Il Castello Nero

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Man mano che i nostri cavalli trottavano verso le irte guglie in lontananza, la luce calava sempre di più, lasciando spazio alle ombre sempre più fitte.

«C'è un fiume?» domandai sottovoce, udendo il rumore di acqua scosciante farsi via via più forte, tanto da coprire anche l'ululare del vento.

«Sì, il Castello venne costruito sulle rapide di un fiume... i traditori del regno venivano gettati in pasto ai flutti e divorati dalle creature marine che li abitavano. Ora, però, anche le acque sono morte: nessuna creatura abita più i fondali di Velias dai tempi della guerra» mormorò Domhnall in risposta.

Rabbrividii e, osservando la desolazione di cenere tutt'intorno a me, mi domandai come sarebbe stato quel luogo se non fosse mai stato raso al suolo: immaginai un'immensa città, caotica e rumorosa; fumi uscire dalle botteghe e venditori che strillavano, sporgendosi dalle bancarelle; fate affaccendate per la strada e carretti colmi di carne e verdure che provenivano dalle campagne... e una lunga strada dritta che conduceva al palazzo reale, il quale dominava sulla città con le sue temibili e imponenti guglie – non nere, ma di un bianco accecante, che rilucevano come diamanti sotto il sole caldo dell'estate.

Sbattei le palpebre e, invece che l'allegria della capitale di un regno prospero, mi trovai ad osservare una landa desertica, nera e silenziosa.

Proseguimmo fra cumuli di cenere e ammassi di roccia fusa e attraversammo avvallamenti che, probabilmente, una volta erano stati fossati, avvicinandoci sempre di più alla scura costruzione che svettava minacciosa verso il cielo.

«Una volta, questo castello era l'opera più magnifica mai creata dalla nostra razza. Le torri erano d'oro fuso e potevano essere viste da centinaia di chilometri di distanza, mentre il palazzo era immerso nella vegetazione più lussureggiante, secondo il volere del Vecchio Sovrano delle Fate. La natura e l'architettura coesistevano tanto che le colonne portanti della sala del trono erano costituite dai tronchi immensi di sequoie giganti... e quegli alberi erano vivi, sintonizzati con la mente del Sovrano» mormorò Domhnall con voce sognante, per poi aggiungere: «Avreste dovuto vederlo; le parole non rendono giustizia alla magnificenza che possedeva questo luogo».

Quando infine raggiungemmo il castello, scoprii che esso si erigeva su uno sperone di roccia nera a picco su un fiume. Le acque sottostanti mulinavano con talmente tanta ferocia che mi domandai come fosse possibile che il faraglione non fosse stato inghiottito dai flutti, e la schiuma biancastra delle onde spumeggiava verso l'alto raggiungendo quasi la base del castello.

Nel buio della notte, la costruzione era terrificante: le guglie nere parevano spade innalzate verso il cielo, verso quegli dèi che avevano permesso tanta distruzione; torrette crollate e ponti distrutti, invece, conferivano un aspetto lugubre e triste a quello che una volta era stato il cuore del regno.

I nostri cavalli procedettero in fila indiana lungo lo stretto passaggio roccioso che conduceva al castello ed io non riuscii a non guardare in basso: oltre il bordo sconnesso, un centinaio di metri sotto il punto in cui mi trovavo, le acque torbide rumoreggiavano minacciose, e la schiuma bianca delle onde si sollevava verso di me in centinaia di mani pronte a ghermirmi e trascinarmi sotto.

I cavalli procedettero lenti e irrequieti, sbuffando e nitrendo di tanto in tanto, ma alla fine ci permisero di raggiungere incolumi il Castello Nero.

«Benvenuti a Velias, capitale distrutta di un regno in declino» sentenziò Daireen, e vidi Alistair rabbrividire vistosamente alle parole della Principessa.

Smontammo dalle selle e i miei piedi affondarono in un sottile strato di cenere, che attutì il mio salto come se fossi atterrata su un morbido tappeto. Ci dirigemmo in un religioso silenzio all'ingresso del Castello, sollevando nuvolette di cenere grigia che fluttuavano nel vento infido della notte, e ci fermammo di fronte all'immenso portone, squarciato e pericolante.

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