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Quanto avrei voluto raccontare a Marco quella preoccupazione di poter uscire da un momento all'altro. Ma ora, in questo momento, sarebbe inutile. Il mio cervello ha già archiviato quel momento, non ricordo neanche più bene cosa avessi detto alla maestra. L'eliminazione immediata di qualcosa che ho detto -e non scritto come succedeva-, inizio a preoccuparmi sull'amnesia. Forse si sarà espansa? Starà peggiorando? Molti medici e dottori dissero che non era in stato di fermo, eppure io ci speravo. Pensavo che fosse passato, non avrei letto e il problema si sarebbe risolto. Eppure non è così.

Eppure, quanti eppure nella mia vita. 

Come se non tutto questo bastasse sono arrivata all'apice della disperazione. Sono sempre stata un ottima ascoltatrice, lo sanno tutti. Mi piace ascoltare i problemi altrui, come per dimenticare i miei. Non ho mai commentato o giudicato. Non ho mai sorvolato i loro problemi pensando che i miei fossero superiori e non ho mai risposto con un "eh, pensa che io ho questo e quant'altro". Mai. Penso sia una delle maggiori forme di maleducazione.

Ma in quel momento, con Vera, quando ascoltai la sua delusione, nello scoprire la verità, mi è uscita una frase. "Tu sei Wendy, puoi vivere senza Peter? Questo sappiamo che è possibile, ma sappiamo se Peter possa vivere senza Wendy? Non proprio ma tutti sappiamo che Peter tiene il ricordo di Wendy nel suo cuore." Iniziai a sentirmi questa frase così vicina. Ho sempre sperato che Roberto ci avesse lasciato per proteggerci da qualche cosa, che si ricorda di noi, che ci tenesse. Ma non credo sia così, non si è mai più fatto sentire, non sappiamo neppure se sia vivo o morto.

La ciliegina sulla torta si è posata questo pomeriggio, quando Elena entra in sala sorridente. Non avevo capito inizialmente il suo arrivo. Dovevamo autocoreografarci, forse voleva vedere le prove? Però la donna mi dice che avremmo montato una nuova coreografia, non sapeva quando l'avrei portata, però aveva specificato che glielo aveva chiesto la maestra. In un primo momento mi ha fatto ascoltare la canzone per capire che sensazioni mi avrebbe trasmesso. Non avevo riconosciuto immediatamente la canzone, ma la voce di Tiziano Ferro rimbombava tranquilla nella sala. Solo quando risuonò il ritornello avevo capito la canzone: La mia prima festa del Papà.

Non avevo forze di far altro se non urlare, con poca voce ho chiesto ad Elena di poter uscire dalla sala e lei ha acconsentito. Mi ero chiusa in un bagno della sala Relax e ho urlato. Un urlo a squarciagola, così forte che mi ritrovai tremante, con le lacrime agli occhi ma che non aveva coraggio di scendere. Non potevo essere debole per uno come lui. Mai. Mai nella mia vita sarei dovuta essere debole per lui. Mi ripetevo questo. Una sequenza di mai.

Qualcuno sentendo il grido è corso in bagno, avrei riconosciuto quella voce tra mille. "Dea? Tutto bene?" Solo lei, all'interno della casetta, avrebbe potuto chiamarmi Dea, solo lei. "No" rispondo sinceramente buttandomi fra le sue braccia. Quelle braccia che mi avrebbe accolto sempre. Nel bene nel male. "Che succede?" Sussurra piano stringendomi con delicatezza. Qualche suo capello mi arriva in faccia ed altri sul collo provocando un leggero solletico. "Ho sbagliato tutto" rispondo. Risposta troppo generale. Per quanto mi capisse e sia riuscita ad entrare in quella bolla. Si quella fantomatica bolla in cui mi rifugiavo all'inizio. Non avrebbe intuito il mio problema. "Ho pianto per lui" dico poi. "Marco?" Chiede prevenuta, già pronta a fargli qualche ramanzina come suo solito. "Ma che Marco, Roberto" non potevo chiamarlo in altro modo se non col suo nome.

Rita mi prende il viso tra le mani e mi asciuga qualche lacrima, "ti va di parlare?" Nego. "Quando mai" risponde ironica. Almeno mi ha strappato un sorriso. "Dai. Parla con marco per lo meno. Almeno a lui. Sai quanto tiene a te e gli piacerebbe sentirti raccontare qualcosa" mi da delle dolci carezze sul viso.

Spesso mi ritrovo a chiedermi come farei senza di lei.
Non avevo mai immaginato che una perfetta sconosciuta potesse entrare nella mia vita e poi diventare indispensabile.

"Rita, ti voglio dire una cosa" la blocco sul momento sedendomi sulla panca e lei fa lo stesso. "Sai quando sia difficile per me esternare i miei sentimenti. Sai che tu sei diventata una colonna portante, non del mio percorso, ma della mia vita. Però c'è una cosa che non ti ho mai detto. Oso a dirti che me ne pento, me ne vergogno proprio. Avrei dovuto farlo prima. Riri ti voglio bene" ammetto con sincerità prima di abbracciarla.

Non mi faccio abbracciare da molte persone, ma se ho il bisogno di sentirmi delle braccia circondare il mio corpo so con certezza che quelle braccia possono essere solo le sue.

Angolo autrice
Questo capitolo quanto corto che sia mi piace molto. Volevo lasciare spazio a Rita, per onorarla del suo percorso. È da mercoledì che sono invasa di tristezza solo perché la mia, nostra, Riri, dovrà uscire.

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