Capitolo 1

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Anno 15 p.f. (post fusione)

Correva, amava tanto correre e fuggire, quanto odiava quei vestiti scomodi che le impedivano di andare alla velocità che avrebbe potuto facilmente raggiungere. Con entrambe le mani raccolse più stoffa possibile delle ampie gonne che le fasciavano le gambe e si lanciò un'occhiata dietro le spalle, per sicurezza, non che ci fosse qualcuno che potesse mantenere il suo ritmo.

Quando giunse al muro di pietra, si guardò un'ultima volta dietro le spalle e poi su, verso il limite di quel divisorio.

Si arrotolò le gonne fin sopra i fianchi, mettendo in mostra le gambe magre e un paio di pantaloni che non le appartenevano, e iniziò ad arrampicarsi. Con le dita sottili riusciva a sfruttare anche le più piccole fessure tra le pietre e, con agilità, raggiunse la cima del muro. Da lì il mondo le si stendeva sotto i piedi, si sentiva padrona non solo della sua vita, ma dell'umanità intera. Il vento le mosse i lunghi capelli color rame che si aprirono sulle spalle come un mantello. Con gli occhi scrutò l'isola ai suoi piedi e se ne innamorò ancora una volta, come era accaduto il giorno precedente e quello prima ancora. Allargò le braccia, socchiuse gli occhi ed inspirò l'aria fresca che proveniva dal bosco oltre il muro. Sentì il profumo della resina mischiarsi a quello del fumo che impregnava i suoi vestiti e lasciò che la mente si liberasse del fuoco che le ardeva sempre intorno, come un monito di ciò che aveva compiuto quando era stata appena una bambina. Riaprì gli occhi e buttò fuori l'aria di resina e fumo, fuliggine e corteccia ferita.

Si sedette soddisfatta e si girò mostrando un sorrisetto compiaciuto a chiunque aveva provato a seguirla, ma che non era ancora nemmeno arrivato in prossimità del muro.

Saltò giù, con ancora più agilità di quando era salita, e si spolverò con disinvoltura le mani. Esplorava quel mondo oltre il muro quasi ogni giorno, si arrampicava e saltava giù come fosse una pratica comune quella di scavalcare quel particolare divisorio.

Fece un paio di passi in avanti, ma si dovette fermare non appena si accorse di non essere sola. Percepiva uno sguardo su di sé e non si sbagliava mai quando si trattava di presentimenti o intuizioni.

Si voltò piano e, quando lo vide, inarcò un sopracciglio.

«Salve», un ragazzo dai capelli bruni, scompigliati, con dei fili d'erba nel mezzo, come se si fosse addormentato sdraiato a terra, occhi color corteccia, capaci di confondersi con il tronco che gli sorreggeva la schiena, e sorriso incerto, la salutò, chiudendo il libro e posandolo sulle gambe.

In quel bosco non aveva mai trovato nessuno. Lei scavalcava il muro, esplorava quel grande giardino e poi tornava indietro. Mai le era capitato di incontrare qualcun altro. Mai prima di allora.

Inclinò la testa e studiò con più attenzione il ragazzo, il quale, sentendosi sotto lo sguardo di lei, aderì di più con la schiena al tronco. Quell'imponente albero gli dava sicurezza, come fosse stato un suo amico massiccio pronto a proteggerlo. Si sentiva ridicolo a giudicare un albero amico, suo fratello lo aveva deriso la prima volta che si era lasciato sfuggire il suo affetto per il bosco, ma non poteva negarlo, lui amava quel posto e la sensazione di benessere che gli trasmetteva.

Dopo un minuto, o forse un paio, la ragazza corrugò la fronte e storse la bocca.

«Non eri nei miei piani», sentenziò quasi con disprezzo. Si avvicinò con lunghe falcate al ragazzo e si piegò su di lui, come se appartenesse a una specie in via d'estinzione e dovesse memorizzarne più particolari possibili prima di perderla di vista per sempre.

«Nemmeno una ragazza che salta giù da un muro era nei miei piani», rispose lui leggermente stizzito. Non gli era mai capitato di incontrare una ragazza come quella. Non per i capelli color rame che le ricadevano sulla schiena fino alla vita, non per gli occhi color rubino o per le guance macchiate di lentiggini, bensì per quei pantaloni che nascondeva sotto le gonne, per il modo in cui si rivolgeva a lui e per la fuliggine che copriva parte di quelle lentiggini. Non era di certo una ragazza dai modi gentili, né, tantomeno, una ragazza comune.

Lei era diversa sotto ogni aspetto, ma non sembrava curarsene o preoccuparsene. Anzi, lo guardava come se quello fuori posto fosse lui.

