29. Ansia di vivere

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Akihiro quando era immerso nel suo lavoro si creava attorno a sé una bolla di concentrazione che difficilmente poteva essere scoppiata.

Non appena zia Prudence aveva deciso di portare Karol a casa sua per farla riposare, dopo aver trascorso una mattinata piuttosto impegnativa, Akihiro aveva comunicato a Percy di avere un po' di lavoro arretrato che voleva portarsi avanti per il giorno lavorativo seguente. Il suo ragazzo, ovviamente, aveva deciso che da solo non voleva stare e che lo avrebbe seguito a casa così da poter preparare ad entrambi un pranzo tardivo ma che li avesse saziati dato che al brunch non avevano avuto modo di toccare nulla di quello che Megan McCallister aveva preparato.

Akihiro non aveva mai molto nel suo frigorifero, non era un gran mangione e per lo più consumava velocemente i suoi pasti in ospedale. Ma Percy aveva l'appetito equivalente a quello di un elefante, quindi prima di arrivare a casa di Akihiro si erano fermati a fare un po' di spesa per poter permettere a Percy di poter cucinare della pasta all'ortolana sorprendentemente buona e che il chirurgo non aveva mai mangiato in vita sua.

Dopo aver mangiato aveva lasciato Percy in cucina a lavare le stoviglie e si era messo davanti al pc. Percy non aveva voluto alcun aiuto perché aveva cucinato lui ed in base alla legge numero tre della Costituzione di nonna Florence Davis: "chi sporca pulisce".

Akihiro aveva poi chiesto quali erano le prime due leggi e Percy gliele aveva elencate.

Legge numero 1: il cibo non si butta mai.
Legge numero 2: ad ogni pasto ognuno deve portare in cucina le proprie stoviglie sporche, rischio, calci nel culo.

Percy aveva in seguito affermato che la Costituzione di Florence Davis aveva un numero di leggi pari a quella americana che con il tempo avrebbe snocciolato ad Akihiro una per una.

Di conseguenza, Akihiro, totalmente immerso nel suo mondo fatto di email di lavoro ed esami da controllare, non si aspettava improvvisamente la classica cacofonia di qualcosa che cadeva a terra ed andava in frantumi, il tutto seguito da un urlo addolorato che avrebbe risvegliato i morti.

«OHMIODIO! MORIRÒ!»

Akihiro si mosse così velocemente dalla sua seduta che la sedia si rovesciò all'indietro. Corse in cucina e lo spettacolo che si trovò davanti era al dir poco... tragicomico.

Percy era appoggiato contro il ripiano della cucina, un solo occhio aperto ma con sguardo afflitto, un canovaccio avvolto attorno alla mano destra, un bicchiere rotto ai suoi piedi e lo stesso colorito cinereo che aveva solitamente un morto.

«Ma cosa hai combinato?» chiese Akihiro, riuscendo a trattenere le risate perché quell'espressione era da immortalare con una fotografia.

Percy chiuse anche l'altro occhio e sospirò di dolore mentre stringeva la mano non ferita attorno a quella ferita mortalmente.

«Non lo vedi? Questa,» disse alzando la mano avvolta con il canovaccio, «sarà la causa della mia morte».

Akihiro roteò gli occhi al cielo e si avvicinò al moribondo. «Fammi vedere, forza. Sono certo che continuerai a vivere».

«Sono serio, Akihiro! Quando mai io sono serio? Significa che questa sarà l'ultima volta che vedrai questa bella faccia».

Akihiro alzò appena lo sguardo su Percy mentre gli toglieva delicatamente lo strofinaccio attorno all'arto in procinto di dover essere amputato.

«Vedrò ancora questa bella faccia, fidati», replicò con un borbottio.

Osservò con occhio critico il palmo ferito di Percy con ancora qualche residuo della schiuma prodotta dal detersivo per i piatti e gli chiese: «Come hai fatto a tagliarti?»

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