capitolo-11

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Yoongi's pov

Osservai di nascosto il suo volto.

Aveva gli occhi gonfi, pronti a scoppiare in un pianto, eppure non lasciava scorrere sulle sue guance nessuna lacrima.

La scena a cui avevo assistito poco fa ancora mi scioccava, non potevo smettere di pensarci.

Quando vidi Jimin stretto tra le braccia di una ragazza violenta, che sembrava spaventarlo più che eccitarlo, mi ero sentito tutto un fuoco dentro. I tratti del suo viso facevano capire quanto fosse atterrito da quella donna, gli spasmi muscolari del suo corpo trasmettevano l'ansia. Mi chiedo solo chi sia stato il coglione a lasciarlo con quella sottospecie di spazzatura umana.

Kyong la conoscevo bene, molto bene anzi. Per me è sempre stata come una sorella, sapevo tutto di lei, ogni sfaccettatura. Avevamo riso, pianto e sorriso insieme. Ma come sempre le cose belle non durano mai. Dopo sette anni di amicizia, mi tradì, cercando di ammazzarmi. Ricordo ancora i suoi occhi iniettati di sangue, le lacrime sul viso dove un'espressione folle ricopriva come una maschera la ragazza che conoscevo.

Rivederla dopo quasi due anni faceva male, ma il dolore che aveva inflitto a Jimin copriva tutto quello che provavo.

Lui era stato gentile con me alla fine, anche se odio ammetterlo. Mi aiutò moltissimo parlare con qualcuno del mio problema. Mi era sembrato così forte per riuscire a rivolgermi la parola quando nessuno ne aveva il coraggio. Eppure anche i più forti hanno i propri demoni, e ho modo di pensare che il suo sia proprio Kyong.

-Ehi...- dissi insicuro su una sua possibile risposta.

-Hmm?- lo sentii tirare su con il naso prima di voltarsi verso di me.

-Stai bene?- che domanda patetica.

-Assolutamente- lo guardai disperato, con un'espressione di apprensione in viso, portai due dita sotto il suo mento e lo costrinsi a posare i suoi occhi nei miei.

-Ripetilo guardandomi-

-Sto benissimo... Lei è solo una compagna di scuola...-

-Jimin, non mentirmi-

-Io... ok... sto uno schifo, è orribile, anche tu ti sei confidato con me, quindi non puoi reputarmi debole, ok? Ok?-

-Si, calmo però, fai un respiro, prima usciamo da qui, poi mi racconti... ti porto in un posto che conosco-

Lo presi per mano, senza esitazione, non aspettando una sua risposta, e iniziando subito a correre fuori da quel locale, che ormai mi faceva sentire in trappola.

Oltrepassai la reception, dimenticandomi delle nostre giacche, tanta era l'ansia, e mi diressi a passo spedito lontano dalle luci stroboscopiche alla ricerca di aria pulita.

I lampioni accessi gettavano ombre grigie sulla strada asfaltata, circondata da piccoli locali e bar notturni che trasmettevano alla radio dolci canzoni che ammaliavano la mente.

Strinsi più forte la sua mano, sentendo una strana agitazione alla sensazione del nostro contatto

Ero quasi emozionato.

Mi fermai all'improvviso, realizzando di essere arrivato a destinazione

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Mi fermai all'improvviso, realizzando di essere arrivato a destinazione.

Di fronte a noi si estendeva il mare immenso. Lo scrosciare dell'acqua ci riempiva le orecchie. Le onde si infrangevano sulla sabbia sottile e fredda, per poi tornare a nascondersi e morire. La schiuma bianca arrivava a lambire fino a un metro di costa, bagnandoci leggermente le scarpe.

Il cielo era sereno, un blu scuro copriva i piccoli dettagli della spiaggia, che anche se al buio ci stavano sicuramente osservando, mentre spensierati tiravamo su le teste e ammiravamo le stelle notturne.

Nessuno veniva mai in quella piccola spiaggia, probabilmente perchè era troppo difficile da raggiungere con la macchina e i parcheggi erano troppo costosi, o semplicemente perchè si estendeva per pochi metri e la spiaggia era circondata da rovi e cespugli.