«Chi sei?», gli chiese, sempre con lo stesso tono accusatorio, e lui si sentì in dovere di alzarsi in piedi e mostrarsi in tutta la sua altezza, anche se era più basso della media.

Si spolverò i pantaloni con una mano, mentre nell'altra stringeva un libro. Il tempo che bruciò le stelle, il suo libro preferito, da cui non si separava mai, nemmeno quando doveva lasciare la casa per dei giorni. Lo nascondeva sempre nella tasca della giacca e, quando aveva occasione, lo tirava fuori e ne leggeva qualche riga.

«Vuoi conoscere il mio nome o vuoi sapere che genere di persona sono?», domanda legittima. Il nome, per quanto gli riguardava, non era altro che un'etichetta acquisita alla nascita da genitori che di lui non potevano ancora sapere nulla.

«Stai cercando di sembrare colto o semplicemente stai provando a prendere tempo per inventarti una storia plausibile sul tuo passato?», lei piegò l'angolo della bocca, sembrava non essersi nemmeno accorta che quel ragazzo si era alzato per provare a dimostrarle di essere più forte. Impossibile, nessuno era più forte di lei. Nessuno.

Il ragazzo allargò il braccio e le fece segno di seguirla, lei non se lo fece ripetere un'altra volta, gli andò dietro, ma, prima di superare la seconda fila di alberi, lo richiamò e gli disse di attendere un istante. Si afferrò le gonne, ancora arrotolate sui fianchi, e se le sfilò, rimanendo solo con un paio di pantaloni e la camicetta dal collo stretto.

«Singolare come abbigliamento», osservò il ragazzo.

«Non mi appartengono», lei si indicò i pantaloni e si strinse nelle spalle. «Ma sono comodi, molto più di quelle», indicò le gonne abbandonate ai piedi di un tronco.

«Sicuramente».

Durante la passeggiata, i due ragazzi parlarono di tutto e di nulla. Non raccontarono nulla più di semplici aneddoti del mondo e della vita, ma nulla di eccessivamente personale. Mantennero l'anonimato, ma non sembravano preoccupati di non conoscere l'uno il nome dell'altra, anzi, sembrava quasi che li divertisse avere quel segreto.

Non si accorsero di aver passeggiato per delle ore, fin quando il cielo non si oscurò e la luna li illuminò con il proprio chiarore. Tornarono indietro, ripercorrendo lo stesso sentiero di poco prima e si ritrovarono di nuovo in prossimità del muro.

Il ragazzo la guardò infilarsi di nuovo le gonne sopra i pantaloni e poi arrampicarsi senza fatica fino in cima alla parete di pietra.

«Nemmeno ora potrò conoscere il tuo nome?», chiese nella vana speranza che lei potesse riscendere dal muro solo per sussurrarglielo nell'orecchio; ma non successe. Lei scosse la testa e sparì dall'altro lato, senza nemmeno il tonfo dei piedi sul terreno.

Quando fu certo che non sarebbe riapparsa su quel muro di pietra, si girò e riprese la strada di casa. Aprì a caso il libro che si era portato dietro e cominciò a leggere ad alta voce, come fossero formule magiche o filastrocche raccontate a dei bambini.

Non impiegò molto a raggiungere la propria casa, più o meno il tempo di lettura di sette pagine, dopo di che dovette richiudere il libro e fingere di non esser andato di nuovo sotto il muro.

***

La ragazza dai capelli rame arrivò a casa dopo aver girovagato per i vicoli della città. Si spolverò le gonne, che aveva srotolato non appena saltata giù dal muro, e si guardò intorno.

«Si può sapere che fine avevi fatto?», la madre la guardò cercando in lei qualche segno che potesse darle indizi su cosa faceva durante il giorno, ma oltre a qualche macchia di terra ed erba non c'era nulla.

«Nessuna fine, ho solo cercato un nuovo inizio».

«Sai che il tuo unico inizio è lì, perché ti opponi?», la madre indicò il buio oltre la finestra, nell'oscurità si ergeva un edificio in costruzione, di cui c'erano le fondamenta e poco altro. Sarebbero serviti almeno altri cinque anni per renderlo agibile, ma la ragazza sapeva che se avessero sfruttato tutte le risorse a loro disposizione, quell'edificio sarebbe potuto esser messo in piedi in meno di un anno.

«Perché è come le gonne», rispose la ragazza, muovendo con un colpo di polso tutte le balze di stoffa e facendo sfrusciare le gonne nell'aria.

«Come le gonne?».

«Scomodo, è un futuro scomodo».

Chiocasrie & il corruttore di animeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora