1.8. La venuta dell'Erede

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Due anime:
i loro nomi cancellati,
i loro destini indissolubilmente legati.

Le sabbie del tempo
fluiscono in un unico punto;
i granelli di sabbia
tornano sempre alla riva.

Si incontrano
Si scontrano
Si intrecciano...

sotto la luce della Luna notturna.

Le sabbie del tempo
sussurrarono il suo nome:

Deimos

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La luce soffusa e tenue della stella lontana faticò a entrare in quella stanza così solitaria e silenziosa, eppure ci riuscì nonostante le difficoltà; il suo splendore e la sua brillantezza dominarono sulle rovine oscure della notte, rendendo insignificante la piccola fiamma fioca della candela, rimasta accesa per tutta la notte.

L'uomo, seduto al contrario su una sedia in legno, sbuffò e sospirò, il suo sguardo ancora posato sul corpo apparentemente inerme del ragazzo disteso sul letto; si accarezzò il volto, finalmente libero dalla maschera, e la sua mente fu attraversata dai pensieri più disparati che riguardavano sia la sua incolumità sia quella della piccola comunità di persona riunite sotto l'unico nome di NeoResistenza.

Quale sarebbe stato il futuro dei rifugiati? Di tutte quelle famiglie che si trovavano lì soltanto per sfuggire all'ossessiva e crudele morsa della Congrega, di tutti coloro che ancora attendevano la venuta dell'Erede? L'OltreRegno, dopo il colpo di stato, non sarebbe più stato lo stesso e questo Tanato lo sapeva bene, era conscio dei rischi e dei vantaggi che comportava il rimettere insieme i pezzi di un puzzle tanto intricato, sapeva bene che questo percorso conduceva inesorabilmente alla Guerra.

Qualcuno bussò alla porta della stanza, ancora chiusa.

"Avanti," diede il permesso Tanato.

"Si è svegliato?" era una donna sulla trentina, capelli corti a caschetto e occhi verde smeraldo. "La Cerimonia non può cominciare senza di lui."

Si riferiva ovviamente a Deimos Atreides, disteso sul letto e ormai addormentato da più di tre giorni.

L'espressione crucciata che gli si cucì in faccia non testimoniava affatto tutta la noia che provava in quel momento; a furia di udire sempre la medesima ramanzina dai suoi pari ne era diventato apatico e non gli importava più nulla; il suo lavoro era portare Deimos lì e l'aveva fatto senza fiatare, il resto non era più di suo interesse.

"Sì, sì, Ash," schioccò la lingua, "ho capito. Non posso farci molto comunque. Non potevo immaginare che avesse un fisico tanto debole."

La donna si portò le mani sui fianchi, con disinvoltura, e sbuffò. "Sei sempre il solito, non è vero? Forza, sveglialo! Non abbiamo tempo da perdere."

"Ci abbiamo già provato con i metodi tradizionali," si grattò la guancia, "non vorrai mica che usi il mio potere per risvegliarlo? Puoi scordartelo."

"Non dipende da me, T.," mise le braccia conserte, appoggiandosi alla porta, "lo sai quanto siano volubili gli Anziani. Inoltre, la Cerimonia è oggi e sai meglio di me che non può essere spostata. Se è lui l'Erede, allora non può mancare. Potrebbe essere un'occasione unica, tu lo sai bene."

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