister. Insomma, era un vero suicidio, quello, eppure, aveva deciso lo stesso di andarsi a buttare insieme a Percy in quel nido pieno di serpi velenose.

Sospirò dal naso ed iniziò a strusciare lentamente il basso ventre contro quello del chirurgo.

«Percy...» mormorò Akihiro, stringendo la presa attorno alle sue natiche, coperte dal pigiama integrale da panda che aveva comprato un paio di giorni prima su Amazon.

L'avrebbe smessa, prima o poi, di spendere i suoi soldi in stupidaggini? Certo... che no.

«Akihiro», disse, scendendo con le labbra sul collo dove aveva già lasciato una sua piccola firma la sera precedente.

Il chirurgo emise uno strano verso, quasi simile ad un leggero ringhio, quando Percy gli baciò l'incavo del collo, spostandogli con il naso il colletto della camicia. Akihiro se lo fece più vicino e gli mise una mano tra i capelli.

«Fa caldo, Aki», borbottò Percy, prima di prendersi tra i denti una piccola porzione di pelle del collo del chirurgo.

Aveva sempre compreso la passione che avevano i vampiri per il collo. Potevano essere succosi.

Comprendetemi, la mia testa gira in senso antiorario.

«È colpa... del panda», rispose Akihiro, la voce incerta.

Percy ritornò a strusciarsi contro di lui. «Sì, ma io sto proprio ribollendo», rispose, leccandogli un lato del collo.

Percy, quando aveva gli ormoni, il testosterone e l'uccello su di giri, si comportava come una sgualdrina. Lo sapeva, ne era consapevole e non se ne vergognava.

«Penso che...»

«Non pensare, Aki. Sei uno che pensa troppo, agisci di istinto ogni tanto», lo interruppe Percy, spostandosi nuovamente con la bocca per mordergli il lobo di un orecchio.

Il respiro di Akihiro si mozzò e dalle sue labbra uscì nuovamente quel leggero verso ringhiante ed arrapante.

«Camera», ordinò, secco, spingendo Percy all'indietro.

Sulle labbra di Percy si distese un largo sorriso malizioso, il sesso che gli pulsava sotto al pigiama da panda; poi si morse il labbro inferiore ed Akihiro seguì attentamente quel gesto con le pupille dilatate per l'eccitazione, che gli resero gli occhi scurissimi, quasi come il colore dei suoi capelli.

«Mi piace quando fai l'autoritario, dottorino», affermò Percy, si girò di trecentosessanta gradi e fece nuovamente quel suo suo vergognoso saltello della felicità.

Il Mal Riuscito Where stories live. Discover now