capitolo-43

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Yoongi's pov

Mi avviai mogiamente verso il condominio di Jimin, mentre volgevo lo sguardo a ciò che mi circondava.

Busan rimaneva tranquilla a guardarmi, sembrava volermi dare la possibilità di pensare a ciò che erano le mie decisioni, senza presentarmi distrazioni. Le auto parcheggiate sui cigli delle strade rimanevano mute mentre delle goccioline di pioggia le bagnavano, creando una melodia scrosciante. I rivoli di acqua rotolavano sulle loro cofani lucidi, per poi raggiungere l'asfalto. Sul marciapiede bagnato si vedeva il riflesso delle foglie arancioni sugli alberi, mentre le panchine divenivano pregne di liquido. Le pozzanghere ai miei piedi tamburellavano come colpi di pistola, quando venivano colpite dalla pioggia e l'erba ticchettava ritmicamente sotto il peso delle gocce.

Mi voltai quel tanto che bastava per poter rivedere la panchina sul quale mi ero seduto poco prima, ripensando alle parole di Kyong

Forse avrei dovuto veramente fidarmi di lei, lasciarle un'ultima possibilità. Non era mai stata colpa sua di ciò che era successo, di ogni sopruso. Lei era una delle vittime che il Capo aveva creato, che stava distruggendo lentamente da dentro. Io stesso ero semplicemente terrorizzato da quella figura, come poteva lei conviverci per me era un mistero. Kyong più di tutti conosceva il dolore che si celava dietro l'organizzazione del padre, ne riconosceva i danni e non poteva che rimanere anche lei ferita. Avevo sempre vissuto per me stesso, cercando la mia sopravvivenza senza però rifugiarmi nella paura di venir ucciso, quando sentii di star assaggiando nuovamente la vita con Jimin, capii che ormai io rimanevo in vita per il mio angelo. Per la ragazza era lo stesso d'altronde, ogni nostro momento, le nostre memorie la assalivano portandola a soffrire e a non riuscire a morire. Per una donna che aveva così tanto da darmi, come la sua sopravvivenza, avrei potuto veramente dare una terza possibilità? Probabilmente sì e proprio per questo la lasciai sulla panchina con l'unica certezza che avrebbe potuto cercarmi nuovamente.

Sbuffai, stringendo le nocche fra le mani così da farle scricchiolare e riprendere controllo dei miei movimenti. Mi massaggiai il collo con i polpastrelli, provando a fare ordine fra i miei pensieri. Ormai, però, era da tempo che non facevo altro che continuare a rimembrare e rimuginare su ciò che mi circondava.

La pioggia, lentamente, sembrò rallentare la propria discesa, divenendo sempre meno fitta. Le gocce che mi avevano colpito il viso iniziarono ad asciugarsi e potei finalmente riprendere il mio cammino con rapidità, senza la paura di poter scivolare.

Mancavano quasi cinque minuti al mio arrivo all'abitazione di Jimin, quando nel mio stomaco si iniziò a far spazio una nuova emozione: l'ansia. Elaborai mentalmente le mie sensazioni, arrivando alla conclusione che quel sentimento di preoccupazione sempre maggiore dovesse essere collegato al mio avvicinamento alla casa di Jimin. Feci un salto temporale tra il passato vissuto ed immagazzinato nella memoria ed il momento attuale che stavo vivendo, ritrovandomi a rivivere le emozioni che provai il giorno in cui vidi la polizia di fronte a casa mia, pronta a prendere quello che era il mio rifugio. Uno strano disagio si impossessò del mio corpo, ma cercai di non farci caso.

Non vi erano figure affianco a me, eppure sentivo di essere inseguito. Nuovamente i miei mostri iniziarono a comparire dalla terra, seguendo ogni mio passo senza riuscire a raggiungermi. Accelerai la mia camminata, trasformandola in una corsa. Le mie braccia si muovevano cercando di equilibrare i passi delle mie gambe, portandomi a procedere in modo confuso.

"Non possono essere arrivati i poliziotti" pensai nella mia mente, cercando di convincermi di ciò che avevo appena immaginato. Eppure ero certo che quel silenzio particolare che caratterizzava, le auto che non correvano sulle carreggiate e le persone che non uscivano di casa, fossero un segnale. Qualcuno era stato lì prima di me, ne ero certo.

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