Per me invece quello era un rifugio, e se Jimin si doveva confessare quello era il luogo perfetto per farlo.

-Parla allora, tranquillo non ti giudico-

-Be... Lei... credo che già la conosci, comunque...- e con voce spezzata e insicura mi fece un resoconto di quelli che erano stati i suoi ultimi mesi all'università, segnati dalla presenza demoniaca di quella donna.

Guardava l'orizzonte lontano, evitando il mio sguardo fino all'ultimo. Non appena pronunciò l'ultima parola si girò verso di me, cercando un'espressione di scherno che non trovò mai.

Non importava se si era lasciato sottomettere così facilmente da una ragazza, non credevo negli stereotipi. Una donna non è sempre la figura da proteggere e l'uomo non è sempre aggressore, a volta anzi può diventare vittima.

Probabilmente in questi è più difficile dichiarare le violenze subite, per mantenere una certa dignità e non essere preso di mira come quello che non riesce ad essere "forte".

Strinsi il suo corpo con le mie braccia, cercando di trasmettergli il senso di protezione che cercavo io ogni giorno.

Una mia mano andò a finire attorno alla sua vita, l'altra sulla schiena, iniziando a fargli dei piccoli grattini e delle delicate carezze. Lasciai che posasse il suo viso nell'incavo del mio collo, iniziando a piangerci contro.

Ogni sua lacrima diventava più potente e significativa, ogni singhiozzo che passava il suo corpo di scioglieva sempre di più, lasciando da parte la tensione e divenendo semplicemente il Jimin che avrebbe dovuto essere.

Un ragazzo che può piangere e ridere come molti altri, che può provare dolore e non ha bisogno di mentire a sé stesso per fare un favore agli altri.

Iniziai a sentirmi a disagio, da una parte volevo accarezzarlo e rassicurarlo, dall'altra non volevo che me ne importasse così tanto di lui. Alla fine quindi scelsi l'indifferenza.

Fu Jimin a muoversi.

Si appoggiò alla mia spalla, piangendoci contro e stringendomi disperato il braccio.

Sentivo l'imbarazzo crescere in me e il nervosismo mi fece muovere scomposto, cercando della pace da quel contatto inaspettato.

Alla fine guardai un'altra volta il suo viso, che si strusciava sulla mia maglia cercando di scacciare le lacrime, e feci l'unica cosa che ero in grado di fare.

Presi il suo viso rudemente, come ero solito fare, strinsi le sue guance bagnate e senza esitare poggiai le labbra sulle sue, iniziando un bacio fatto di lingue e saliva.

Il suo muscolo rincorreva il mio, leccandolo e non appena ripresi il controllo del bacio, gli succhiai la lingua, creando un suono bagnato osceno. Le mie mani andarono a stringere il suo collo, facendo pressione con due dita sulla carotide, togliendogli per alcuni secondi il respiro.

Graffiai la sua pelle, mentre con l'altra mano andai a rimuovere le lacrime dai suoi occhi.

I solchi della sua lingua creavano un contrasto stupendo, rispetto alle labbra lisce, e tutte le sensazioni che iniziai a provare mi intrappolarono in quel bacio.

La lussuria per il calore che mi donava nel basso ventre, la furia che mi arrivava ad ondate mentre prendevo il controllo e la trepidazione di continuare fino all'infinito.

Tirai la sua lingua, iniziando ad intrecciarle fuori dalle nostre bocche, per poi riportarla nella sua.

Era tutto troppo e i suoi piccoli piagnucolii soddisfatti, che coprivano i singhiozzi accennati, mi eccitavano, un fuoco lambiva ogni punto del mio corpo che era stato toccato dalle sue mani.

Forse mi stava piacendo troppo e avrei dovuto smettere subito, ed io lo sapevo.

Eppure rimanemmo a baciarci tutta la notte, lasciandoci verso le tre di mattina.

ᴍᴀғɪᴀ- уσσимιиWhere stories live. Discover now