Capitolo 26

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Sputo le bacche, pulendomi la lingua con l'estremità della camicia per assicurarmi che non resti del succo. Louis mi tira verso il lago, dove entrambi ci laviamo abbondantemente la bocca con l'acqua e poi crolliamo l'uno nelle braccia dell'altro.

«Ne hai inghiottita qualcuna?» gli domando.

Lui scuote la testa. «Tu?»

«Credo che sarei già morto, se l'avessi fatto» ribatto. Lo vedo muovere le labbra mentre risponde, ma non riesco a sentirlo, sovrastato dalle urla del pubblico di Capitol City trasmesse in diretta dagli altoparlanti.

Sopra le nostre teste compare l'hovercraft, calano due scalette, ma non c'è verso di farmi lasciare Louis. Tengo un braccio intorno a lui mentre lo aiuto a salire e mettiamo ciascuno un piede sul primo gradino. La corrente elettrica ci immobilizza e questa volta sono contento, perché non sono tanto sicuro che Louis possa reggere per l'intero tragitto.

Avevo gli occhi rivolti verso il basso e così vedo che, anche se i nostri muscoli sono bloccati, nulla impedisce al sangue di sgorgare dalla gamba di Louis. Infatti, nell'istante in cui la porta si chiude dietro di noi e la corrente si arresta, lui crolla a terra svenuto.

Le mie dita stanno ancora stringendo con tanta forza un lembo della sua giacca che quando lo portano via quella si strappa e io mi ritrovo con un pugno di stoffa nera in mano. Medici in tenuta sterile, bianca, con mascherine e guanti, già preparati per operare, entrano in azione. Louis è pallido e immobile sul tavolo argenteo, con tubi e cavi che gli escono da tutte le parti, e per un istante mi dimentico che siamo usciti dall'arena e vedo i medici come un'altra minaccia potenziale, un altro branco di ibridi congegnati per ucciderlo. Terrorizzato, mi lancio verso di lui, ma vengo trattenuto e spinto in un'altra stanza, mentre una porta di vetro si chiude ermeticamente tra di noi. Tempesto il vetro di pugni, urlando come un matto. Tutti mi ignorano, eccetto un inserviente di Capitol City che compare alle mie spalle e mi offre da bere.

Mi lascio cadere sul pavimento, col viso rivolto alla porta, fissando il bicchiere di cristallo che ho in mano. È gelido, colmo di succo d'arancia, con una cannuccia decorata da un collarino bianco increspato. Come sembra fuori posto nella mia mano insanguinata, lurida, con le unghie incrostate di sporcizia e le cicatrici. L'odore mi fa venire l'acquolina in bocca, ma poso il bicchiere sul pavimento con cautela, non fidandomi di qualcosa di così pulito e grazioso.

Attraverso il vetro, vedo i medici che lavorano febbrilmente su Louis, con le fronti corrugate per la concentrazione. Vedo il flusso dei liquidi scorrere nei tubi, osservo una parete con quadranti e luci che per me non hanno alcun significato. Non ne sono sicuro, ma credo che il suo cuore si fermi due volte.

È come essere di nuovo a casa, quando ci portano un uomo spaventosamente dilaniato da un'esplosione in miniera o una donna al suo terzo giorno di travaglio o un bambino affamato che lotta contro la polmonite: mia madre e Gemma hanno la stessa espressione sul viso. Questo è il momento di fuggire nei boschi, di nascondermi sugli alberi, finché chi soffre non è morto e, in un'altra zona del Giacimento, i martelli preparano la bara. Ma sono trattenuto qui, non solo dalle pareti dell'hovercraft, ma da quella stessa forza che trattiene i familiari del moribondo. Quante volte li ho visti intorno al nostro tavolo di cucina e ho pensato "Perché non se ne vanno? Perché rimangono a guardare?".

Ora lo so. È perché non c'è scelta.

Sussulto quando scorgo qualcuno che mi fissa a pochi centimetri di distanza, poi mi accorgo che è il mio stesso viso riflesso nel vetro. Occhi allucinati, guance scavate, i capelli ridotti a una matassa aggrovigliata. Rabbioso. Inselvatichito. Pazzo. Non mi meraviglia che tutti si tengano a distanza di sicurezza da me.

Poi capisco che siamo atterrati sul tetto del Centro di Addestramento e che stanno portando via Louis, lasciando me dietro la porta. Inizio a lanciarmi contro il vetro, gridando, e credo di aver scorto dei capelli rosa – dovrebbe essere Lady Germanotta, dev'essere lei che viene in mio soccorso – quando sento un ago che mi trafigge una spalla.

Stay Alive [Hunger Games - Larry Stylinson version]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora