Signora dei Morti

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Quella mattina faceva un caldo torrido.

Il sole inondava il villaggio e le campagne limitrofe, bruciando i raccolti e soffocando gli abitanti con il suo calore, e non una nuvola solcava il cielo di un eccezionale colore blu elettrico.

L'aria era resa fosca dalla calura e l'orizzonte tremolava lontano, ondeggiando come un miraggio nel deserto.

I giorni trascorsi nella Foresta di Sangue mi avevano abituata alle basse temperature, visto l'innaturale freddo di quel luogo, e ritrovarsi improvvisamente a sudare copiosamente nel percorrere meno di dieci metri fu per me uno shock.

«Quando odio queste temperature» mi lamentai, arrancando dietro a Labhraidh e cercando inutilmente di schermarmi gli occhi dai raggi solari.

«Avrei dovuto portarmi gli occhiali da sole» borbottai di nuovo, fiondandomi sotto un albero e cercando refrigerio nella sua ombra.

«Dai, principessa, tieni duro. Siamo quasi arrivati» mi prese in giro il mio migliore amico, ed io, sollevando lo sguardo, mi accorsi che aveva ragione: un centinaio di metri più avanti, fra l'erba secca e ingiallita di un campo, vi era una folla di persone in attesa.

Gli occhi di tutti erano puntati in basso, lungo un dolce pendio che conduceva al fiume, e solo il frinire delle cicale disturbava la quiete di quella giornata estiva.

«Ha già fatto la sua magia?» sussurrò concitatamente Labhraidh accostandosi a Grania.

La donna, che quel giorno indossava un leggero abito verde bosco dalle spalline sottili, negò con la testa: «È ferma in quel punto da almeno un quarto d'ora, non so cosa stia facendo».

Seguii il suo sguardo e, finalmente, la vidi: Saraid era inginocchiata sulla riva del fiume, con la testa china e le mani affossate nella terra. I suoi capelli scuri erano riversi sulla sua schiena come una cascata e creavano un violento contrasto con il vestitino bianco che indossava, che in quel momento svolazzava debolmente al vento.

«Cosa dovrebbe succedere ora?» mormorò eccitato Labhraidh, con gli occhi luccicanti di trepidazione fissi sulla mia antenata, «Il cielo si farà oscuro e i morti emergeranno dalle ombre? Oppure... non ho capito se comanda gli scheletri o...» interruppe la sua filippica, spostò lo sguardo verso i suoi piedi e... gridò.

«Che cazzo... mi ha preso! Mi ha preso!!» strepitò, scalciando come un mulo e dimenandosi al mio fianco.

«Cosa stai combinando, razza di idiota?!» ringhiai, osservando il modo in cui tutti gli astanti ci stavano fissando.

«Rowan, toglimelo, toglimi questo...» iniziò e, scrollando la gamba come se avesse un incontrollabile spasmo, scagliò qualcosa di bianco in aria.

Osservai la cosa volteggiare sullo sfondo blu del cielo e la vidi ricadere a terra, fra l'erba secca come paglia... e iniziare a muoversi.

«È una mano, Cristo Santo!» strillò Labhraidh, orripilato.

Osservai le dita scheletriche, mummificate e giallognole, muoversi fra le spighe di grano come se avessero vita propria e poi la mano iniziò a strisciare sull'erba.

Qualcuno poco lontano gridò e, ben presto, agli strilli si unirono le imprecazioni: il campo nel quale eravamo tutti riuniti si era trasformato in un terreno brulicante di ossa, le quali rotolavano o strisciavano come larve bianche in un nido.

Io e Labhraidh ci riparammo sotto un salice e, spiando fra le fronde cariche di foglie dell'albero, vedemmo il modo terrificante in cui i cadaveri ripresero vita: udimmo lo schiocco delle ossa che tornavano insieme, unite da legamenti di fumo, osservammo i morti sollevarsi in piedi e camminare incerti e poi via via sempre più sicuri, come se stessero acquisendo conoscenza dell'ambiente circostante.

Terre LontaneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora